8 marzo: riflettiamo sul Gender pay gap.

8 marzo: riflettiamo sul Gender pay gap.

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Istruite e brave, ma sul lavoro penalizzate.

Le donne lavoratrici guadagnano in media meno dei colleghi uomini ma non perché siano meno qualificate. Alcuni dati su cui riflettere:

·      sul totale dei laureati sono donne il 59,4%

·      a scuola le donne hanno performance migliori (il 43% delle ragazze ottiene un voto d’esame superiore o uguale a 8, rispetto al 31,7% dei ragazzi)

·      le donne abbandonano meno gli studi (10,5% delle ragazze contro il 14,8% dei ragazzi).

Il sesso femminile è dunque più dotato e meglio formato, ma sul mondo del lavoro questo non le premia. Anzi il divario retributivo medio di genere (o gender pay gap) sale al 24% e si amplia ulteriormente con l’aumentare delle competenze e delle specializzazioni: è pari al 33% tra i laureati contro il 10% dei non laureati. 

Il gap salariale.

Il gap sulla retribuzione annua lorda nel settore privato è dell’11,2% (3.500 euro in meno in un anno) e se si considerano le parti variabili del salario si sale al 12,2% (3.800 euro in meno all’anno). E questo porta al fatto che le donne iniziano a guadagnare davvero solo un mese e mezzo dopo rispetto ai colleghi uomini.

Da cosa dipende questa differenza? Da diversi fattori.

1)     Di per sé ci sono già degli inquadramenti contrattuali peggiori per le donne

2)     Nel caso di componenti variabili, anche su queste le donne sono spesso svantaggiate

3)     Le donne sono quelle che hanno contratti di lavoro più instabili e fragili

4)     E sono anche quelle a cui, per retaggio culturale, tocca scegliere contratti ad orario ridotto per la maternità o per la cura dei familiari. 

Eppure la parità è protetta dalla Costituzione.

Il diritto alla parità retributiva di genere è uno tra i principi fondamentali del Trattato di Roma, sancito all’articolo 119. L’art. 157, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) prevede che l’Unione Europea adotti misure volte ad assicurare l’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra donne e uomini per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

L’articolo 3 della nostra Costituzione afferma che: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

In virtù di questa disposizione generale nei rapporti di lavoro si applica il principio costituzionale dell’uguaglianza professionale tra i lavoratori, che vieta ai datori di lavoro di operare discriminazioni (dirette o indirette) nello svolgimento delle attività lavorative.

L’articolo 37 della Costituzione è volto a fornire specifiche garanzie: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore […]”. Questa disposizione costituzionale ha reso possibile l’adozione di una legislazione volta ad affermare la piena uguaglianza formale tra lavoratori e lavoratrici.

In particolare, ai sensi del Decreto Legislativo 198/2006 (c.d. Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) è vietata qualsiasi discriminazione di genere in materia di:

•           accesso al lavoro;

•           condizioni retributive;

•           livelli occupazionali, mansioni e avanzamento di carriera; e

•           trattamenti previdenziali complementari.

Negli anni, ci sono stati diversi interventi a livello europeo al fine di ribadire il principio fondamentale delle pari opportunità tra uomini e donne e garantirne una corretta attuazione. 

Tra i vari interventi ricordiamo nel 2014 la Raccomandazione della Commissione europea sulla trasparenza retributiva. Quest’ultima raccomandazione ha messo in evidenza come eliminare il fenomeno dell’assenza di trasparenza delle condizioni di remunerazione sia l’unico modo per applicare efficacemente il principio della parità retributiva, individuando alcuni strumenti chiave per rendere effettiva la normativa, ossia:

1)     diritto dei lavoratori di accedere alle informazioni sui livelli salariali;

2)     relazioni sulle retribuzioni;

3)     audit salariali;

4)     contrattazione collettiva;

5)     statistiche e dati amministrativi;

6)     concetto di lavoro di pari valore;

7)     sistemi di valutazione e classificazione del lavoro.

Nonostante questo quadro giuridico, l’effettiva attuazione e applicazione dei principi individuati, nella pratica, continua a rappresentare una sfida per l’Unione Europea: a livello europeo il gender pay gap continua ad attestarsi intorno al 14%, con importanti ripercussioni sulla qualità della vita delle donne, soprattutto nel lungo termine esponendole a un maggiore rischio di povertà e ad una minore capacità di risparmio delle donne verso gli uomini, nonché alimentando il pension pay gap, che è pari al 33%. 

Il divario cresce all’aumentare delle competenze.

Oggi in Italia le donne guadagnano il 5% in meno degli uomini per ogni ora lavorata. Considerando il solo settore privato, in relazione alle ore lavorate, il divario retributivo medio di genere (o gender pay gap) sale al 24% e si amplia ulteriormente con l’aumentare delle competenze e delle specializzazioni: è pari al 33% tra i laureati contro il 10% dei non laureati. Secondo le recenti statistiche Istat, la differenza di retribuzione oraria tra uomini e donne aumenta all’aumentare del livello retributivo: il valore del primo decile per le posizioni ricoperte dalle donne è inferiore di circa il 6% rispetto a quello degli uomini, e il divario sale al 12% per l’ultimo scaglione della scala: a parità di inquadramento contrattuale, le donne sono pagate meno dei colleghi uomini.

La proposta di direttiva europea

È proprio nel più ampio contesto delle misure e iniziative europee volte ad affrontare e rimuovere le cause profonde del divario retributivo di genere e a favorire l’emancipazione economica femminile che si inserisce la “Proposta di direttiva volta a rafforzare l’applicazione del principio di parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza delle retribuzioni e meccanismi esecutivi” della Commissione Europea del 4 marzo 2021, attualmente sottoposta all’approvazione del Parlamento europeo e del Consiglio Europeo. Tale proposta di direttiva è volta a rafforzare nei paesi europei l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, nonché la trasparenza delle retribuzioni, già prima dell’assunzione e nel corso del rapporto di lavoro. La trasparenza retributiva, fin dall'inizio del rapporto è fondamentale per individuare da parte dei lavoratori possibili discriminazioni basate sul genere.

Nello specifico la proposta prevede tante misure che vanno proprio nella direzione di una maggiore trasparenza retributiva.

Per evitare discriminazioni, i datori di lavoro devono garantire che i loro dipendenti abbiano facile accesso ai criteri utilizzati per definire le retribuzioni e gli eventuali aumenti retributivi. I lavoratori e i loro rappresentanti avranno inoltre il diritto chiedere e ricevere informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi dei lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore, ripartiti per sesso. I datori di lavoro dovranno inoltre indicare il livello o la fascia retributiva iniziale da corrispondere ai futuri lavoratori.

I datori di lavoro con più di 100 dipendenti devono fornire informazioni sul divario retributivo tra i lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile nella loro organizzazione. I datori di lavoro devono condividere tali informazioni con l'autorità nazionale competente. Devono inoltre fornire tali informazioni ai loro lavoratori e ai relativi rappresentanti. Le informazioni sono dovute ogni anno od ogni tre anni, a seconda delle dimensioni dell'impresa.

Nei casi in cui la comunicazione di informazioni sulle retribuzioni riveli una differenza del livello retributivo medio tra lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile pari ad almeno il 5% e il datore di lavoro non abbia giustificato tale differenza con criteri oggettivi e neutri sotto il profilo del genere, i datori di lavoro dovranno effettuare una valutazione congiunta delle retribuzioni in cooperazione con i rappresentanti dei loro lavoratori. Tale valutazione congiunta delle retribuzioni dovrebbe includere misure volte a porre rimedio alle differenze retributive ingiustificate.

La proposta c'è ora lavoriamo tutto per una sua veloce approvazione, pe run suo veloce recepimento in Italia e per una effettiva messa in pratica.





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