Storia del colonialismo in Asia

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Dal XVI secolo, mercanti provenienti dall'Europa percorrono con sempre maggiore frequenza le rotte marittime asiatiche e progressivamente si stabiliscono sul continente: con l'occupazione di alcune città costiere e successivamente con quella di regioni più estese, prende avvio il colonialismo in Asia.[1] Nell'ultimo quarto dell'Ottocento, il Giappone e gli Stati Uniti affiancano le potenze europee nella conquista di colonie: il processo si conclude nei decenni centrali del Novecento, quando gli stati asiatici soggetti alle potenze coloniali ottengono l'indipendenza.[2]

La curiosità degli Europei per l'Asia si accentua con la diffusione dei resoconti dei viaggi di mercanti che percorrono la Via della seta in età medievale.[3] Proseguendo idealmente la Reconquista e desiderose di allacciare rapporti diretti con i produttori di spezie, aggirando gli intermediari arabi e veneziani,[4] la Corona portoghese e quella spagnola finanziano la ricerca di una rotta marittima verso l'Estremo Oriente: il tentativo della Spagna di raggiungere l'Asia navigando verso ovest porta alla scoperta delle Americhe nel 1492, mentre i Portoghesi, con Vasco da Gama, approdano in India nel 1498.[5]

Nel XVII secolo, le Province Unite sostituiscono il Portogallo come prima potenza europea in Asia, soppiantate a loro volta dalla Francia[1] e quindi dalla Gran Bretagna, che per tutto l'Ottocento dall'India contenderà l'egemonia sul continete asiatico alla Russia, impossessatasi della Siberia e delle steppe kazake.[6] Raggiunte attraversando l'Oceano Pacifico, la Spagna occupa le Filippine dalla seconda metà del Cinquecento al 1898, quando viene estromessa dagli Stati Uniti. La sconfitta dell'Impero Ottomano al termnine della Prima guerra mondiale, consente a Francia e Gran Bretagna di allargare la propria sfera di influenza nel Mondo arabo, rimasto indifferente ai progressi europei.[2] Il confronto con gli occidentali, induce invece il Giappone ad avviare un rapido processo di modernizzazione, al termine del quale occupa la Corea, ampie porzioni della Cina e, durante la Seconda guerra mondiale, tutto il sud-est asiatico.[2]

Le ragioni di tale fenomeno sono molteplici: innanzitutto, la Rivoluzione Industriale non si era ancora diffusa in queste regioni, rendendo così le popolazioni locali militarmente impotenti di fronte all'avanzata degli europei; inoltre, l'organizzazione militare di molti stati asiatici era debole rispetto a quella delle potenze europee; i governi locali erano perlopiù dispotici e poco rappresentativi; la sopravvivenza di odi interetnici e intertribali e il diffuso analfabetismo rendevano impossibile creare società locali coese che fossero servite da un buon sistema amministrativo.

Indien

Contemporaneamente all'affermasi dell'Impero Moghul, in India arrivarono i primi mercanti europei: portoghesi, francesi e olandesi si limitarono (sostenuti dai rispettivi stati e in rivalità fra loro) a costruire basi commerciali lungo la costa, dove acquistavano spezie destinate all'Europa.[1]

Gli inglesi si spinsero anche verso l'interno, sconfiggendo i Francesi nelle Guerre del Carnatic per l'India meridionale e combattendo l'Impero Maratha nell'India centro-settentrionale.[7] Strumento della penetrazione britannica fu la Compagnia Britannica delle Indie Orientali, che dal XVII secolo ebbe il compito di controllare i piccoli regni e sultanati (molti dei quali preferivano il dominio britannico a quello locale) formalmente autonomi che erano nati dalla dissoluzione dell'Impero Moghul. Nel 1858 la Compagnia venne sciolta e l'India, che fino a quel momento era rimasta politicamente indipendente, divenne una colonia della corona britannica, il British Raj, affidata al controllo di un governatore generale.

Cina

All'inizio del XX secolo la Cina si trova in una situazione di semi-colonia.[8] Conserva una formale autonomia, senza divenire esplicitamente colonia, perché le potenze dominanti sono più di una, le quali da una parte sono rivali fra loro, ma d'altro canto hanno interessi comuni nel mantenere aperto il mercato cinese.

Le principali potenze detengono il controllo su una città portuale cinese ed estendono la propria influenza sul territorio circostante:

Le altre potenze controllano singoli quartieri nelle principali città: le Concessioni straniere di Tientsin (dove si trova anche la Concessione italiana) e le Concessioni straniere di Shanghai.

Il colonialismo in Cina inizia con la guerra dell'oppio (1839-1842): grazie al facile successo militare, la Gran Bretagna costringe l'Impero cinese a aprire i suoi mercati all'oppio e alle merci britanniche. Il sistema era basato sui treaty ports (inizialmente cinque, poi saliti a varie decine): porti aperti al traffico internazionale sulla base di trattati ineguali, e sui territori concessi in affitto a potenze straniere.

L'imperatrice Cixi e la nobiltà sono contrari alla modernizzazione e occidentalizzazione del paese, ma non sono in grado di opporsi agli invasori. Le tensioni interne generano la xenofoba Rivolta dei Boxer (1899-1901); repressa da una coalizione internazionale, la Cina si trova ancora più sottomessa. La vera e propria occupazione militare si ha solo nel periodo tra le due guerre, ad opera dell'imperialismo giapponese.

Asia centrale e Siberia

Decisa a emanciparsi dai suoi antichi dominatori (i khanati superstiti dell'Impero mongolo) e determinata a raggiungere i “mari aperti”, la Russia intraprende la conquista delle terre situate a est dei monti Urali.[9] L'occidentalizzazione del Paese (intensificatasi con il sovrano Pietro il Grande, ma iniziata nel XVI secolo) fornisce gli strumenti necessari per prevalere sui popoli della Siberia e dell'Asia centrale.[9] Nel 1648 l'esploratore Semen Deznev entra per primo nell'Oceano Pacifico navigando da nord, nel 1727 viene raggiunto il confine cinese (dove l'emporio di Kjachta apre i commerci con l'Impero Qing) e nel 1860 (dopo la Convenzione di Pechino) viene fondata Vladivostock, prossima al confine con la Corea. L'espansione russa in Asia centrale (dal XIX secolo viene annesso il Turkestan occidentale e sottomessi il Khanato di Khiva e di quello di Bukhara) impensieriscono l'Impero britannico, che risponde mettendo sotto la propria influenza l'Afghanistan e sostenendo il Giappone nella guerra contro l'Impero degli zar.[6]

Medio Oriente

Dal primo Ottocento si intensifica la presenza navale britannica nelle acque del Golfo Persico. Intuendo il malcontendo arabo per il dominio turco-ottomano sulla regione, la Gran Bretagna si erge a protettrice dei piccoli emirati del Golfo, ottenendo in cambio l'esclusione dei suoi concorrenti europei dai mercati locali e la cessazione della secolare tratta araba di schiavi africani nell'Oceano Indiano. Nel 1915, con il trattato di Darin, il Sultanato del Neged, retto dai Sauditi, chiede e ottiene il sostegno britannico per contrastare il potere turco-ottomano che in due occasioni, prima alleato con l'Egitto, poi con i Rashidi, ha sconfitto i due precedenti regni sauditi, l'Emirato di Dir'iyya (nel 1818) e l'Emirato di Najd (nel 1887).[10] Durante la Rivolta araba del 1916, la Gran Bretagna offre il suo sostegno anche agli Hashemiti, desiderosi quanto i Sauditi di emanciparsi dal potere ottomano, offredo armi e istruttori militari contro le forze turche.[11] Terminata la Prima guerra mondiale, l'Impero ottomano sconfitto perde il proprio controllo sui territori arabi, che sono ormai in vista della loro indipendenza. La Società delle Nazioni affida ai britannici l'amministrazione provvisoria della Mesopotamia (dal 1920 al 1932); il Regno Arabo di Siria, formatosi dopo il ritiro turco, viene invece diviso in due diversi mandati (assecondando gli Accordi Sykes-Picot): la parte settentrionale viene affidata alla Francia (Mandato francese della Siria e del Libano), la parte meridionale al Regno Unito (Mandato britannico della Transgiordania e della Palestina).[11] Più a sud, il Regno hascemita dell'Hegiaz viene conquistato dai sauditi che con la sua annessione, riconosciuta dai britannici nel 1926 nel Trattato di Gedda, possono infine proclamare la nascita dell'Arabia Saudita.[10]

Sud-est asiatico

I Portoghesi conquistano Malacca nel 1511 e proseguono verso est raggiungendo le Molucche, le agognate Isole delle spezie, stabilendosi attorno al Mare di Banda.[12] Nel Settecento occupano la parte orientale di Timor (che conservano sino al 1975), mentre le altre posizioni vanno perse a vantaggio delle Province Unite, che nel 1602, con la Compagnia olandese delle Indie orientali, sono orami presenti in forze nella regione. Il dominio olandese si allarga a Giava, Sumatra, Isole della Sonda e Celebes e viene mantenuto nonostante i ripetuti attacchi degli Inglesi, che hanno fortuna solo durante le Guerre napoleoniche.[12] Al termine del conflitto, il Regno Unito trattiene solo i possedimenti della Penisola di Malacca, che dal 1826 vengono amministrati congiuntamente come Stabilimenti dello Stretto. Nei decenni successivi il Regno Unito allarga la propria sfera d'influenza al Borneo settentrionale (Protettorati su Sarawak, Brunei, Labuan e Sabah), mentre i Paesi Bassi al Borneo meridionale e alla parte occidentale della Nuova Guinea. Più a nord, partendo dall'India, i britannici intraprendono la conquista della Birmania, parallelamente la Francia annette l'Indocina: il confine fra i due possedimenti viene fissato sul fiume Mekong, mentre il Siam, nel mezzo, conserva la sua indipendenza, ma viene spartito in due distinte zone d'influenza. Nel 1898, l'esplosione della USS Maine davanti alle coste cubane porta gli Stati Uniti in guerra con la Spagna, che in Estremo Oriente devo cedere le Filippine, conquistate nel 1565. Per tutto il Seicento, a Manila affluisce una parte dell'argento che la Spagna estrae nelle sue colonie amricane e invia con un convoglio attraverso il Pacifico (sul Galeone di Manila): l'argento viene utilizzato per pagare i prodotti acquistati in Estremo Oriente destinati al mercato europeo.[13]

Giappone

Lo stesso argomento in dettaglio: Sakoku, Bakumatsu, Rinnovamento Meiji e Impero giapponese.

Temendo che il commercio con gli Europei, giunti nel Mar Giallo nel 1542, possa turbare gli equilibri interni faticosamente raggiunti dopo l'instabilità dei periodo Sengoku, lo shogunato Tokugawa decide, nel 1638, per la chiusura dei porti ai mercanti stranieri;[14] le rare informazioni sul mondo esterno filtrano dalla stazione commerciale olandese di Dejima, nel porto di Nagasaki. In Giappone, nei due secoli successivi, si manifestano allora due opposte tendenze: da un lato chi vorrebbe rifiutare ogni novità portata dagli occidentali,[14] dall'altro chi vorrebbe adottarne le tecniche[9] (→ Rangaku). Nel 1854 le navi nere del commodoro statunitense Matthew Perry costringono il Paese a sottoscrivere la Convenzione di Kanagawa, un trattato ineguale simile a quelli imposti dagli occidentali alla Cina. Il potere dello shogun ne esce indebolito e un gruppo di decisi riformatori si raccoglie dietro la figura del giovane imperatore Mutsuhito: prende allora forma il Rinnovamento Meiji, che esautora lo shogun e ricostruisce il potere imperiale, riuscendo nell'importazione della rivoluzione industriale dall'Europa e nell'introduzione di audaci riforme sociali (fine del potere dei samurai e dei daimyō, abbigliamento occidentale e scolarità obbligatoria).[15] La costruzione di una moderna flotta da guerra, con l'aiuto britannico, permette l'espansione del Giappone nei Paesi vicini: una vittoria sulla Cina nel 1895 porta all'annessione di Taiwan, quella sulla Russia nel 1905 consente di estendere l'influenza alla Corea e alla Manciuria,[6] l'intervento nella Prima guerra mondiale a fianco dell'Intesa consente di ottenere dalla Società delle Nazioni il mandato fiduciario sulle Isole del Pacifico appartenute all'Impero coloniale tedesco. Dal 1930 il sistema degenera in un militarismo spietato e brutale: crimini di guerra vengono perpetrati ai danni dalla popolazione civile coreana e cinese.[7] Con un'offensiva nel Sud-est asiatico vengono sconfitte singolarmente tutte le potenza coloniali: gli americani vengono cacciati dalle Filippine, i britannici dalla Malesia e dalla Birmania, i francesi dall'Indocina, gli olandesi dall'Indonesia e un raid aereo giunge a bombardare Darwin, in Australia.[7]

Spartizione dell'Asia per opera degli europei

Note

  1. ^ a b c Glenn J. Ames, The World Encompassed: The Age of European Discovery (1500-1700), Pearson Education Inc, 2008
  2. ^ a b c David Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni, Garzanti, 2001
  3. ^ Albert T'Serstevens, I precursori di Marco Polo, Garzanti, 1982
  4. ^ Carlo Maria Cipolla, Vele e cannoni, Il Mulino, 1999
  5. ^ Rondo Cameron e Larry Neal, A Concise Economic History of the World from Paleolithic Times to the Present, Oxford University Press, Oxford, 2003
  6. ^ a b c Peter Hopkirk, Il Grande gioco, Adelphi, 2004
  7. ^ a b c Niall Ferguson, Empire, Penguin Books, Londra, 2003
  8. ^ Wolfgang Reinhard, Storia del colonialismo, Einaudi, 2001, p. 220
  9. ^ a b c Arnold J. Toynbee, Mankind and Mother Earth, Oxford University Press, 1976
  10. ^ a b Tilman Seidensticker, Islamismo, Il Mulino, 2016
  11. ^ a b James L. Gelvin, The Modern Middle East. A History, Oxford University Press, 2020
  12. ^ a b Giles Milton, L'isola della noce moscata, Rizzoli, 1999
  13. ^ Carlo Maria Cipolla, Conquistadores, pirati, mercatanti, Il Mulino, 1996
  14. ^ a b Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà, Garzanti, 2000
  15. ^ Niall Ferguson, Civilization: The West and the Rest, Penguin, 2011