Vittorio Emanuele Giuntella: differenze tra le versioni

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La sua opera maggiore è "Roma nel '700"
La sua opera maggiore è "Roma nel '700"
==Citazioni==
==Citazione==
Così Giuntella narra l'esperienza della deportazione:
Così Giuntella narra l'esperienza della deportazione:
{{quote|Gli [[ebrei]] erano molto pochi; a [[Lipsia]], nel [[settembre]] del 1943, alla nostra tradotta di carri bestiame si era affiancata un’altra tradotta, piena di donne e bambini. Noi eravamo militari e non ci sembrava strano esser fatti prigionieri dai tedeschi; ma rimanemmo molto scossi a vedere donne e bambini che non potevano che essere ebrei. Non riuscimmo a parlare, cosa che invece accadde poi nel secondo campo a Deblin Irena, dove al di là del nostro reticolato c’era un muro, al di là del quale c’erano delle ebree che si dicevano superstiti (per il momento) al [[massacro del ghetto di Varsavia]]. Parlando in [[lingua francese|francese]], cercavamo di tranquillizzarle, dicendo che sarebbe finita la guerra, anche perché in Italia non avevamo saputo nulla dei lager nazisti e non sapevamo nulla della persecuzione degli ebrei (e questo era molto grave); e queste ci raccontavano che cosa era successo nel [[ghetto di Varsavia]].<br />
{{quote|Gli [[ebrei]] erano molto pochi; a [[Lipsia]], nel [[settembre]] del 1943, alla nostra tradotta di carri bestiame si era affiancata un’altra tradotta, piena di donne e bambini. Noi eravamo militari e non ci sembrava strano esser fatti prigionieri dai tedeschi; ma rimanemmo molto scossi a vedere donne e bambini che non potevano che essere ebrei. Non riuscimmo a parlare, cosa che invece accadde poi nel secondo campo a Deblin Irena, dove al di là del nostro reticolato c’era un muro, al di là del quale c’erano delle ebree che si dicevano superstiti (per il momento) al [[massacro del ghetto di Varsavia]]. Parlando in [[lingua francese|francese]], cercavamo di tranquillizzarle, dicendo che sarebbe finita la guerra, anche perché in Italia non avevamo saputo nulla dei lager nazisti e non sapevamo nulla della persecuzione degli ebrei (e questo era molto grave); e queste ci raccontavano che cosa era successo nel [[ghetto di Varsavia]].<br />
Quando fummo trasferiti in un altro lager, ormai i [[URSS|sovietici]] erano assai vicini; due o tre mesi dopo ci trasferirono, e mentre eravamo alla stazione di Varsavia sentimmo delle esplosioni molto forti; i polacchi - che sono terribilmente [[antisemitismo|antisemiti]] - venivano a portare qualcosa da mangiare, e i tedeschi sparavano. La nostra salvezza negli ultimi giorni furono alcuni ufficiali [[Francia|francesi]], che erano stati evacuati con noi; con gli italiani, infatti, avrebbero potuto fare quello che volevano (ed infatti arrivò l’ordine di farci fuori tutti quanti, come sapemmo dopo). Infine arrivammo a Bergen Belsen, dove due mesi prima era morta [[Anna Frank]] e dove si continuava a morire; incontrammo un piccolo gruppo di ebrei di [[Rodi]], che si consideravano cittadini italiani. ...}}
Quando fummo trasferiti in un altro lager, ormai i [[URSS|sovietici]] erano assai vicini; due o tre mesi dopo ci trasferirono, e mentre eravamo alla stazione di Varsavia sentimmo delle esplosioni molto forti; i polacchi - che sono terribilmente [[antisemitismo|antisemiti]] - venivano a portare qualcosa da mangiare, e i tedeschi sparavano. La nostra salvezza negli ultimi giorni furono alcuni ufficiali [[Francia|francesi]], che erano stati evacuati con noi; con gli italiani, infatti, avrebbero potuto fare quello che volevano (ed infatti arrivò l’ordine di farci fuori tutti quanti, come sapemmo dopo). Infine arrivammo a Bergen Belsen, dove due mesi prima era morta [[Anna Frank]] e dove si continuava a morire; incontrammo un piccolo gruppo di ebrei di [[Rodi]], che si consideravano cittadini italiani. ...}}

{{quote|Il Lager degli italiani non fu un universo di vinti e di affamati; fu un mondo di resistenti, che prese su di sé la dignità e l’onore di un Paese, che aveva assistito al crollo di ogni autorità militare e civile, e lottò in condizioni che non è esagerato definire eroiche. Fu la presa di coscienza di un gruppo di italiani, che nella maggior parte aveva avuto come sola esperienza politica quella del fascismo, ma che aveva valutato direttamente e sulla propria pelle i disastri della guerra fascista, che l’imbelle retorica dei suoi gerarchi non poteva più nascondere. Nel Lager avvenne un fatto anomalo. Proprio lì, in un mondo dove era preclusa ogni volontà ed ogni scelta personale, fu chiesto agli italiani per la prima volta di esprimere individualmente una adesione, o un rifiuto, e si pronunciarono in massa per il rifiuto. Quel che ancora meraviglia è che lo stesso rifiuto fosse dichiarato dai soldati, con maggiore immediatezza, e dagli ufficiali, in campi separati e sparsi in Polonia e in Germania. Nella storia degli italiani è uno dei rarissimi episodi di una decisione collettiva presa con piena consapevolezza del rischio di morte, che comportava. Che al loro ritorno volutamente non ci si accorgesse di quel che avevano fatto è una delle manchevolezze della ricostruzione del Paese. Ci è voluto il recente caso di Leopoli, del quale ha parlato con autorità e competenza il generale Scandurra, per far scoprire questo aspetto, sconosciuto ai più, anche per colpa di chi avrebbe dovuto parlarne, della Resistenza degli italiani nei Lager: una resistenza disarmata, ma non ineme e inefficace, significativa soprattutto come affermazione di valori morali, che sono sempre da difendere, anche quando tutto il resto è perduto....}} Fra sterminio e sfruttamento. Militari internati e prigionieri di guerra nella Germania nazista (1939-1945), Casa Editrice Le Lettere, Firenze 1992.


{{Portale|biografie|Fascismo|Nazismo}}
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Versione delle 10:54, 27 nov 2011

Vittorio Emanuele Giuntella (Soriano nel Cimino, 8 luglio 1913Roma, 27 novembre 1996) è stato uno storico, docente e militare italiano. Dopo l'8 settembre 1943, tenente degli Alpini, fu uno degli ufficiali italiani che rifiutarono di servire i nazifascisti e fu internato in lager della Polonia e della Germania (Sanboster, Bergen-Belsen, Deblin, Wietzendorf).

Biografia

Ha speso tutto il resto della sua esistenza, oltre che nel lavoro, nella testimonianza della pagina nera della storia dell'umanità, da lui vissuta in prima persona. Fondamentali le riflessioni sulle fedi di fronte al totalitarismo.

Storico, bibliotecario del Senato della Repubblica, docente di storia dell'età dell'illuminismo all'Università di Roma, ha dedicato i suoi studi alla Repubblica Romana. Costantemente impegnato per i diritti umani, è stato tra i più autorevoli rappresentanti dell'Opera Nomadi.

Era padre del giornalista del TG1 Paolo Giuntella.

Opere

I suoi studi si incentrano sul '700 e sulle vicende della seconda guerra mondiale, della deportazione e della Resistenza. Fondamentale è il suo volume Il nazismo e i Lager, Studium, Roma 1979.

La sua opera maggiore è "Roma nel '700"

Citazione

Così Giuntella narra l'esperienza della deportazione:

«Gli ebrei erano molto pochi; a Lipsia, nel settembre del 1943, alla nostra tradotta di carri bestiame si era affiancata un’altra tradotta, piena di donne e bambini. Noi eravamo militari e non ci sembrava strano esser fatti prigionieri dai tedeschi; ma rimanemmo molto scossi a vedere donne e bambini che non potevano che essere ebrei. Non riuscimmo a parlare, cosa che invece accadde poi nel secondo campo a Deblin Irena, dove al di là del nostro reticolato c’era un muro, al di là del quale c’erano delle ebree che si dicevano superstiti (per il momento) al massacro del ghetto di Varsavia. Parlando in francese, cercavamo di tranquillizzarle, dicendo che sarebbe finita la guerra, anche perché in Italia non avevamo saputo nulla dei lager nazisti e non sapevamo nulla della persecuzione degli ebrei (e questo era molto grave); e queste ci raccontavano che cosa era successo nel ghetto di Varsavia.
Quando fummo trasferiti in un altro lager, ormai i sovietici erano assai vicini; due o tre mesi dopo ci trasferirono, e mentre eravamo alla stazione di Varsavia sentimmo delle esplosioni molto forti; i polacchi - che sono terribilmente antisemiti - venivano a portare qualcosa da mangiare, e i tedeschi sparavano. La nostra salvezza negli ultimi giorni furono alcuni ufficiali francesi, che erano stati evacuati con noi; con gli italiani, infatti, avrebbero potuto fare quello che volevano (ed infatti arrivò l’ordine di farci fuori tutti quanti, come sapemmo dopo). Infine arrivammo a Bergen Belsen, dove due mesi prima era morta Anna Frank e dove si continuava a morire; incontrammo un piccolo gruppo di ebrei di Rodi, che si consideravano cittadini italiani. ...»