Roma e le guerre con Equi e Volsci

Le guerre di Roma contro Equi e Volsci furono una costante della storia del Lazio a partire quantomeno dalla fine del VI secolo a.C.

Roma e le guerre con Equi e Volsci
parte delle guerre romano-italiche repubblicane
Popoli dell'antico Latium vetus
DataVI secolo a.C. - IV secolo a.C.
LuogoLatium vetus
EsitoVittoria romana
Schieramenti
Voci di guerre presenti su Wikipedia
(LA)

«Nec ut iniustus in pace rex, ita dux belli prauus fuit [...]. Is primus Volscis bellum in ducentos amplius post suam aetatem annos mouit, Suessamque Pometiam ex iis vi cepit. Ubi cum diuendita praeda quadraginta talenta argenti refecisset, concepit animo eam amplitudinem Iovis templi quae digna deum hominumque rege, quae Romano imperio, quae ipsius etiam loci maiestate esset."»

(IT)

«Tarquinio fu un re ingiusto coi suoi sudditi, ma abbastanza un buon generale quando si trattò di combattere. [...]. Fu lui a iniziare coi Volsci una guerra destinata[1] a durare due secoli, e tolse loro con la forza Suessa Pomezia.[2] Ne vendette il bottino e coi quaranta talenti d'argento ricavati concepì la costruzione di un tempio di Giove le cui dimensioni sarebbero state degne del re degli dèi e degli uomini, nonché della potenza romana e della sua stessa posizione maestosa.»

Contesto storico

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Latium vetus, Città scomparse del Lazio arcaico e Tarquini.

Verso la fine del VI secolo a.C. all'epoca in cui Roma era dominata dalla dinastia etrusca dei Tarquini, gli Equi occupavano l'estensione superiore delle valli del fiume Anio (Aniene), affluente del Tevere, del Tolenus (Turano), della Himella (Imele) e del Saltus (Salto), che scorrono verso nord e confluiscono nel fiume Nera. I Volsci invece abitavano un'area parzialmente collinosa e paludosa del sud del Latium vetus, limitata dagli Aurunci e dai Sanniti a sud, dagli Ernici ad est e all'incirca dalla linea che va da Norba e Cora a nord. La loro capitale era Anzio.

Equi e Volsci, spesso da soli, spesso da alleati, i primi a nord-est ed i secondi a sud-est di Roma, ne attaccavano soprattutto il territorio circostante con continue azioni di saccheggio. Gli Equi, avanguardia delle genti umbre, erano scesi dall'Appennino centrale e si erano attestati sui colli attorno a Tusculum. Con le loro operazioni insidiavano l'agro romano e le comunicazioni commerciali lungo la Via Latina.

  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia del Monte Algido e Battaglia di Corbione.
616-579 a.C.
Al tempo di Tarquinio Prisco, questo re condusse contro gli Equi una fortunata campagna militare, riuscendo a distruggere anche numerose loro città.[3]
535-509 a.C.
Il primo scontro tra Romani e Volsci avvenne al tempo dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.[4][5]
495 a.C.
Appena usciti vittoriosi dalla Battaglia del Lago Regillo del 496 a.C. contro i Latini, i romani furono attaccati dai Volsci, che li credevano incapaci di rispondere dopo le fatiche di quella guerra. Invece i romani, guidati dal console Publio Servilio Prisco Strutto, non solo li respinsero, ma ne distrussero la capitale Suessa Pometia[6].
494 a.C.
Nominato dittatore Manio Valerio Voluso Massimo, chiamò alle armi il popolo romano in massa. Si racconta, infatti, che furono formate ben 10 legioni, affidate tre a ciascuno dei due consoli dell'anno, e mantenendone così quattro sotto il diretto controllo del dittatore.[7]. Quest'ultimo elaborò un piano secondo il quale, Aulo Verginio Tricosto Celiomontano avrebbe condotto le proprie legioni contro i Volsci, Tito Veturio contro gli Equi, mentre egli stesso si sarebbe opposto ai Sabini. Aulo Verginio, alla testa delle tre legioni affidategli dal dittatore, mosse contro i Volsci, sbaragliandoli in campo aperto, nonostante i romani fossero in inferiorità numerica ed esitanti,[8] rincorrendoli fin dentro la loro città di Velletri, che fu conquistata e saccheggiata.

«...I Volsci erano numericamente di gran lunga superiori: per questo si buttarono sprezzanti allo sbaraglio. Il console romano non si mosse né permise di rispondere all'urlo di guerra, ma ordinò ai suoi di stare fermi e con le aste piantate a terra: soltanto quando il nemico fosse arrivato a distanza ravvicinata, avrebbero dovuto assalirlo con tutte le loro forze e risolvere la cosa con le spade. Quando i Volsci, affaticati dalla corsa e dal gran gridare, arrivarono sui Romani, apparentemente atterriti alla loro vista, e si resero conto del contrattacco in atto vedendo il bagliore delle spade, come se fossero finiti in un'imboscata, fecero dietro-front spaventati. Ma non avevano più la forza nemmeno di fuggire, perché si erano gettati in battaglia correndo. I Romani, invece, rimasti fermi nelle fasi iniziali, erano freschissimi: non fu quindi difficile per loro piombare sui nemici sfiniti e catturarne l'accampamento. Di lì inseguirono i Volsci rifugiatisi a Velitrae, dove vincitori e vinti irruppero come se fossero stati un esercito solo. Là, in un massacro generale e senza distinzioni, versarono più sangue che nella battaglia vera e propria.....»

Stessa sorte toccò anche agli eserciti guidati da Manio Valerio e Tito Veturio, che ebbero ragione dei propri nemici e poterono così far ritorno a Roma.
493 a.C.
Pochi anni dopo la battaglia del Lago Regillo, consoli Postumio Cominio Aurunco e Spurio Cassio Vecellino, a Roma, si ebbe la prima secessione della plebe, che si era ritirata sul Monte Sacro. La situazione era poi resa oltremodo complicata dalla necessità di definire un nuovo trattato (foedus) con i Latini, compito che fu affidato al console Spurio Cassio, trattato che da lui prese il nome (Foedus Cassianum), e dai preparativi bellici intrapresi dai Volsci, contro cui si decise di intraprendere l'ennesima azione militare, affidandola al console Postumio Cominio. Quest'ultimo iniziò la campagna militare guidando l'esercito romano contro i Volsci di Anzio, al termine della quale la città fu espugnata. Successivamente l'esercito romano marciò contro le città volsce di Longula, Polusca e Corioli,[9] che finirono per essere conquistate anch'esse dai Romani. Di quest'ultima si ricorda l'apporto decisivo di Gneo Marcio,[10][11] tanto che Tito Livio annota:

«....L'impresa di Marcio eclissò la gloria del console al punto che, se il trattato coi Latini, concluso dal solo Spurio Cassio in assenza del collega, non fosse rimasto inciso a perenne memoria su una colonna di bronzo, nessuno si ricorderebbe che Postumio Cominio combatté contro i Volsci»

488 a.C.
 
Gneo Marcio Coriolano venne fermato alle porte di Roma dalle implorazioni della madre Veturia e della moglie Volumnia, accorsa con i due figlioletti in braccio, che lo convinsero a desistere dal proprio proposito di distruggere Roma
Pochi anni più tardi quello stesso Coriolano che aveva contribuito a vincere i Volsci, si rifugiò in esilio forzato presso di loro.[12] Egli scelse la città di Anzio[13], ospite di Attio Tullio, eminente personalità tra i Volsci. I due, animati da forti sentimenti di rivincita nei confronti di Roma, iniziarono a tramare affinché tra i Volsci, più volte battuti in scontri campali dall'esercito romano, si sviluppassero nuovamente motivi di risentimento contro i romani, tali da far nascere in questi il desiderio di entrare in guerra contro il potente vicino.[14]

«... Marcio e Tullo discutevano di nascosto in Anzio con i più potenti e li spingevano a scatenare la guerra mentre i Romani si combattevano tra loro. Ma mentre i Volsci erano trattenuti dal pudore perché le due parti avevano concordato una tregua e un armistizio di due anni, e furono i Romani a fornire loro stessi il pretesto, annunziando durante certi spettacoli e giochi, sulla base di qualche sospetto o falsa accusa, che i Volsci dovevano lasciare la città prima del tramonto. ...»

Alla fine i Volsci decisero per una nuova guerra contro Roma, ed affidarono a Coriolano e ad Attio Tullio il comando dell'esercito.[12]

«....Il primo bersaglio fu Circei: ne cacciò i coloni romani e restituì la città, ora libera, ai Volsci. Quindi conquistò Satrico, Longula, Polusca, Corioli, Mugilla, tutte città recentemente sottomesse dai Romani. Poi riprese Lavinio e di lì, raggiungendo la via Latina tramite delle scorciatoie, catturò una dopo l'altra Corbione, Vetelia, Trebio, Labico, Pedo. Infine da Pedo marciò su Roma e si accampò presso le fosse Cluilie, a cinque miglia dalla città»

Ma, alle porte dell'Urbe al IV miglio della Via Latina, dove si trovava il confine dell'Ager Romanus Antiquus (nei pressi dell'attuale Via del Quadraro), mentre i consoli del 488 a.C., Spurio Nauzio e Sesto Furio, organizzavano le difese della città, venne fermato dalle implorazioni della madre Veturia e della moglie Volumnia, accorsa con i due figlioletti in braccio, che lo convinsero a desistere dal proposito di distruggere Roma.[10][12][15]

«....Coriolano saltò giù come una furia dal suo sedile e corse incontro alla madre per abbracciarla. Lei però, passata dalle suppliche alla collera, gli disse: «Fermo lì, prima di abbracciarmi: voglio sapere se qui ci troviamo da un nemico o da un figlio e se nel tuo accampamento devo considerarmi una prigioniera o una madre.»

Tito Livio[16] riporta come non ci fosse concordanza sulla morte di Coriolano; secondo parte della tradizione, fu ucciso dai Volsci, che lo considerarono un traditore, per aver sciolto l'esercito sotto le mura di Roma, secondo Fabio morì di vecchiaia in esilio.
486
Eletto console per la terza volta, Spurio Cassio Vecellino[17] marciò contro i Volsci e gli Ernici, e poiché i nemici chiesero subito la pace alla vista delle legioni romane, non ci fu nessuno scontro. Nonostante ciò Cassio ottenne il trionfo, che è registrato nei fasti trionfali.[1]
484 a.C.
Il centro principale degli Equi fu conquistato dai Romani una prima volta nel corso di quest'anno.[18]
I romani, condotti dal console Lucio Emilio Mamercino, subiscono una pesante sconfitta dai Volsci ad Anzio[19], riuscendo però a rifarsi nella successiva battaglia di Longula[20].
482 a.C.
Gli Equi attaccarono la città latina di Ortona, mentre i Veienti, ormai sazi di bottino, minacciavano di attaccare la stessa Roma.[21] Il console romano Gaio Giulio Iullo fu incaricato di condurre contro di loro una nuova guerra.
475 a.C.
Il console Publio Valerio Publicola si fece aiutare dai socii Latini ed Ernici, scagliandosi prima contro i Sabini ed espugnando l'accampamento mettendo in crisi anche la fiducia dei Veienti. La cavalleria di Valerio riuscì a scompaginare i difensori e a sbaragliare questi ultimi. Appena in tempo per fermare un attacco dei Volsci che a loro volta approfittavano delle difficoltà romane per compiere razzie e devastazioni.
471 a.C.
Il console, Appio Claudio Sabino Inregillense, cercò di vendicarsi contro la plebe usando severità estrema nel comando dell'esercito. Ciò creò, ovviamente, malcontenti e varie insubordinazioni, fino al punto che, quando gli Equi ed i Volsci affrontarono il console, moltissimi soldati gettarono le armi e fuggirono. Per questa ragione furono puniti con molta severità, un soldato su dieci.[22]
469 a.C.
Al comando di Tito Numicio Prisco, i Romani espugnano e distruggono la città volsca di Cenone, porto ed emporio di Anzio;[23]
468 a.C.
Al console Tito Quinzio Capitolino Barbato fu affidata la campagna militare contro Volsci ed Equi; la battaglia, che durò diversi giorni, fu combattuta a 30 stadi di distanza da Anzio[24], e alla fine vide i Romani vittoriosi, nonostante avessero combattuto in inferiorità numerica insieme agli eserciti alleati degli Ernici e dei Latini.[25] Poco dopo Anzio si arrese all'esercito romano che, lasciato un presidio in città, tornò a Roma, dove celebrò il trionfo;[1][26]
467 a.C.
I Romani fondano una colonia nel territorio di Anzio, e siglano un trattato di pace con gli Equi[27].
464 a.C.
Sempre al consolare Tito Quinzio Capitolino Barbato fu invece affidato quest'anno, il comando delle truppe alleate dei Latini ed Ernici, nel corso delle operazioni contro gli Equi per liberare l'accampamento del console di quell'anno, Spurio Furio Medullino Fuso, assediato dal nemico[28].
463 a.C.
Poiché Roma era colpita da una pestilenza, della quale rimasero vittime gli stessi consoli Lucio Ebuzio Helva e Publio Servilio Prisco, gli Equi ne devastarono le campagne, arrivando fin sotto le mura di Roma[29].
462 a.C.
Quest'anno il console Lucio Lucrezio Tricipitino condusse una nuova campagna militare sia contro gli Equi sia contro i Volsci, ottenendo al termine delle operazioni un trionfo. Il suo collega Tito Veturio Gemino Cicurino ottenne invece un'ovatio.[1]
459 a.C.
Gli Equi attaccarono Tuscolo e ne conquistarono la rocca. La riconoscenza dei romani per il determinante aiuto dato dai Tuscolani nella appena conclusa guerra servile fece muovere il console Lucio Cornelio Maluginense Uritino e le legioni di Roma in aiuto della città attaccata. Per alcuni mesi, l'altro console, Quinto Fabio Vibulano si divise fra l'assedio di Anzio contro i Volsci e le colline di Tusculum e proprio durante una delle assenze del console i Tuscolani riuscirono a scacciare, dopo averli affamati, i nemici dalla rocca. Gli Equi furono letteralmente denudati, fatti passare sotto il giogo e rimandati alle loro terre; il console, che stava tornando verso Tusculum li massacrò tutti alle falde del monte Algido. Per queste operazioni vittoriose, entrambi i consoli ottennero il trionfo.[1]
458 a.C.
 
Fu deciso di nominare un dittatore Lucio Quinzio Cincinnato, al quale furono inviati dei messi, mentre stava ancora arando i suoi campi.
Nel corso di quest'anno, gli Equi, rotto il patto stipulato pochi mesi prima con Roma, conferirono il comando a Gracco Clelio, il loro personaggio più in vista. E ricominciò il saccheggio dei territori romani.
(LA)

«Graccho duce in Labicanum agrum, inde in Tusculanum hostili populatione venunt, plenique predae in Algido castra locant.»

(IT)

«Sotto la guida di Gracco gli Equi invasero prima il territorio di Labico e poi quello di Tuscolo devastandolo [...] Carichi di preda posero gli accampamenti alle falde dell'Algido.»

Roma inviò ambasciatori - Quinto Fabio, Publio Volumnio e Aulo Postumio - per chiedere il rispetto dell'accordo. Gracco li trattò in modo sprezzante. Il senato ordinò che un console portasse l'esercito sul monte Algido contro Gracco e che l'altro console saccheggiasse il territorio degli Equi. I tribuni della plebe cercarono ancora una volta di fermare la leva, ma un esercito di Sabini si mise a devastare l'agro romano fin sotto le mura della città. La plebe prese le armi senza discussione e furono formati due grandi eserciti. Il console Gaio Nauzio Rutilo fu mandato nelle terre degli Equi mentre Lucio Minucio Esquilino Augurino partì con le sue legioni verso il monte Algido.
(LA)

«Minucius [...] nam cum haud procul ab hoste castra posuisset, nulla magnopere clade accepta castris se pavidus tenebat. Quod ubi senserant hostes, crevit ex metu alieno, ut fit, audacia, et nocte adorti castra postquam parum vis aperta profecerat, munitiones postero die circumdant.»

(IT)

«Minucio [...] aveva posto gli accampamenti non lontano dal nemico e, pur senza aver subito gravi sconfitte, si teneva pavidamente dentro le fortificazioni. I nemici se ne accorsero e, come succede, la paura del nemico fece correre l'ardimento: di notte aggredirono il campo, ma poiché l'assalto non aveva sortito effetto, il giorno dopo presero a costruire fortificazioni tutto attorno.»

Cinque cavalieri riuscirono a sfuggire alla stretta, rientrarono a Roma e informarono la città che il console e tutto il suo esercito erano sotto assedio sul monte Algido. Nauzio, l'altro console, fu richiamato ma non seppe affrontare la situazione. Con accordo generale fu deciso di nominare un dittatore. Fu scelto Lucio Quinzio Cincinnato. Quest'ultimo non perse tempo ed il giorno seguente, nel Foro nominò il suo magister equitum, fermò ogni attività legislativa, giudiziaria e commerciale, ordinando a tutti coloro che erano in età adatta al servizio militare di presentarsi prima del tramonto in Campo Marzio. I romani partirono per il monte Algido incitandosi a vicenda e ricordandosi l'un l'altro che i commilitoni erano assediati già da tre giorni. Tanto fu efficace questo incitamento che a metà della notte giunsero a ridosso dei nemici. Il suono delle trombe e le grida dei soldati romani spaventarono gli Equi e raggiunsero i commilitoni assediati che compresero, con sollievo, di essere stati raggiunti dagli aiuti e, soprattutto, fecero capire al console che non doveva più tergiversare. Gli assediati presero quindi le armi e si lanciarono anch'essi all'attacco con grande clamore. Una battaglia notturna estremamente rumorosa che informò Cincinnato e le sue forze che gli assediati si erano mossi e intralciavano il contrattacco degli Equi. Questi ultimi si trovarono così presi fra due fuochi. Combatterono fino all'alba con l'esercito di Lucio Minucio. I soccorritori ebbero, così, tutta la notte per finire il loro lavoro; al mattino la palizzata era terminata: gli Equi erano circondati. E qui iniziò una seconda battaglia mentre la prima non era ancora terminata. Gli Equi,
(LA)

«Tum ancipiti malo urgente, a proelio ad preces versi hinc dictatorem, hinc consulem orare, ne in occidione victoriam ponerent, ut inermes se inde abire sinerent.»

(IT)

«alla fine, schiacciati da due parti, passarono dal combattimento alle preghiere, supplicando da una parte il dittatore e dall'altra il console che non considerassero fondamentale per la loro vittoria sterminarli e li lasciassero andare, sia pure senza l'onore delle armi.»

Poco dopo espugnò anche la volsca Anzio.[30] Per questi successi Cincinnato ottenne il meritato trionfo alle idi di settembre dell'anno successivo.[1]
449 a.C.
Il console Lucio Valerio Potito ottenne nuovi successi ed il meritato trionfo sugli Equi,[1] e sui Volsci della città di Corioli. I turbolenti vicini, Volsci ed Equi, per i due anni successivi non attaccarono Roma (al 446 a.C.) permettendo all'Urbe di ricomporsi socialmente ed economicamente. Ma non poteva durare a lungo.
446 a.C.
Le ostilità ripresero. Stando a Tito Livio, furono i Volsci e gli Equi, spinti da capi avidi di bottino, a rompere la pace e gettarsi nel saccheggio delle campagne attorno a Roma. Ad un osservatore esterno, infatti, la città appariva divisa, si notava una plebe insofferente agli ordini e agli arruolamenti, la disciplina militare sembrava volatilizzata; Roma non era più quel compatto blocco sociale che dominava il territorio. L'occasione appariva perfetta per liberarsi di un vicino tanto forte e capace di usare quella forza. I due popoli riunirono i loro eserciti e si diedero al saccheggio del territorio dei Latini. I Romani presi dalle loro interne discordie non uscirono a contrastarli; gli attaccanti arrivarono fino alle porte della Città predando bestiame e, con calma, si acquartierarono a Corbione. Qui avvenne una battaglia decisiva dove i Romani ebbero la meglio.[31]
438 a.C.
Sembra che i Volsci si unirono a Veienti e Fidenati contro i Romani, ma anche questa volta furono sconfitti dal dittatore Mamerco Emilio Mamercino.[32]
406 a.C.
Venne quindi deciso di concentrare le azioni sui Volsci, l'esercito romano fu diviso in tre parti e mandato a saccheggiare il territorio dei nemici sotto il comando di tre dei quattro Tribuni militari. Lucio Valerio Potito si diresse su Anzio, Gneo Cornelio Cosso si diresse su Ecetra e Numerio Fabio Ambusto attaccò e conquistò Anxur lasciando la preda ai soldati di tutti e tre gli eserciti.[33]
394 a.C.?
Nel corso di quest'anno il centro principale degli Equi fu nuovamente conquistato dei Romani per la seconda volta.[34]
389 a.C.
Marco Furio Camillo combatté con successo contro gli Equi e contro i Volsci.[35] Sesto Giulio Frontino racconta che lo stesso Camillo, di fronte al suo esercito esitante, afferrò con la mano il portatore di insegna (signifer) e lo portò con sé contro Volsci ed Equi, gli altri si vergognarono e lo seguirono.[8]
 
Mappa del Latium vetus al termine del sacco di Roma del 390 a.C.. Legenda con i colori della città e colonie:

 Etruschi

 Falisci nemici di Roma

 Falisci alleati di Roma con guarnigione romana

 Romani

 Colonie romano-latine popolate soprattutto da Volsci

 Colonie romano-latine

 Latini neutrali

 Latini in guerra con Roma tra il 390 e il 377 a.C.

 Equi

 Ernici

 Volsci

 Città volsce o aurunce (o sannite per Atina)

 Popoli neutrali: Umbri, Sabini, Vestini,
                                      Marsi, Peligni e Aurunci

Conseguenze

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Guerre romano volsche dal 358 a.C. al 341 a.C.. I numeri in rosso indicano le tribù romane, mentre i pallini rossi, le città soggette a Roma; in viola le città latine; le colonie latine in giallo; a nord le città etrusche; in verde scuro le città volsce
  Lo stesso argomento in dettaglio: Tribù rustiche e Colonia romana.

Dopo oltre un secolo e mezzo di continue guerre, Volsci ed Equi vennero inglobati da Roma, facendo essi stessi parte del sistema repubblicano romano dopo un'iniziale colonizzazione dei loro territori, insieme ad Ernici, Sabini, Latini e Veienti.

358[36]-357 a.C.[37]
Dai Volsci sottomessi in modo pressoché definitivo, furono formate due nuove tribù rustiche: la Pomptina[36][37] e la Popillia o Poblilia.[36][37][38]
346 a.C.
Il console Marco Valerio Corvo ottenne una nuova vittoria e conseguente trionfo sui Volsci di Anzio e gli abitanti di Satricum.[1]
338 a.C.
Quest'anno fu dedotta una colonia di cittadini romani ad Anzio.
304 a.C.
Gli Equi furono sottomessi definitivamente solo alla fine della seconda guerra sannitica,[39] dopo nuovi successi ottenuti prima dal console Publio Sempronio Sofo nel 304 a.C. e poi dal dittatore del 302 a.C. Gaio Giunio Bubulco Bruto,[1] ricevendo però una forma limitata di libertà.[40] In seguito a questi eventi venne formata una nuova tribù rustica, l'Aniense (nel 299 a.C.[36]), costituita dopo la loro sottomissione. Essa era posizionata attorno alle località di Affile,[41] Ficulea,[42] Trebula Suffenas,[43] e Trevi nel Lazio.[44]
  1. ^ a b c d e f g h i Testo originale latino dei fasti triumphales: AE 1930, 60.
  2. ^ Livio Ab Urbe condita libri, I, 53; Strabone, Geografia V, 231; Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 8.
  3. ^ Strabone, Geografia, V, 3,4.
  4. ^ Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 8.
  5. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 1.25 e 1.44.
  6. ^ Dionigi, Antichità romane, lib. VI, § 25-29.
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 30
  8. ^ a b Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi militari, II.
  9. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VI, 2; Plutarco, Vita di Coriolano 8; Dionigi di Alicarnasso, VI, 92; Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 14.
  10. ^ a b Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 15.
  11. ^ Aurelio Vittore, De viris illustribus Urbis Romae, 19.1.
  12. ^ a b c Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 2.23.
  13. ^ Plutarco, Vite parallele, 6. Gneo Marcio Coriolano e Alcibiade, XXII, 1
  14. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 36, 37, 38
  15. ^ Aurelio Vittore, De viris illustribus Urbis Romae, 19.3-4.
  16. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 40
  17. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II, par. 41
  18. ^ Diodoro Siculo XI 40
  19. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 83-85.
  20. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 86.
  21. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 43.
  22. ^ Livio, Periochae ab Urbe condita libri, 2.29.
  23. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 56.
  24. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 58.
  25. ^

    «...venissetque in periculum summa rerum, ni T. Quinctius peregrinis copiis, cum Latino Hernicoque exercitu, subvenisset.»

    Livio narra come l'apporto delle legioni Erniche fu decisivo nella vittoria contro gli eserciti dei Volsci e degli Equi che stavano per avere la meglio su Roma, dopo un assedio a tradimento per la rottura improvvisa dei trattati di pace, cui Alatri e Ferentino non solo non aderirono, ma fecero in modo di avvertire Roma dell'imminente attacco.

  26. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 57-58.
  27. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 59.
  28. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 62-64.
  29. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 67-68.
  30. ^ Sesto Giulio Frontino, Stratagemmi militari, III.
  31. ^ Cassio Dione, Storia romana, Vol. 1, VII, 16-17.
  32. ^ Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 19.
  33. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 58-59.
  34. ^ Diodoro Siculo XIV 106
  35. ^ Livio, Ab Urbe condita, VI, 2; ">Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, II, 1.
  36. ^ a b c d J.Matthews e T.Cornell, Atlante del mondo romano, p.41.
  37. ^ a b c A.Piganiol, Le conquiste dei Romani, p.157.
  38. ^ Famiano Nardini, Antonio Nibby, Ottavio Falconieri, Flaminio Vacca, Roma antica, p.120.
  39. ^ Livio, Ab Urbe condita libri, IX, 45; Diodoro Siculo, XX, 101.
  40. ^ Cicerone Off. I, 35
  41. ^ CIL XIV, 3442.
  42. ^ CIL XIV, 4007.
  43. ^ AE 1933, 151; AE 1995, 424; CIL XIV, 3504; CIL XIV, 3508; CIL XIV, 3510.
  44. ^ CIL XIV, 3453.

Bibliografia

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Fonti primarie
Fonti secondarie

Voci correlate

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