Alberto Cianca

giornalista e politico italiano

Alberto Cianca (Roma, 1º gennaio 1884Roma, 8 gennaio 1966) è stato un giornalista e politico italiano. È stato deputato all'Assemblea Costituente, e senatore nella II e III legislatura.

Alberto Cianca

Deputato dell'Assemblea Costituente
Gruppo
parlamentare
Autonomista
CollegioCollegio Unico Nazionale
Incarichi parlamentari
  • Componente della Commissione per i trattati internazionali
  • Componente del Comitato italiano dell'Unione interparlamentare
  • Componente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge sulle nuove formule di giuramento
  • Componente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge costituzionale che proroga il termine di otto mesi per la durata dell'Assemblea Costituente
Sito istituzionale

Senatore della Repubblica Italiana
LegislaturaII, III
Gruppo
parlamentare
Partito Socialista Italiano
CircoscrizioneMarche
CollegioSenigallia-Jesi
Incarichi parlamentari
  • Componente della III Commissione Affari Esteri (1953-63)
  • Componente della Commissione speciale per la ratifica degli atti Unione dell'Europa Occidentale (1955)
  • Componente della Commissione speciale per l'esame del disegno di legge recante provvedimenti per la città di Roma (1956-63)
  • Componente della Commissione parlamentare per lo studio della procedura d'esame dei bilanci (1955-58)
  • Componente della Commissione parlamentare per la vigilanza sulle radiodiffusioni (1953-63)
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoUN (1924-1926)
Pd'A (1944-1947)
PSI (1947-1966)
Titolo di studiolaurea in giurisprudenza
Professionegiornalista

Biografia

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L'inizio dell'attività giornalistica

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Laureato in giurisprudenza, iniziò la professione giornalistica come resocontista parlamentare della «Tribuna» di Roma e poi del «Secolo» di Milano. Redattore capo al «Messaggero» di Roma, si dimise nel 1921, non condividendone l'indirizzo politico, e passò poi a dirigere «L'Ora» di Palermo.[1]

Attività antifascista in Italia e in Francia (1924-1940)

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Democratico e antifascista, nel novembre del 1924, dopo il delitto Matteotti, Cianca aderì all'Unione Nazionale di Giovanni Amendola ed assunse la direzione del quotidiano del pomeriggio Il Mondo (22 agosto 1922). Dal 12 marzo 1925 fu direttore anche del quotidiano del mattino Il Risorgimento[2]. Per le sue convinzioni subì aggressioni, la devastazione della casa e il confino di polizia.[3] Riuscito a fuggire in Corsica, raggiunse Parigi (gennaio 1927). Nella capitale francese diresse il periodico socialista La Libertà e riuscì a far riprendere le pubblicazioni al settimanale satirico «Becco giallo», di cui fu condirettore (con Alberto Giannini).

Perseguitato dal fascismo, fu condannato più volte in contumacia dal Tribunale speciale.[4][5][6]

Nell'agosto del 1929, all'Hôtel du Nord de Champagne, a Montmartre, su iniziativa di Alberto Tarchiani, Carlo Rosselli, Gaetano Salvemini, Emilio Lussu, Francesco Fausto Nitti e Alberto Cianca, si formò Giustizia e Libertà, un movimento a pregiudiziale repubblicana, con il proposito di riunire tutte le formazioni non comuniste che intendevano combattere e porre fine al regime fascista. Nel 1931, Giustizia e Libertà stipulò un accordo paritario con il Partito Socialista che prevedeva l'inclusione di Giustizia e Libertà nel comitato esecutivo della Concentrazione Antifascista, un'associazione di partiti antifascisti comprendente anche il Partito Repubblicano Italiano. Il componente di GL nel Comitato esecutivo della "Concentrazione" fu Alberto Cianca.[7] L'accordo tra le tre formazioni politiche, tuttavia, fu ben presto segnato da numerosi contrasti e, nel maggio del 1934, la Concentrazione Antifascista si sciolse.[8] Dopo l'assassinio dei fratelli Rosselli divenne direttore del settimanale Giustizia e Libertà. Fu pure iniziato in Massoneria nella Loggia Giovanni Amendola, del Grande Oriente d'Italia in esilio a Parigi[9] Durante la guerra civile spagnola, Cianca fu più volte in Spagna tra i combattenti delle Brigate Internazionali come propagandista delle idee antifasciste.[1] Di fronte all'occupazione tedesca della Francia, nel giugno del 1940, Alberto Cianca lasciò Parigi, e raggiunse gli Stati Uniti, via Casablanca.

Il soggiorno negli Stati Uniti e la Mazzini Society (1940-1944)

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Durante il soggiorno negli Stati Uniti, Cianca collaborò con l'altro ex "giellino" Alberto Tarchiani, esule anch'egli, che aveva assunto la carica di segretario della Mazzini Society, un'associazione antifascista italo-americana di matrice democratica e repubblicana. Attraverso la "Mazzini", Cianca e Tarchiani contavano di acquisire l'appoggio del governo degli Stati Uniti, per la creazione di un Comitato nazionale italiano, cioè una forma di governo in esilio e, con il progressivo avanzamento delle truppe alleate nell'Africa settentrionale (1941-42), anche di una “legione italiana”, con alla guida Randolfo Pacciardi, già comandante del Battaglione Garibaldi nella Guerra civile spagnola e giunto negli Stati Uniti nel dicembre del 1941.[10] Tale linea politica, inoltre, mirava a candidare l'ex Ministro degli esteri Carlo Sforza, anch'egli nella "Mazzini", quale leader del movimento antifascista italiano all'estero e, implicitamente, futuro Capo del Governo di un'Italia liberal-democratica liberata dalla dittatura fascista e dalla monarchia.[11] Tuttavia, l'atteggiamento delle autorità statunitensi verso tale progetto non andò oltre quello di una tiepida attesa e gli analoghi contatti che si tentarono con la Gran Bretagna non ebbero alcun esito.

La Mazzini Society andò in crisi tra il dicembre del 1942 e il gennaio del 1943, per un tentativo di riavvicinamento ai social-comunisti. Contrari a snaturare la matrice liberal-democratica dell'associazione, nel febbraio successivo, Tarchiani e Cianca si dimisero.[12]

Dopo lo sbarco alleato in Sicilia (luglio 1943), Tarchiani, Cianca e Garosci si imbarcarono per rientrare in Europa sul transatlantico Queen Mary, trasformato per il trasporto truppe. Giunti in Inghilterra, dopo un viaggio non privo di incognite e pericoli, attivarono subito la radio clandestina di Giustizia e Libertà, trasmettendo per tutto l'arco della giornata attacchi al regime e alla monarchia, accusata di esserne stata complice, e affiancando i primi nuclei antifascisti. In agosto il gruppo riuscì a imbarcarsi per l'Italia, sbarcando finalmente a Salerno.

Giunto in Italia, Alberto Cianca, insieme agli ex GL Lussu, Tarchiani e Garosci, aderì al Partito d'Azione e, tra il giugno e il dicembre del 1944 fu ministro senza portafoglio nel II Governo Bonomi.

Il dopoguerra e l'attività parlamentare

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Nell'aprile del 1945, Cianca fu nominato membro della Consulta Nazionale e, nel I Governo De Gasperi (dicembre 1945 - luglio 1946), fu Ministro senza portafoglio per le relazioni con la Consulta.

Nelle elezioni politiche del 2 giugno 1946, tenutesi contemporaneamente al referendum istituzionale, Cianca fu eletto deputato alla Costituente nelle liste del Partito d'Azione e, come tutti i suoi compagni di partito, entrò a far parte del gruppo parlamentare autonomista. Al momento dello scioglimento del partito (20 ottobre 1947), entrò a far parte del Partito Socialista Italiano.

Nella seduta della Costituente del 13 dicembre 1947, Alberto Cianca ed Emilio Lussu mossero delle accuse nei confronti del collega democristiano Francesco Chieffi: il primo l'aveva nominato "collaboratore dei tedeschi", ed il secondo aveva dichiarato che Chieffi era stato "fornitore di donne ai tedeschi". Il 22 dicembre 1947 un'apposita Commissione di inchiesta parlamentare, presieduta da Luigi Gasparotto, concluse che le accuse erano senza fondamento sotto ogni profilo.[13]

Nella seconda legislatura (1953-1958), Cianca fu eletto senatore nel collegio delle Marche nelle liste del PSI; rieletto nella legislatura successiva (1958-1963), è stato più volte presidente del Collegio dei probiviri dei giornalisti italiani. Roma gli ha dedicato un giardino pubblico riservato ai bambini alla sua periferia.[1]

  1. ^ a b c Alberto Cianca, su anpi.it. URL consultato il 19 giugno 2017..
  2. ^ Paola Gioia e Francesco Gandolfi (a cura di), Novecento periodico. Donne e uomini nella stampa periodica del XX secolo, pag. 172. Il quotidiano fu chiuso dal regime il 31 ottobre 1926.
  3. ^ Commissione di Roma, ordinanza del 1.12.1926 contro Alberto Cianca (“Uno dei maggiori esponenti dell'antifascismo nella Capitale"). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. IV, p. 1315.
  4. ^ Sentenza n. 100 del 25.7.1931 contro Alberto Cianca (“Associazione sovversiva, tentata strage”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943, Milano 1980 (ANPPIA/La Pietra), vol. I, p. 528.
  5. ^ Sentenza n. 7 del 27.2.1934 contro Alberto Cianca (“Tentata strage, progetto di attentare al capo del governo”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943, Milano 1980 (ANPPIA/La Pietra), vol. II, S. 778.
  6. ^ Sentenza n. 22 del 1936 contro Alberto Cianca ("Associazione e propaganda sovversiva”).In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo dall'anno 1927 al 1943, Milano 1980 (ANPPIA/La Pietra), vol. II, S. 886-887.
  7. ^ Santi Fedele, I repubblicani in esilio nella lotta contro il fascismo (1926-1940), Le Monnier, Firenze, 1989, pagg. 58-59.
  8. ^ Santi Fedele, cit., pag. 83.
  9. ^ Santi Fedele, La Massoneria italiana nell'esilio e nella clandestinità, 1927-1939, Franco Angeli, Milano, 2005, pag. 57.
  10. ^ Antonio Varsori, Gli alleati e l'emigrazione democratica antifascista (1940-1943), Sansoni, Firenze, 1982, pagg. 126-27.
  11. ^ Antonio Varsori, cit., 1982.
  12. ^ Antonio Varsori, cit., pp. 236-237.
  13. ^ Si veda il resoconto della Commissione.

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