Antiquitatum variarum volumina XVII

falsificazione storica del frate domenicano Annio da Viterbo

Gli Antiquitatum variarum volumina XVII ("Diciassette volumi di antichità varie")[2] sono una ponderosa opera, scritta da Annio da Viterbo (pseudonimo umanistico di Giovanni Nanni) e pubblicata a Roma presso il tipografo Eucharius Silber nel 1498 sotto il titolo originale di Commentaria super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium ("Commentari sulle opere di diversi autori che parlano di antichità"). L'opera, che si presenta come una compilazione di antichissime cronache ritrovate, accompagnate dal commento del compilatore, si rivelò in seguito come una complessa e ingegnosa falsificazione ordita dall'erudito frate domenicano, che si acquistò così la fama di falsario[3].

Antiquitatum variarum volumina XVII
Titolo originaleCommentaria super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium
Frontespizio degli Antiquitatum variarum volumina XVII in una ristampa del 1515[1]
AutoreAnnio da Viterbo
1ª ed. originale1498
Generetrattato
Lingua originalelatino

L'opera, nota anche come Antichità di Annio, intendeva costruire un supplemento alla cronologia biblica e proporre una visione radicalmente nuova della storia universale, venata di miso-ellenismo, in cui la tradizione caldea e aramea veniva direttamente connessa e riconciliata con le radici della storia d'Europa, mettendo da parte, come cosa vana, erronea e favolistica, l'intera tradizione culturale e storiografica greca.

Nonostante i sospetti precocemente adombrati da alcuni studiosi, l'opera riuscì a riscuotere una grande fortuna, con numerose edizioni a stampa, anche in volgare, prima che, nel secolo successivo alla pubblicazione, si giungesse allo svelamento definitivo della sua reale natura di colossale falsificazione. Ma gli effetti nefasti dell'opera si protrassero comunque fino al XVII secolo (ne fa uso, ad esempio, Athanasius Kircher, seppure in maniera paradossale[4]) e, in misura occasionale, fino al XVIII secolo. Questo strascico prolungato ha costretto gli studiosi seri a dover ripetutamente ritornare sulla dimostrazione già data della falsità dell'opera[5]. Non è mancato, inoltre, un disperato tentativo di riabilitazione novecentesca da parte di un appartenente al suo stesso ordine domenicano[6] né, infine, una pubblicazione accademica su una rivista scientifica peer reviewed che fa riferimento ai resoconti di Beroso inventati da Annio.

Il fertile sforzo inventivo dispiegato negli Antiquitatum variarum volumina XVII fa di Annio un autentico creatore di miti, in grado di esprimere, con mezzi simbolici, il disagio e la crisi culturale di un'epoca[7].

La sua azione non è equiparabile a una semplice "falsificazione", ma a un processo creativo di "reinvenzione simbolica di tradizioni", in grado di toccare a fondo le "corde [...] della sensibilità del tempo", come dimostra la "vasta e tenace fortuna" che il lavoro di Annio era destinato a incontrare in tutta Europa[8].

Contenuto

 
Rodrigo Borgia (Papa Alessandro VI), fu lo sponsor delle fortune di Annio

I 17 volumi si presentano come una monumentale opera storica, in forma di compilazione di testi antichissimi, che Annio affermava di aver scoperto in parte a Genova, dove gli sarebbero stati mostrati da un monaco armeno di nome Giorgio[9], e in parte a Mantova[10], dove, diceva, sarebbero stati raccolti da un certo Guglielmo intorno al 1315[9]. L'opera fu pubblicata in due edizioni, con e senza commento.

Poiché il primo degli intermediari era irraggiungibile, mentre il secondo era morto da tempo, e siccome tutti gli originali erano andati perduti, la credibilità delle fonti poteva fondarsi unicamente su un atto di fiducia nei confronti di Annio[9].

La falsa compilazione si sviluppa su 17 volumi, il primo dei quali contiene un sommario dell'opera e il repertorio delle auctoritates e delle fonti, fasulle o meno, da lui utilizzate, alla maniera di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia[8]. Nel primo libro, l'autore fornisce anche una succinta spiegazione del senso dei volumi successivi della sua ricostruzione[8]. I rimanenti 16 raccolgono una mole di scritti o frammenti provenienti da una serie di cronache da lui fabbricate, presumibilmente, a partire dal 1493[11] (e fino alla pubblicazione nel 1498), e da lui falsamente attribuite a una congerie di autori pagani pre-cristiani: il caldeo Beroso, l'egiziano Manetone, Metastene di Persia (non Megastene[9], storico greco dell'India menzionato da Flavio Giuseppe, il cui nome è "abusivamente mutato"[8] da Annio), Filone Giudeo (Filone di Alessandria), Archiloco, Senofonte, Mirsilo di Metimna, Fabio Pittore, Catone il Censore, Gaio Sempronio Tuditano, Antonino Pio[9][12]. Importanti sono anche il volume II (De institutionibus Annianis de aequivocis) e il volume XVII (XL Quaestiones Anniae, dedicate al cugino Tommaso Annio)[13].

L'opera proponeva ai dotti di tutta Europa una visione radicalmente diversa della storia antica del Mediterraneo giudaico-cristiano[14]. Secondo questa fantasiosa ricostruzione, Noè si sarebbe stabilito in Italia a un secolo dal Diluvio universale, e vi avrebbe fondato Viterbo[9]. In seguito, avrebbe fondato altre città in Europa, ma avrebbe conservato sempre la sua predilezione per Viterbo e per gli Etruschi, considerati, nei documenti di Annio, suoi diretti discendenti[9]. Come Pontifex maximus, avrebbe prefigurato il sacerdozio, il rito romano e la dignità del papato[9]. Avrebbe assunto come soprannome quello di Janus (Giano, divinità romana priva di un corrispondente greco), un nome che permetteva anche di ricollegarlo etimologicamente all'invenzione del vino (yayin in ebraico)[9].

In questa ricostruzione, Annio assegnava a Viterbo lo status di capitale del mondo, usurpatogli da Roma[9]. A Roma, secondo le false cronache, e secondo il commento di Annio, andava la responsabilità di aver abbandonato la pia tradizione noaica per abbracciare le fallaci sofisticherie del pensiero greco, falsificando la storia universale mediante l'affermazione della menzognera superiorità greca[9].

Genesi e fortuna dell'opera

Gli Antiquitatum variarum volumina XVII erano il frutto di un «percorso intellettuale breve ma intensissimo»[15], iniziato circa dieci anni prima, quindi in età già matura, dopo che Annio da Viterbo, nel 1489, fece ritorno alla sua città natale dopo un ventennale soggiorno a Genova[16]. A quell'epoca, benché in età matura, il frate poteva vantare una cultura essenzialmente teologica[16]. Fu solo dal 1489 che iniziò a occuparsi di classici greci e latini, riuscendo, in pochi anni, a raggiungere una conoscenza così vasta e profonda da riuscire a mettere in atto impunemente la sua opera di falsificazione[16]. Questo percorso di studi rappresentò, in effetti, una vera e propria impresa, tanto più stupefacente se si considera che l'enorme mole di studio fu interamente finalizzata alla causa della falsificazione storica[17].

Secondo un'ipotesi di Roberto Weiss, le falsificazioni di Annio, strumentali al dispiego del suo disegno, sarebbero iniziate nel 1493[11]. La composizione dell'opera potrebbe essersi ipoteticamente compiuta nei circa 6 anni che vanno dal 1492 fino al 1498, data di pubblicazione[11].

Critiche

 
Jacques Lefèvre d'Étaples fu, insieme a Pietro Crinito, tra i primi censori del falso

La genuinità dell'opera sollevò immediatamente dubbi in vari studiosi: tra i primi a denunciarne la falsità, pochi anni dopo la prima pubblicazione, furono Pietro Crinito (Pietro Baldi del Riccio) in De honesta disciplina (XXIV, 12) [18] e Marcantonio Sabellico nelle sue Enneades (VIII, 5), opere entrambe del 1504. Due anni dopo, a segnalarla come falso fu Jacques Lefèvre d'Étaples, nel suo commentario alla Politica di Aristotele, pubblicato a Parigi nel 1506[18].

I sospetti non smisero di addensarsi: Juan Luis Vives, ad esempio, se ne occupò criticamente in un passo del suo commento al De Civitate Dei di Sant'Agostino[19] e nel suo De tradendis disciplinis[20]. L'autenticità dello pseudo-Beroso di Annio fu validamente confutata dall'umanista erasmiano Juan de Vergara nel 1552.[21] Un duro colpo alla reputazione di Annio venne anche dal suo confratello Melchor Cano che, nel suo classico De Locis Theologicis (1563), lo sottopose ad una critica spietata culminante in un'accusa di eresia.[22]

Nel 1565-66, l'umanista Girolamo Mei ebbe una dura polemica storiografica con il letterato Vincenzo Borghini, che, in occasione del matrimonio di Francesco I de' Medici e Giovanna d'Austria, dichiarò che Firenze era stata fondata da Augusto, basandosi sulle iscrizioni riportate da Annio da Viterbo. Mei, ostile a casa Medici, sfidò questa opinione e contestò l'autenticità dei materiali di Annio in un breve trattato latino (De origine urbis Florentiae).

Tuttavia, né le precocissime segnalazioni, né le confutazioni successive riuscirono a impedire che l'opera acquistasse credito e si guadagnasse almeno diciotto pubblicazioni e ristampe, oltre ad almeno tre traduzioni a stampa in italiano[23], tra cui la traduzione di Francesco Sansovino del 1583.

L'impostura di Annio fu definitivamente smascherata solo nella seconda metà del Cinquecento da Giuseppe Giusto Scaligero[24], uomo di vastissima e solida erudizione che, nell'analisi delle fonti, poteva unire, alla perfetta padronanza del greco antico e del latino, anche la conoscenza dell'arabo e dell'ebraico (a differenza di Annio, le cui conoscenze di greco ed ebraico erano rudimentali[9]).

Ingredienti del successo dell'opera

 
Il "decreto di Desiderio"

Uno dei segreti del successo della compilazione, è il fatto che alle fonti si accompagnava un commento «mostruosamente complicato»[17], in cui un intreccio inestricabile di citazioni e testimonianze provenienti da una enorme platea di fonti, vere e spurie, si univa a uno sforzo di spiegazioni etimologiche che mettevano insieme greco, latino e perfino ebraico[25]. Su quest'ultima lingua, oltre che degli scritti di San Girolamo, Annio si avvaleva dell'aiuto di un certo Samuele, talmudista di Viterbo non altrimenti conosciuto[25]. Annio, inoltre, ebbe l'accortezza di ancorare le sue invenzioni storiche alla cronologia di autori veri, quali Plinio il Vecchio, Tito Livio e Diodoro Siculo[9]. Si trattava, nel complesso, di una falsificazione che raggiungeva standard qualitativi veramente notevoli[26].

Un altro ingrediente del successo di Annio fu anche il fatto che l'opera si prestava a essere riutilizzata, in maniera strumentale, da schiere di "patriottici" di tutt'Europa, i quali, attingendovi a piene mani, e decontestualizzandone le citazioni, potevano, di volta in volta, esaltare la tradizione di altri popoli, Galli, Celti, Britanni, Teutoni, ecc.[27]

È stato anche suggerito il ruolo che potrebbe aver avuto l'aspetto tipografico della prima edizione romana, nell'avvolgere l'opera in un alone di credibilità. Infatti, la stampa, in caratteri gotici e adorna di un'unica e rudimentale xilografia, si presentava con tratti estetici più crudi e antichizzanti rispetto all'eleganza dei caratteri di Aldo Manuzio, e con una forte rassomiglianza esteriore alla Bibbia di Gutenberg[28]. Si tratterebbe, secondo Ingrid Drake Rowland, di un effetto estetico consapevolmente perseguito: con la ricerca, per la sua opera, di un'apparenza pseudo-biblica, Annio intendeva conferirgli maggiore credibilità quale complemento alla cronologia della Bibbia[28].

I falsi ritrovamenti archeologici

 
Tavola di Pipinus Etruscorum Larthes, falso del 1490-1500 ca.

Altro elemento che contribuì alla sua fortuna fu la fabbricazione di veri e propri falsi reperti archeologici ed epigrafici (statue e iscrizioni etrusche[9]) che servivano a dare ulteriori e tangibili conferme alle fonti che andava inventandosi di sana pianta[29] e a testimoniare la presenza a Viterbo di antiche figure della mitologia romana, della mitologia egizia, e della tradizione biblica[9]. Per sostenere l'imponente impalcatura storica che egli andava architettando, aveva organizzato a Viterbo, nei pressi della residenza estiva di Papa Alessandro VI, qualcosa che doveva apparire come una sorta di vera e propria campagna di scavi archeologici, in cui, in realtà, si rinvenivano gli artefatti da lui stesso fabbricati e interrati in precedenza[9]. Per sostenere le sue invenzioni, Annio identificava la lingua etrusca con l'ebraico, millantando di essere in grado di tradurre dall'etrusco[9]. Tre esempi di tali macchinazioni sono visibili al Museo Civico di Viterbo[30].

Il Marmo osiriano
 
Il c.d. Marmo osiriano al Museo di Viterbo

Uno dei più intriganti manufatti artistici confezionati da Annio è il cosiddetto Marmo osiriano, al Museo Civico di Viterbo. Non si tratta di un falso in sé, ma dell'assemblaggio in giustapposizione di due pezzi autentici di arte medioevale, anacronistici tra di loro e rispetto alla loro dichiarata antichità artistica. L'opera si presenta come una lunetta inquadrata in una cornice rettangolare. Sulla lunetta è presente un rilievo con viti intrecciate su un tronco di quercia, una lucertola (o un coccodrillo) e degli uccelli. Sulla cornice, in bassorilievo, due visi dai tratti classicheggianti si affrontano di profilo. Al di sotto della lunetta è presente un'iscrizione esplicativa latina, apposta nel 1587 dal Senato e dal popolo di Viterbo.

Annio accompagna il suo falso con una complessa interpretazione simbolica. Secondo la sua descrizione, si sarebbe trattato di un frammento da una colonna trionfale lasciata a Viterbo da Osiride, che forniva la prova della venuta del dio egiziano in Italia e nella città. Il profilo di Osiride, secondo Annio, sarebbe riconoscibile in una delle due figure affrontate sulla cornice (quella a sinistra). Il profilo femminile a destra sarebbe appartenuto a una musa, Sais Xantho, cugina di Osiride. Le raffigurazioni zoomorfe e fitomorfe sulla lunetta erano da interpretare come lettere sacre egizie che contribuivano alla complessa simbologia nel modo seguente: lo scettro di Osiride era rappresentato dalla quercia i cui rami aperti alludevano al suo dominio su ogni angolo del mondo; la scena celebrava e storicizzava l'incontro del dio e degli antichi Egizi con gli Italiani (gli uccelli) e la vittoria sui Giganti (lucertola o coccodrillo, a significare il male)[31]. Annio, inoltre, affermava che tra i rami dell'albero fosse possibile intravedere un occhio.

La lunetta è stata creduta a lungo un manufatto romano tardoantico, finché Pietro Toesca, nel 1927, non ne ha fornito una datazione al XII secolo. Un pezzo d'arte medievale, ma di circa un secolo più recente, è rappresentato dai due profili umani della cornice: Brian Curran[32] li ha messi in relazione stilistica con le due teste in rilievo che sono visibili, in posizione piuttosto defilata, sull'Ambone del Vangelo del Duomo di Ravello, datato a circa il 1270 e riconosciuto come il capolavoro di uno scultore, Nicolò di Bartolomeo da Foggia, che mostra una notevole consonanza con lo stile di Nicola Pisano.[33] Il pastiche forgiato da Annio fu in grado di ingannare perfino l'occhio esperto di Giorgio Vasari che, scrivendone una cinquantina di anni dopo, fuorviato dalle sculture "forgiate" da Annio, ne trasse spunto per formulare un giudizio sull'alta qualità dell'arte etrusca.[34]

Incontro con Rodrigo Borgia e l'influsso sulle decorazioni dell'Appartamento Borgia

 
Appartamento Borgia, seconda volta della Sala dei Santi: Osiride viene ucciso, Iside ne ricompone il corpo e organizza i funerali; manifestazione del bue Api e processione col suo idolo

A segnare una svolta nella vita di Annio fu la conoscenza fatta di Rodrigo Borgia (Papa Alessandro VI), al quale, secondo un'ipotesi formulata da Paola Mattiangeli, sarebbe stato presentato da Alessandro Farnese (futuro Paolo III), probabilmente intorno al 1492[35], forse proprio in relazione al progettato Appartamento Borgia[8][35].

Il toro araldico che campeggia nel blasone dei Borgia fornì ad Annio lo spunto per un fantasioso, rabberciato, e forzato collegamento con la figura mitologica del toro Api[36], venerato nell'antico Egitto. Con alcuni finti reperti egizi, interrati in Italia e poi dissotterrati, Annio si inventò una discendenza diretta dei Borgia nientemeno che da Iside e Osiride[37]. Nel 1499, appena un anno dopo la stampa, Annio fu nominato Magister sacri palatii apostolici, Maestro del sacro palazzo apostolico del papa[38][35].

Programma decorativo dell'Appartamento Borgia

In una lezione al Courtauld Institute of Art di Londra nel novembre 1945, Fritz Saxl avanzò per primo l'ipotesi secondo cui il soggetto dell'Appartamento Borgia in Vaticano fosse stato suggerito al Pinturicchio proprio da Annio da Viterbo[39].

Secondo le argomentazioni di Ingrid Drake Rowlands, sarebbe stato lo stesso Papa Borgia ad affidare ad Annio la responsabilità di ispirare il programma decorativo del celebre ciclo pittorico dell'Appartamento Borgia[40]. Di sicuro, le frodi genealogiche di Annio influenzarono l'egittomania che traspare nel ciclo decorativo dell'Appartamento Borgia, con la presenza di Iside e altri motivi e divinità egittizzanti[41]. Una spiegazione diretta dal "pensiero anniano" è invocata anche per il simbolismo che caratterizza la Sala della Sibilla e la Sala delle Arti Liberali dell'Appartamento Borgia, nelle quali "predomina l'astrologia e dove figure di profeti pagani, ebrei e cristiani si uniscono insolitamente a soggetti egiziani ed astrologici"[42], a comporre "un tale sincretismo di motivi, non nuovo al gusto umanistico, [che] trova [...] nei vari momenti del pensiero anniano (teologico, astrologico, egizianistico) la spiegazione più diretta"[42].

Intenti dell'opera

 
La "seconda tavola cibellaria"

Non è chiaro quale fosse il disegno complessivo di Annio da Viterbo. Varie sono le ipotesi formulate, senza che si sia registrata la convergenza degli studiosi sulle motivazioni e gli scopi della sua falsificazione.

Anti-ellenismo religioso e patriottico

Per spiegare il movente dell'opera, Eugène Napoleon Tigerstedt, ad esempio, partiva dalla riconoscibile inclinazione di Annio al miso-ellenismo, un atteggiamento culturale che lo spingeva a voler distruggere l'auctoritas degli autori dell'antichità greca, riprendendo una tradizione letteraria che parte da Catone il Censore, prosegue con Giovenale (e la ripresa, come refrain, di una sua citazione sulla «Graecia mendax»[43], dietro la quale, tuttavia, vi è chi vede un riferimento a Flavio Giuseppe più che a Giovenale[8]), e continua nel Medioevo con il trattamento riservato da Dante a Ulisse nell'Inferno dantesco (canti XXVI e XXVII), e con la credenza di chi vedeva la mano punitrice di Dio nelle vicende del Grande Scisma e della caduta dell'Impero romano d'Oriente[44].

Dietro tale atteggiamento, Tigerstedt riconosceva due ragioni psicologiche: da un lato, agendo in chiave patriottica, Annio intendeva "esaltare la gloria che s'identifica con l'Italia[45]; dall'altro, Annio voleva incrinare l'autorità dei Greci per avvalorare l'autorità della Bibbia e difendere la Fede dall'emergere un nuovo atteggiamento culturale collegato alla conoscenza dei classici greci[45].

Intenti encomiastici

In generale, viene escluso un interesse economico dell'autore[46]. Tra i motivi, si potrebbe ipotizzare però un intento encomiastico nei confronti di personaggi potenti, a quali Annio indirizzava le sue opere.

Ma l'ipotesi non è coerente con i comportamenti complessivi dell'autore: Annio aveva già mostrato, in precedenza, di sapersi ingraziare la benevolenza dei potenti senza la necessità di mettere in atto la sua colossale opera di falsificazione[46].

Patriottismo e localismo

 
Veduta del Palazzo dei Papi, a Viterbo: per alcuni, fu proprio l'esaltazione della città a muovere Annio alla fabbricazione del falso

Un altro possibile movente potrebbe essere, svuotata da contenuti religiosi, la mera volontà campanilistica di illustrare e nobilitare la storia della città di Viterbo, sua patria, elevandone il rango a quella di antica capitale e centro di irradiazione di un'immaginaria primordiale Età dell'oro dell'Etruria (un fine che, come già detto, Tigersted indica tra le componenti psicologiche del suo atteggiamento[45]). Il dispiegamento di un simile disegno rasentava peraltro la follia, vista l'imponente massa di studi accaniti che il domenicano dovette mettere in atto al solo scopo di portarlo a termine[46]. D'altro canto, secondo Edoardo Fumagalli, si può ragionevolmente dubitare della follia di Annio: in favore della sua sanità di mente, testimonia il grande credito di cui godette presso personaggi di altissimo rilievo: nel 1499, un anno dopo la stampa, il domenicano fu nominato Maestro del sacro palazzo apostolico da Papa Alessandro VI[38]. Per quanto criticabile possa essere la figura del papa Borgia, non è pensabile che si risolvesse a destinare a un ufficio così delicato, una specie di invasato o malato di mente[38].

In definitiva, rimane difficile attribuire un senso unitario all'opera di Annio, individuandone una motivazione unica e credibile: non è da escludere che il suo autore fosse genuinamente convinto della veridicità di quanto andava affermando, e che tutta l'invenzione dei falsi documenti, insieme al gigantesco apparato messo in opera, pur portata a termine con consapevolezza, non servisse altro che a convincere gli interlocutori di quella che per lui era da considerarsi la verità storica[38].

Fortuna posteriore

Caratteristica della fortuna di Annio è il fatto che, nonostante il precoce discredito caduto su di essa, la sua opera, anche in epoca molto successiva, continuasse a essere utilizzata come materiale autorevole e degno di fede, sia da autori in buona fede, sia da personaggi mossi da fini ideologici e falsificatori.

Una vittima illustre dei falsi di Annio fu l'umanista olandese Erasmo da Rotterdam. Nei suoi commentari al Nuovo Testamento (Novum instrumentum, Basel: Johann Froben, 1516, II 326-7), affrontando il problema della genealogia di Gesù riportata nel Vangelo di Luca (Luca 3,23-38[47]), si basò sul Breviarium de temporibus dello Pseudo-Filone riportato negli Antiquitatum variarum volumina XVII e sulle note al testo di Annio.[48] Furono ingannati dai falsi di Annio anche umanisti del calibro di Agnolo Poliziano [49] e, con qualche esitazione, Guillaume Postel. [50]

Nella sua Supputatio annorum mundi (1543) Martin Lutero si servì dei Commentaria di Annio per ricostruire un'accurata cronologia del mondo postdiluviano.[51][52] Per i luterani l'opera di Annio ebbe una tale importanza che l'ultima edizione degli Antiquitatum variarum volumina XVII fu stampata a Wittenberg nel 1612.[53][54] Le storie di Filippo Melantone e Johannes Sleidanus sulle origini dell'umanità erano basate sulle "fonti" fornite da Annio.[55]

Ancora a inizio Seicento lo pseudo-Beroso fu tradotto in inglese, con il titolo An Historical Treatise of the Travels of Noah into Europe ("Trattato storico sui viaggi di Noè in Europa"), da Richard Linche.[56][57]

Allo pseudo-Beroso di Annio sono collegate anche arzigogolate elaborazioni storiche sul personaggio di Tuisco, oscura figura di progenitore divino delle tribù germaniche (il cui nome è conosciuto dal repertorio che Tacito dà nel suo De origine et situ Germanorum): infatti, per la sua figura attinge da Annio Sebastian Münster, nella sua Cosmographia Universalis del 1544, che conosce e utilizza, oltre alla pseudo-cronaca di Beroso, anche il commentario di Annio. Echi di Annio, per la stessa figura di Tuisco, si ritrovano in Michael Drayton (1563 – 1631), che sembra servirsi di una versione di Annio filtrata da Verstegen (o Verstegan, alias Richard Rowlands) in A Restitution of Decayed Intelligence in Antiquities concerning the most noble and renowned English Nation (1605)[58].

Nel XVII secolo, l'opera di Annio fu tra le fonti preferite di Ottavio D'Arcangelo, noto falsario catanese, attivo nella sua città, che fu a capo di una vera e propria organizzazione di falsari impegnati nella produzione di documenti artefatti sulla storia di Catania[14].

Ma in quello stesso secolo XVII si registrano ancora utilizzazioni in buona fede, come genuina fonte storica, nonostante la falsità ormai acclarata[59]. Nel secolo successivo si segnala perfino un caso isolato di rivendicazione della sua autenticità[59]. Tra gli autori seicenteschi che se ne servono vi è Athanasius Kircher che, tuttavia, ne fa un uso contraddittorio e "paradossale", con un modo di procedere piuttosto comune nelle sue opere[4]: lo cita come "auctoritas" ma, al contempo, lo definisce "apocrifo"[4].

Inoltre, una dissertazione accademica elogiativa delle sue qualità si registra addirittura in pieno Novecento: a metà degli anni sessanta è ancora considerato proponibile un inane tentativo di recupero della sua figura come quella improbabile di storico genuino[6].

Infine, si registra perfino nel XXI secolo il caso di una pubblicazione accademica peer reviewed (vertente sull'interpretazione evemerista della ricorrenza del mito dei giganti in molte culture[60]) in cui si fa uso di Annio da Viterbo, servendosi di una falsa narrazione di Beroso recepita attraverso Scipione Mazzella (nel testo Sito et antichità della città di Pozzuolo e del suo amenissimo distretto, Orazio Salviani, Napoli, 1591, opera già da subito oggetto di feroce critica mossa da Tommaso Costo nel 1595[61]), il quale, a sua volta, non si rifà alla genuina tradizione frammentaria di questo autore ma riprende i fantasiosi resoconti incorporati negli Antiquitatum variarum volumina XVII di Annio. Nello stesso articolo, i due autori incorrono di nuovo, in via indiretta, in un passo falso simile, quando discutono dell'opera di Tommaso Fazello sui giganti del 1573, tra le cui fonti ci è ancora lo pseudo-Beroso inventato da Annio.

Edizioni

Note

  1. ^ Annio è chiamato theologiae professor, nel significato comune di insegnante di teologia: egli aveva conseguito la qualifica magistrale (theologiae magister) a Roma nel convento di santa Maria sopra Minerva, mentre non ottenne mai quella di theologiae doctor (Fubini).
  2. ^ Il titolo, convenzionalmente utilizzato, proviene da un'edizione postuma parigina (Paris, Jodocus Badius Ascensius e Jean Petit, 1512 e 1515). Nella sua forma estesa, comprensiva del nome dell'autore, recita: Antiquitatum variarum volumina XVII a venerando et sacrae theologiae et praedicatorii ordinis professore Ioanne Annio declarata ("Diciassette volumi di antichità varie, spiegate dal venerando Giovanni Nanni, professore di sacra teologia dell'ordine dei predicatori").
  3. ^ «Annius was the most infamous Renaissance forger of ancient texts» (Stephens, p. 46).
  4. ^ a b c (EN) Anthony Grafton, Kircher's Chronology, in Paula Findlen (a cura di), Athanasius Kircher: The Last Man who Knew Everything, Psychology Press, 2004, p. nota 56 di pagina 185, ISBN 041594015X.
  5. ^ Stephens, p. 47.
  6. ^ a b Mario Signorelli, Fra' Annio da Viterbo, umanista e storico (dissertazione pronunciata all'Accademia degli Ardenti di Viterbo il 2 febbraio 1965, in Memorie domenicane, XLI, n.s., 1965, pp. 102-112.
  7. ^ Riccardo Fubini, «Annio da Viterbo nella tradizione erudita toscana», in Storiografia dell'Umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, p. 341
  8. ^ a b c d e f Fubini.
  9. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q Stephens, p. 46.
  10. ^ J. Schroeder, (EN) Annius of Viterbo, in Catholic Encyclopedia, New York, Encyclopedia Press, 1913.
  11. ^ a b c Roberto Weiss, Traccia per una biografia di Annio da Viterbo, in «Italia medioevale e umanistica», 5 (1962), p. 431
  12. ^ Nell'edizione veneziana del 1498, comprendente soltanto i testi falsi senza i commentari, l'elenco delle opere è il seguente: Myrsilius Lesbius, De origine Italiae et Tyrrhenorum; M. Porcius Cato, De origine gentium et urbium Italicarum; Archilochus, De temporibus; Metasthenes, De iudicio temporum et annalium Persarum; Philo, Breviarium de temporibus; Xenophon, De aequivocis; Caius Sempronius, De chorographia sive descriptione Italiae et eius origine; Q. Fabius Pictor, De aureo saeculo et de origine urbis Romae; Antoninus Pius, Itinerarium; Berosus, De temporibus; Manetho, Supplementum pro Beroso; Decretum Desiderii regis Italiae.
  13. ^ (LAIT) Le questioni anniane. Viterbo tra realtà e finzione, introduzione, traduzione e note a cura di Jacopo Rubini, Viterbo, Sette città, 2014, ISBN 978-88-7853-351-6.
  14. ^ a b Paolo Preto, Una lunga storia di falsi e falsari, Mediterranea, anno III, n. 6, aprile 2006, p. 12
  15. ^ Fumagalli, p. 340.
  16. ^ a b c Fumagalli, p. 337.
  17. ^ a b Fumagalli, p. 338.
  18. ^ a b Tigerstedt, p. 296.
  19. ^ Juan Luis Vives, XXII libros de Civitate Dei Commentaria, Libro XVIII, cap. 7
  20. ^ Jo. Lodovici Vivis de tradendis disciplinis, Bruges, 1531 (libro II, cap. 5)
  21. ^ Juan de Vergara, Tratado de las ocho questiones del templo propuestas por el illmo. Señor Duque del Infantazgo, 1552
  22. ^ Classical Mediaeval and Reinassance Studies in honor of Berthold Louis Ullman, Volume 2, edited by Charles Henderson, Jr., Edizioni di Storia e Letteratura, 1964, p. 297
  23. ^ Rowland, p. 56.
  24. ^ Joseph Justus Scaliger, Opus de emendatione temporum, 1583
  25. ^ a b Fumagalli, p. 339.
  26. ^ Anthony Grafton, Forgers and Critics: Creativity and Duplicity in Western Scholarship, 1990, (cap. 2: «Forgers: Tips and Tools», pp. 36 e segg.; cap. 3: «Critics: Tradition and Innovation», pp. 69 e segg.)
  27. ^ Stephens, pp. 46-47.
  28. ^ a b Rowland, p. 58.
  29. ^ Rowland, p. 57.
  30. ^ I Falsi di Annio Archiviato il 6 febbraio 2013 in Internet Archive. galleria fotografica dal sito del Museo Civico di Viterbo
  31. ^ Mattiangeli, pp. 298-300.
  32. ^ Brian A. Curran, The Hypnerotomachia Poliphili and Renaissance Egyptology, in «Word & Image: A Journal of Verbal/Visual Enquiry», vol. 14, n. 1-2, 1998, pp. 166 e segg.
  33. ^ John Pope-Hennessy, An Introduction to Italian Sculpture: Italian Gothic sculpture, 1970 (p. 12)
  34. ^ «Vedesi ancora per le statue trovate a Viterbo nel principio del pontificato d'Alessandro VI, la scultura essere stata in pregio e non picciola perfezzione in Toscana». Giorgio Vasari, I Parte, Proemio delle Vite, in Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1550.
  35. ^ a b c Mattiangeli, p. 266.
  36. ^ Curl, p. 86.
  37. ^ Curl, p. 88.
  38. ^ a b c d Fumagalli, p. 363.
  39. ^ Fritz Saxl, L'Appartamento Borgia, in La storia delle immagini, traduzione di Giulio Veneziani, 2ª ed., Bari, Editori Laterza, 1982 [1957], pp. 85-104.
  40. ^ Rowland, p. 59.
  41. ^ Curl, p. 130.
  42. ^ a b Mattiangeli, p. 269.
  43. ^ Tigerstedt, p. 303.
  44. ^ Tigerstedt, p. 304.
  45. ^ a b c Tigerstedt, p. 309.
  46. ^ a b c Fumagalli, p. 362.
  47. ^ Lc 3,23-38, su La Parola - La Sacra Bibbia in italiano in Internet.
  48. ^ Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register of the Renaissance and Reformation, Volumi 1-3, Peter G. Bietenholz, Thomas Brian Deutscher, University of Toronto Press, 2003, p. 61
  49. ^ «Il Decretum Desiderii [fu] ritenuto autentico da umanisti illustri quali il Poliziano (cfr. lettera a Piero de' Medici, scritta fra il 1492 e il 1494, in ANGELI POLITIANI Omnia Opera, Venetiis 1498, fol. a4)». Manuela Doni Garfagnin, Il teatro della storia fra rappresentazione e realtà: storiografia e trattatistica fra Quattrocento e Seicento, Edizioni di Storia e Letteratura, 2002, p. 116; cfr. anche: Giancarlo Petrella, L'officina del geografo: la "Descrittione di tutta Italia" di Leandro Alberti e gli studi geografico-antiquari tra Quattro e Cinquecento, Vita e Pensiero, 2004, pp. 69-70; Vittore Branca, Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, L.S. Olschki, 1983, p. 86.
  50. ^ Guillaume Postel: Prophet of the Restitution of All Things His Life and Thought, Marion Leathers Kuntz, The Hague: Nijhoff, 1981, p. 37
  51. ^ The Curse of Ham in the Early Modern Era: The Bible and the Justifications for Slavery, David M. Whitford, Routledge, 2017, [1]
  52. ^ Bible and Interpretation: The Collected Essays of James Barr: Volume II: Biblical Studies, James Barr, OUP Oxford, 2013, p. 430
  53. ^ Families , Werner Senn, Gunter Narr Verlag, 1996, p. 59
  54. ^ Berosi Sacerdotis chaldaici antiquitatum libri quinque, Wittembergae, Sulfischius, 1612.
  55. ^ Philosophia perennis: Historical Outlines of Western Spirituality in Ancient, Medieval and Early Modern Thought, Wilhelm Schmidt-Biggemann, Springer Science & Business Media, 2007, p. 423
  56. ^ An Historical Treatise of the Travels of Noah into Europe, containing the first inhabitation and peopling thereof. As also a breefe recapitulation of the kings, governors, and rulers commanding in the same, even untill the first building of Troy by Dardanus. Done into English by Richard Lynche, Gentleman, London, printed by Adam Islip for Mathew Law, and are to be sold at his shop, dwelling in Poules Churchyard, at the signe of the Fox, 1602.
  57. ^ (DE) Paul Gerhard Buchloh, Michael Drayton, Barde und Historiker, Politiker und Prophet, Neumunster, Wachholtz Verlag, 1964.
  58. ^ Graham Parry, The Trophies of Time. English Antiquarians of the Seventeenth Century, Oxford University Press, 1995 (p. 55)
  59. ^ a b Tigerstedt, p. 297.
  60. ^ Marco Romano e Marco Avanzini, The skeletons of Cyclops and Lestrigons: misinterpretation of Quaternary vertebrates as remains of the mythological giants, in Historical Biology, 26 giugno 2017, pp. 1-24, DOI:10.1080/08912963.2017.1342640.
  61. ^ Tommaso Costo, Ragionamenti intorno alla Descrizzione del Regno di Napoli e all’Antichità di Pozzuolo di Scipione Mazzella, napoli, Stigliola, 1595.
  62. ^ Contiene solo i testi degli opera falsificati senza i commentaria.

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàVIAF (EN195180949 · GND (DE4298365-4 · BNF (FRcb16675340r (data)