Induismo

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

L'Induismo è la più antica delle principali religioni del mondo e con più di 900 milioni di fedeli, è attualmente la terza più diffusa, dopo il Cristianesimo, che conta circa 2 miliardi di fedeli (un miliardo di cattolici, 500 milioni di protestanti, 240 milioni di ortodossi, 275 di altri), e l'Islamismo, che supera il miliardo.

Tentativo di definizione

Un uomo esegue abluzioni nel Gange a Varanasi (Benares), India.

L'induismo (सनातन धर्म) o più correttamente Sanātana Dharma (all'incirca "Eterna legge morale") è più un modo di vivere e di pensare che una religione organizzata. Storicamente, la parola "indù" non faceva riferimento a un sistema di credenze religiose: il termine, di origine persiana, indicava semplicemente coloro che, dal punto di vista dei persiani abitavano dall'altra parte dell'Indo. Dopo la colonizzazione britannica, il termine fu impiegato per indicare un insieme variabile di fatti religiosi.

Nel 1966 la Corte suprema dell'India ha definito il quadro della "fede indù" sui seguenti principi:

  1. l'accettazione rispettosa dei Veda come la più alta autorità riguardo agli argomenti religiosi e filosofici, e l'accettazione rispettosa dei Veda da parte dei pensatori e filosofi indù come base unica della filosofia indù;
  2. lo spirito di tolleranza e di buona volontà per comprendere e apprezzare il punto di vista dell'avversario, basato sulla rivelazione che la verità possiede molteplici apparenze;
  3. l'accettazione, da parte di ciascuno dei sei sistemi di filosofia indù, di un ritmo dell'esistenza cosmica che conosce periodi di creazione, di conservazione e di distruzione, periodi, o Yuga che si succedono senza fine;
  4. l'accettazione da parte di tutti i sistemi filosofici indù della fede nella rinascita e preesistenza degli esseri.
  5. il riconoscimento del fatto che i mezzi o i modi di raggiungere la salvezza sono molteplici;
  6. la comprensione della verità che, per quanto grande possa essere il numero delle divinità da adorare, si può essere indù e non credere che sia necessario adorare le murti (rappresentazioni) delle divinità;
  7. a differenza di altre religioni o fedi, la religione indù non è legata a un insieme definito di concetti filosofici.

Secondo un altro punto di vista, un "indù" è colui che crede alla filosofia esposta nei Veda (lett. "sapere", "conoscere"). I Veda sono forse le scritture religiose più antiche del mondo e il loro insegnamento di base è che la vera natura dell'uomo è divina. Dio, o il Brahman (come è di solito chiamata la matrice metafisica di tutto ciò che esiste) è presente in ogni essere vivente. La religione è dunque una ricerca e una conoscenza di sé, una ricerca del divino presente in ogni individuo. I Veda dichiarano che nessuno ha bisogno "di essere salvato", perché nessuno non è mai condannato; nel peggiore dei casi, si vive nell'ignoranza della propria vera natura divina.

Il Vedānta riconosce che ci sono molti approcci diversi a Dio, e tutti sono validi. Non importa quale genere di pratica spirituale si conduca, poiché ognuna conduce al medesimo stato di realizzazione del Sé. Così i Vedānta insegnano il rispetto di tutte le credenze e si distinguono dalla maggior parte delle altre fedi maggiori per il loro forte incoraggiamento alla tolleranza verso questi diversi sistemi di fede.

In sanscrito, il termine Sindhu indica in senso generale una distesa d'acqua (un mare, o un lago), ed in particolare il fiume Indo. Gli Arya chiamavano il proprio territorio Sapta Sindhu, la terra dei sette fiumi (tra i quali appunto l'Indo), con un'espressione attestata numerose volte nel Rig-veda. Il suono /s/ in persiano antico diventa /h/, e così nell'Avesta Sapta Sindhu diventa Hapta Hindhu. La regione a est del fiume Indo diventa così l'Hindustan, e i suoi abitanti sono chiamati "hindu" da Arabi e Persiani e, più tardi, da Greci e Romani. L'utilizzo del termine hindu nell'accezione di "abitanti dell'India", probabilmente a causa dell'influenza iraniana, è attestato in alcuni testi medioevali in sanscrito, quali Bhavishya Purâna, Kâlikâ Purâna, Merutantra, Râmakosha, Hemantakavikosha ed Adbhutarûpakosha.


L'induismo è definito anche "arya dharma", la religione degli Arya (e quindi nobile) e "Vaidika Dharma", la religione dei Veda.

La tradizione induista

Dare una definizione veritiera di induismo sembra un'impresa azzardata, tanto il concetto è complesso e multiforme. È dunque preferibile passare in rassegna l'induismo attraverso le sue idee e le sue pratiche. L'induismo esiste attualmente su due piani differenti, il primo basato puramente sulla fede e il secondo basato sulla filosofia, anche se spesso i due piani si incrociano.

  • Il piano filosofico:
Si contano tradizionalmente sei antiche astika o scuole di filosofia ortodosse (ortodosse perché accettano l'autorità dei Veda), dette Darshana o Shad Dharshana (le Sei Darshana): Nyaya, Vaisheshika, Samkhya, Yoga, Purva Mimamsa (o semplicemente Mimamsa) e Uttara Mimamsa (o Vedānta). Le nastika, o scuole non ortodosse, che non sono qui trattate, sono il giainismo, il buddismo, il chârvâka, e l'ateismo antico classico dell'India che confuta l'esistenza dell'anima o Ātman.
  • Il piano della fede:
Contrariamente all'opinione popolare, il vero induismo non è né politeistamonoteista, ma è propriamente una religione enoteista. Le diverse divinità e Avatar adorati dagli indù sono considerati come diverse forme dell'Uno, il Dio Supremo, o Brahman, che adotta per rendersi accessibile all'uomo (si presti attenzione a non confondere Brahman, l'Essere Supremo e fonte ultima di ogni energia divina, con Brahma, il creatore del nostro universo particolare).

Template:Triviabox

Il Brahmanesimo, che è la forma moderna della religione vedica si divide in rami, essi stessi divisi in varie correnti:

File:Varaha-boar.jpg
Varaha, il cinghiale, terzo avatar di Viṣṇu.

Ciascuno di questi culti si pratica con i medesimi mezzi filosofici o di yoga, sono solo i loro metodi che differiscono. Questi culti non devono essere considerati come delle "chiese", perché non esiste alcun dogma, e perché le credenze individuali sono sempre rispettate. La maggior parte degli indù si considera non appartenente a nessuna "setta" in particolare. Ci sono altresì numerose organizzazioni riformatrici, come l'Arya Samaj ("Società degli Arya") che adottano il monoteismo e la fede nei Veda, ma respingono l'idolatria.

I Vaishnava, che costituiscono approssimativamente l'80% degli indù di oggi, adorano uno dei tre più recenti avatar - o incarnazioni terrestri - di Viṣṇu come divinità principale. Il settimo avatar di Viṣṇu è Rama, l'ottavo è Kṛṣṇa, e il nono cambia secondo le fonti: è identificato con Buddha nella grande maggioranza delle scuole, ma anche, più raramente e meno seriamente, con Gesù Cristo. L'integrazione di Buddha nel pantheon indù è comparsa tardi, probabilmente nell'VIII secolo; questo procedimento - in fin dei conti abbastanza ardito - è l'espressione della controriforma brahmanica al Buddhismo, iniziata nel II secolo AC. Alcuni riconoscono tutti i personaggi menzionati come veri avatar, aumentando così il numero tradizionale di dieci avatar (incluso Kalki, che apparirà alla fine dell'era presente, il Kali Yuga) fino a 27.

La maggior parte degli indù restanti (il 20% del totale) sono Śivaiti; il resto si consacra a Shakti, o Ishvari, una delle cui forme è la dea Kali, una divinità benefica e terrifica al tempo stesso. Tuttavia, solitamente, il credente induista possiede nella propria dimora le rappresentazioni (murti) di molte di queste (ed altre) forme di Dio (Ishvara).

Credenze e pratiche comuni all'induismo

Benché l'induismo sia il nome comune di un insieme di culti diversi, ogni indù condivide un nucleo di valori comuni. La somma di questi valori identifica il credente indù.

Credenze di base

Nella estrema varietà dell'induismo si trovano dei valori comuni a tutti i credenti, ovvero:

La trasmigrazione dell'anima è regolata dal Karma: la filosofia del Karma è basata sulle azioni compiute dal soggetto, che resteranno impresse sulla sua anima (Ātman) dell'essere individuale (jiva), attraverso un ciclo di nascita e morte fino alla liberazione definitiva (moksha)

La teoria seconda la quale ci si possa convertire all'Induismo è contestabile. Infatti l'Induismo non è una fede evangelica come il Cristianesimo o l'Islam essendo totalmente assente dagli scritti induisti il momento della conversione religiosa, per uno straniero l'essere o meno indù dipende dalla sua accettazione come parte della comunità induista. L'Induismo, infatti, riconosce come egualmente validi numerosi cammini spirituali.

Peculiare è anche il fatto che, benché la mitologia indiana riconosca l'esistenza di esseri demoniaci (asura o rakshasa), opposti ai deva, la filosofia indiana non crede all'esistenza di un Diavolo, causa di tutto il male. Tale credenza diffama e sminuisce la perfezione e l'onnipotenza di Dio. Il male nel mondo è causato dall'ignoranza e dal libero arbitrio.

AUM, il suono primordiale

Lo stesso argomento in dettaglio: Aum.
Om, il più importante simbolo religioso dell'induismo.

Aum, solitamente translitterato in Om (ॐ), è il simbolo più sacro dell'Induismo, il suono primordiale, sintesi di ogni preghiera, rituale o formula sacra. Ė un segno carico di un messaggio simbolico profondo: è considerato come la vibrazione divina primitiva (Pranava) da cui ha avuto origine l'universo manifesto; rappresenta quindi la base metafisica di tutte le esistenze, l'abbraccio e fusione di tutta la natura nella Verità Ultima.

Viene utilizzato come prefisso (e talvolta come suffisso) nei mantra, e in quasi tutte le preghiere della tradizione induista.

Il Dio multi-forme ed il Dio “Senza forma”

Secondo alcuni non è corretto parlare di "Dio" in un contesto induista. Questo può essere vero solo in seguito ad un'analisi superficiale, poiché tale termine, nella cultura hindu, può riferirsi tanto alla totalità del Divino quanto ai Suoi singoli aspetti: ad esempio, l'aspetto personale o quello impersonale, l'aspetto creativo o quello distruttivo, l’aspetto femminile o quello maschile, l’aspetto dolce o quello austero, l'aspetto trascendente o quello immanente, e così via.

Questa tendenza a racchiudere in simbologie aspetti tra loro opposti e complementari spiega l'apparente contraddizione tra le varie forme di Dio venerati nell'Induismo. Ciò si riflette nel sistema delle murti (raffigurazioni di Dio o dei Suoi aspetti): per fare alcuni esempi, Devi (ossia l'aspetto materno/femminile di Dio), a seconda dell'aspetto che si vuole considerare, viene chiamata Kali (aspetto terrifico della Madre Divina che, per amore del devoto, distrugge i demoni) oppure Bhavani (aspetto creativo della Madre Divina, lett. "Colei che dà la vita"); e, allo stesso modo, Śiva (l'aspetto paterno/maschile di Dio) viene chiamato a seconda dei casi Hara (lett. Distruttore) o Shankara (lett. Benefico).

I Veda descrivono il Brahman (/brəh mən/) come la Realtà Ultima, l'Anima Assoluta ed Universale. Il Brahman, un panteistico Spirito Cosmico, è indescrivibile, incorporeo, originale, infinito, assoluto, trascendente ed immanente, eterno. È il principio ultimo che non ha avuto inizio, non ha una fine, è nascosto in tutte le cose ed è la causa, la fonte, la materia e l'effetto di tutta la creazione conosciuta e sconosciuta. Esso rappresenta la base del manifesto e dell'immanifesto, uno stato indifferenziato di puro essere, eternità e beatitudine,, situato al di là di qualsiasi speculazione filosofica o moto devozionale. La personalità che si cela dietro il Brahman è è conosciuta come Parabrahman (Brahman superiore).

Solitamente, con “Dio” in un contesto induista ci si riferisce al Dio-persona (generalmente chiamato Ishvara, che significa “il Signore Supremo”), o Bhagavan) il Dio con una Sua individualità, con degli attributi, con Nomi e Forme (in sanscrito, nama-rupa), il Dio dotato di tutti i poteri, al tempo stesso immanente e trascendente, il Dio che per amore dell’uomo si incarna ed impartisce gli insegnamenti necessari per ottenere la realizzazione spirituale. Ishvara (nelle sue innumerevoli forme e nomi) costituisce l’aspetto supremo di Dio presso i principali culti devozionali (Bhakti o Bhakti Yoga) monoteisti, ovvero Śivaismo (monoteismo di Śiva), Vaishnavismo (monoteismo di Viṣṇu / Kṛṣṇa) e Shaktismo (monoteismo di Devi, la Madre Divina, chiamata anche Shakti). È importante sottolineare, tuttavia, che nessuno di questi culti nega l’esistenza o la validità delle altre forme/nomi divini; ciò che varia in ognuno di essi è soltanto l’aspetto peculiare (di Dio) su cui ci si vuole focalizzare, per farne oggetto di devozione.

Secondo la scuola di pensiero del Vedānta, in particolare secondo la filosofia Advaita (filosofia della non dualità), esiste un substrato metafisico di tutto ciò che esiste - su tutti i piani, grossolano, sottile e causale - un vero e proprio supporto situato al di là di ogni individualità, sia che essa riguardi l'anima individuale (detta Jiva) o quella universale (Ishvara, o Dio-persona). Questo substrato si trova oltre il mondo dei nomi e delle forme, ed è appunto il Brahman.

Il potere divino, l'energia di Dio è manifestata nella Shakti. Pur tuttavia, il Dio e l'energia divina sono indivisibili ed unitari.

Oltre al Dio, nella tradizione induista esistono numerosi Deva, Dei, semidei o esseri celesti.

Il ciclo della vita

Come ogni religione, l'induismo ha fondato la sua fede su un rituale funebre particolare e su una originale concezione della morte. L'induista crede nella reincarnazione e nella vita dopo la morte, dal momento che il corpo è considerato un mero involucro materiale temporaneo. Quando giunge il momento di lasciare la vita, l'anima o Ātman abbandona il corpo. Se ha accumulato karma attraverso troppe azioni negative, l'anima si incarna in un nuovo corpo su un pianeta come la terra o inferiore, come l'inferno (Naraka), per subire il peso delle sue malvage azioni. Se il suo karma è positivo, vivrà come un essere divino, o deva, su uno dei mondi celesti (superiori alla terra, come il paradiso o Svarga) nei quali sperimenterà grandi piaceri spirituali, fino al momento in cui il suo karma positivo non sarà esaurito; allora l'anima ritornerà in un altro corpo sulla terra, facendo parte di una casta (o classe sociale) spiritualmente elevata. Questo ciclo è chiamato Saṃsāra. Quando il karma viene completamente assolto, l'anima abbandona definitivamente il mondo fisico (fatto di sofferenza, poiché soggetto a malattia, vecchiaia e morte) e può infine raggiungere la liberazione, Moksha, ovvero l'unione con Dio. Ma per realizzare questo obiettivo e spezzare il ciclo perpetuo di morte e rinascita, l'indù deve vivere in maniera che il suo karma non sia né negativo né positivo, ovvero agendo solo per dovere (Dharma), senza scopi egoistici, ed offrendo a Dio il frutto delle proprie azioni, così come prescrive la Bhagavad Gita; quest'ultima insegna vari metodi, o Yoga, tramite cui giungere a questo risultato, lasciando all'individuo la scelta del metodo che gli si addice di più, secondo le diverse scuole di filosofia indiana. Oggi, il credente indù, dal momento che vive in un'epoca estremamente materialista, chiamata Kali Yuga (lett. era delle tenebre, l'era attuale, caratterizzata da una diffusa ignoranza spirituale), preferisce scegliere sentieri spirituali semplici ed efficaci, come ad esempio quello del Bhakti Yoga (la via della devozione) o del Karma Yoga.

I quattro stadi della vita

Secondo la tradizione vedica, l'indù deve attraversare quattro stadi della vita o ashram (l'altro significato di questa parola designa un eremo di sannyasi). Questi quattro periodi della vita sono:

  1. Il brâhmâcârya: il giovane indù, sotto la guida del suo maestro o guru, osserva un periodo di castità e di formazione, tanto profana quanto spirituale, durante la quale svilupperà il suo sapere e la sua virtù.
  2. Il garhasthya: l'indù entra nella vita mondana, si sposa e fonda una famiglia, che è anche un dovere religioso. Durante questo periodo, ha il diritto di godere della vita, contemporaneamente imparando ad avere dominio di sé.
  3. Il vânaprasthya: dopo aver compiuto il suo dovere sociale, l'indù lascia la sua famiglia, a cui ha lasciato mezzi di sussistenza, e va a vivere un periodo di studio delle scritture sacre nel "soggiorno nella foresta", praticandovi la meditazione e il digiuno.
  4. Il samnyâsa: l'indù raggiunge lo stato di rinuncia, disinteressandosi dal mondo, e diviene un samnyasi. Distaccato dal mondo, può ritornare tra i suoi poiché non teme più le tentazioni materiali e potrà far partecipi coloro che lo circondano della sua esperienza e del suo sapere.

Template:Triviabox

I quattro scopi della vita

In parallelo ai quattro periodi della vita indù, l'induismo ritiene che esistano quattro scopi all'esistenza o purushārtha. Poiché i desideri umani sono naturali, ciascuno di questi scopi serve a perfezionare la conoscenza dell'uomo dal momento che, tramite il risveglio dei sensi e la sua partecipazione al mondo, ne scopre i princìpi. Ciò nonostante, l'indù deve guardarsi dall'essere affascinato da questi scopi, sotto la pena di errare senza fine nel ciclo del Saṃsāra. Gli scopi sono:

  1. Artha o la ricchezza: l'uomo deve partecipare alla società creandosi un patrimonio e delle relazioni che saranno il frutto del suo lavoro. Deve fare attenzione però a non farsi ingannare dal fascino di una vita agiata, la quale deve venire usata per trarne un insegnamento. Il periodo del Grihastha è propizio al perseguimento di questo fine.
  2. Kâma o il piacere: contrariamente alla tradizione cristiana, il piacere non è percepito come un male: è un dono della divinità. Nella mitologia induista, il dio Amore, Kāma, è la sorgente della creazione. Il Kama Sutra espone i mezzi per esaltare i sensi e far fiorire la vita di coppia. Grazie ai piaceri, il campo della conoscenza si allarga e l'atto amoroso ne è il culmine, in cui l'uomo e la donna non si distinguono più, ma formano un tutt'uno che ricrea l'unità divina. Il piacere deve essere diretto allo scopo di conoscere e non deve diventare uno stile di vita che condurrebbe a commettere degli atti immorali o contro il dharma.
  3. Dharma o il dovere: il dharma deve dirigere tutti i quattro periodi della vita. Il dovere permette all'uomo di proseguire la propria vita sul retto cammino, conformandosi al diritto e alla morale che sono trascritti nel Dharma Sūtra o nel Manu-Samhitā detto anche Legge di Manu.
  4. Moksha o la liberazione: durante i due ultimi periodi della vita dell'indù, questo ricerca Moksha. Si tratta in realtà dello scopo ultimo della vita, che può essere raggiunto attraverso mezzi differenti, come ad esempio il Bhakti Yoga.

Template:Triviabox

La vita sociale-Le quattro classi della società

La società indù è tradizionalmente divisa in quattro grandi classi o caste, basati sulle professioni e sul guna da cui sono influenzati:

  • Brahmana, sacerdoti ed insegnati (Sattva guna)
  • Kshatrya, re, guerrieri ed amministratori (Rajas)
  • Vaishya, agricoltori, mercanti, uomini d'affari (Rajas e Tamas)
  • Shudra, servitori ed operai (Tamas)

Queste classi sono chiamate varna, ed il sistema sociale è il Varna Vyavastha

In India si ritiene che la società è organizzata secondo l'equilibrio del dharma. Questa organizzazione permette l'armonizzazione dei rapporti tra gli uomini e di definire i doveri che spettano loro. Questa preoccupazione per l'equilibrio ha un'origine dottrinale, perché essa corrisponde, di fatto, al simbolismo dei Guna, o qualità/sapori. Ai tre Guna corrispondono i tre colori che sono ciascuno associato ad una casta.

All'origine, l'indù non nasce in una casta: acquisterà la sua casta in funzione del ruolo e delle responsabilità che sarà condotto a ricoprire. Molti testi mitologici denunciano l'usurpazione del titolo di brahmino da parte di certi personaggi che, sotto la copertura della nascita, approfittano di uno status importante senza compiere i propri doveri.

Non è chiaro se il sistema delle caste sia o meno parte integrante dell'induismo: i testi Shruti ne fanno raramente menzione, il sistema è invece regolato dai testi Smriti. In precedenza, il sistema era basato esclusivamente sulla professione, e vi sono decine di esempi di matrimoni tra differenti varna e di cambi di professione. Più tardi (sembra intorno 900 a.C., ma gli storici avanzano differenti ipotesi), invece, il sistema diventò rigido e basato sullo status acquisito per nascita. Succesivamente, con lo sviluppo di numerose sotto-caste e di una casta di intoccabili (Dalit)al di fuori del Varna Vyavastha, è nato il sistema delle caste così come lo conosciamo oggi. In seguito alle invasioni e alla colonizzazione britannica, la regola si è fatta ancora più stretta a vantaggio delle caste superiori, relegando i shudra alla posizione di dominati. Dopo l'indipendenza del 1947, anche grazie all'opera di Gandhi, vengono emanate molte leggi per sradicare il sistema delle caste, ma ancora oggi esistono diversi pregiudizi, soprattutto nei confronti degli "intoccabili".

Questo sistema, che sembra arcaico, è tuttavia pur sempre simile a quello in vigore nelle società occidentali: in genere, sono pochi gli uomini di umile estrazione che riescono ad arrivare ai piani alti della società. In Occidente, tuttavia, l'organizzazione sociale non è dogmatica, ma pratica, e il suo sentimento di incomprensione si spiega per la sua assimilazione all'antico sistema feudale europeo. Si ignora spesso che questo sistema, che si ritrova anche nel regno animale, come nelle formiche, e nell'organizzazione della famiglia, è evolutivo e che si adatta di fatto all'evoluzione sociale: che il sistema sia aristocratico, teocratico, proletario o borghese si ritrova una gerarchia simile che le crisi e le fratture sociali illustrano.

I Templi

Un devoto di Śiva esegue la Puja al Lingam, che ne è il simbolo.

I templi indù (i Mandir) hanno ereditato dei riti e delle tradizioni antiche e molto elaborate, ed occupano uno spazio speciale all'interno della società indiana. Normalmente sono dedicati ad una divinità principale e a delle alle divinità subalterne, associate alla divinità principale. Alcuni templi sono tuttavia dedicati a divinità multiple. Quasi tutti i templi maggiori sono costruiti in accordo con gli agama shastra, e sono meta di pellegrinaggio. Per molti indù, i quattro Shankaracharya (i responsabili dei monasteri di Badrinath, Puri, Sringeri et Dwarka - quattro tra i monasteri più sacri- e per alcuni anche un quinto, quello di Kanchi) sono considerati come i principali "patriarchi" dell'induismo.

Il tempio è un luogo per ricevere il darshan (la visione della divinità), per la puja, per la meditazione e per altre attività religiose. Il puja, o adorazione, è generalmente rivolta ad una murti (statua o icona nella quale si invoca la presenza divina), congiuntamente a canti e preghiere sotto forma di mantra. L'adorazione delle murti è fatta quotidianamente all'interno dei templi, e fa parte integrante della bhakti. La maggior parte delle case indù ha una stanza o uno spazio consacrato per l'adorazione quotidiana e la meditazione religiosa.

La non-violenza e la dieta vegetariana

Krishna insieme a Radha e una vacca [1]

Ahimsâ è un concetto che raccomanda la non-violenza e il rispetto per tutte le forme di vita. Il termine ahimsâ compare per la prima volta nelle Upaniṣad e nel Raja Yoga, è la prima delle cinque yama, o voti eterni, le restrizioni dello Yoga.

Molti induisti praticano il vegetarismo come una forma di rispetto per ogni forma di vita. Esso inoltre è raccomandato per le sue virtù purificatrici (sattva) come un modus vivendi sano e igienico. Al giorno d'oggi, secondo le stime, il 30% della popolazione indù adotta una dieta vegetariana, questa è molto praticata soprattutto dalle comunità ortodosse dell'India del Sud, in alcuni stati del Nord come Gujarat, e in molti eremi di brahmana. Questa dieta è basata principalmente su latte e vegetali, qualcuno evita anche l'aglio e la cipolla poiché si crede abbiano proprietà rajasiche, vale a dire passionali.

Gli indù che mangiano la carne (pollo, montone, pesce e capra) per lo più si astengono dal consumo di carne di mucca, e qualcuno si astiene anche dall'utilizzo di prodotti come il cuoio. La maggior parte degli indù considera infatti la mucca come il miglior esempio della benevolenza degli animali e, poiché è l'animale più apprezzato per il latte, è riverita e rispettata come una madre. Di conseguenza non stupisce il fatto che nella maggior parte di città sante indù sia vietata la vendita di carne di mucca (spesso di qualsiasi tipo di carne) e che esistano dei divieti sull'abbattimento delle mucche in quasi tutti gli Stati dell'India. La pratica (piuttosto rara) di sacrificare delle capre o altri animali nei templi della Dea madre è scomparsa a causa delle critiche degli altri indù.

Il Vedismo: le origini dell'Induismo

Restano pochissime informazioni sull'Induismo primitivo. I documenti più antichi conosciuti sono i Veda, che si ritiene siano stati codificati nella loro forma attuale secoli prima delle prime versioni scritte note e trasmessi con esattezza per tradizione orale. I testi più antichi sono scritti in una variante arcaica di sanscrito, e presentano delle somiglianze con i testi dello Zoroastrismo. Di fatto, il sanscrito e l'avestico, la lingua dello Zoroastrismo, sono lingue molto vicine. L'età dei Veda e l'origine dei loro autori sono dei soggetti controversi, sebbene appaia chiaro che la religione vedica avesse tratti molto arcaici, strettamente connessi con l'arcaica società indoeuropea.

Le scritture sacre

Le scritture sacre dell'India antica si classifica in tre categorie: i Veda, le scritture della religione vedica, da cui deriva l'induismo moderno, le scritture induiste post-vediche, e le scritture dei movimenti dissidenti come il jainismo ed il buddhismo. Questi ultimi testi costituiscono una reazione ai Veda, ma vi restano fortemente legati in termini di insegnamenti e di concezione generale della vita. Qui verranno esaminate solo le prime due categorie.


La Shruti: I Veda

I Veda sono considerati i testi religiosi più antichi del mondo, e vengono definiti in sascrito "Śruti" o "Shruti" (ciò che è stato ascoltato/rivelato). Si dice infatti che siano stati rivelati dallo Spirito Supremo (Brahman) o da Dio ai rishi, durante uno stato di meditazione profonda. I Veda sono stati tradizionalmente trasmessi oralmente da padre in figlio, da maestro (guru) a discepolo. Successivamente vennero trascritti da un saggio chiamato Vyāsa o Vyāsadeva, il compilatore. Sulla base di vari indizi e riferimenti interni ed esterni ai testi, i ricercatori hanno avanzato ipotesi molto diverse sulla datazione dei Veda, dal 5.000 al 1.500 a.C.

Una pagina del Rig Veda

Secondo la visione induista tradizionale, i Veda sono senza inizio né fine, e le verità in essi contenute sono eterne, e non sono creazioni umane, a differenza degli insegnamenti di Buddismo e Giainismo.

La tradizione vuole che i Veda siano stati suddivisi in quattro parti dal grande rishi di nome Vyasa, ovvero Rig Veda, Yajur Veda, Sama Veda e Atharva Veda.

Il Rig-Veda contiene dei mantra per invocare i deva per il rito del sacrificio del fuoco (Yajña); il Sama-Veda contiene dei canti per lo stesso sacrificio; lo Yajur-Veda contiene delle istruzioni per la celebrazione di riti; l'Atharva-Veda comprende dei carmi filosofici e semi-magici (contro i nemici, le malattie, e gli errori commessi durante i riti).

Ciascuno è diviso in quattro sezioni:

  • Samhitâ: mantra e inni
  • Brâhmana: testi liturgici e rituali
  • Âranyaka: la sezione teologica
  • Upaniṣad: la sezione speculativa

I Veda sono testi pieni di misticismo e di allegorie. Molte scuole filosofiche come l'Advaitismo incoraggiano ad interpretarli filosoficamente e metaforicamente, ma a non prenderli troppo alla lettera. Il suono dei mantra è considerato purificante, e per tale motivo c'è un'attenzione rigorosa per l'erudizione e la pronuncia corretta.

La religione vedica, in particolare durante il suo periodo arcaico, era differente dall'induismo attuale per numerosi aspetti, tra i quali, ad esempio, il riferirsi alle donne come autorità religiose (con l'esistenza di donne rishi), l'apparente mancanza della credenza nella reincarnazione, ed un pantheon differente (con Indra a capo degli Dei).

La Smriti: Le scritture post-vediche

I testi sacri più recenti dell'induismo sono denominati "Smṛiti" o "Smriti" (ciò che è ricordato, memoria, tradizione).

Mentre la letteratura "Shruti" è scritta in sanscrito vedico, la Smriti è scritta in sanscrito classico (di difficile comprensione e soggetto quindi ad interpretazione), maggiormente semplice e comprensibile, o in prâkrit, la "lingua comune". Maggiormente accessibili a tutti, la letteratura Smriti ha conosciuto una grande popolarità in all'interno di tutta la società indiana sin dalle origini. Anche oggi la maggior parte del mondo induista ha maggiore familiarità con la Smriti, divulgata anche attraverso telefilm, film, rappresentazioni, balletti, dipinti, sculture, racconti, ed altre forme artistiche, a differenza di una Shruti divenuta di esclusiva pertinenza dei brahmana. La Smriti, con le sue storie di re, eroi e Dei, corrisponde dunque alla letteratura popolare, ed assolve ad una funzione didattica e divulgativa, malgrado, in caso di apparente contraddizione, la Shruti venga riconosciuta come prioritaria.


La letteratura Smriti comprende:

Anche i Dharmashâstra (Libri della legge) fanno parte della Smriti.

La filosofia dell'induismo

Lo stesso argomento in dettaglio: Vedānta, Advaita vedānta, Yoga e Darshana.

Peculiare dell'induismo è il suo intimo legame con la filosofia e con la scienza in generale (sia scienze sociali che fisiche). Contrariamente all'Occidente, in cui infatti numerosi furono i conflitti ed i punti di attrito tra Scienza e Religione, l'induismo accetta e digerisce ogni nuova scoperta, inglobandola nel proprio sistema filosofico.

In un testo di mitologia sono così presenti informazioni di teologia, astronomia, filosofia e molto altro ancora: leggere un Purāna (ad es. il Bhâgavata-purâna) è prima di tutto leggere un'enciclopedia.

Gli studiosi distinguono due filoni filosofici principali: le filosofie astika, che riconoscono l'autorità dei Veda (ossia le sei darshana: Samkhya, Nyaya, Vaisheshika, Purva Mimamsa, Yoga e Vedānta), e le filosofie nastika, che invece li respingono (Giainismo, Buddhismo, Chârvâka ed Ateismo).

Purva-Mimamsa

L'obiettivo principale della scuola del Purva Mimamsa è quello di stabilire con forza l'autorità dei Veda. Il contributo più rilevante della scuola, di conseguenza, è quello di avere formulato delle regole d'intepretazione dei Veda. I suoi aderenti hanno creduto fermamente che la vera conoscenza fosse provata con evidenza, ed hanno cercato di scoprire la base del ritualismo vedico attraverso la ragione. La Mimansa forma la base del ritualismo nell'induismo contemporaneo, che appare spesso affatto politeista.

Yoga

Nell'induismo lo Yoga è considerato come un modo per raggiungere degli scopi spirituali. La parola yoga, letteralmente, significa unione, ed è generalmente interpretata come l'unione con Dio, o come l'integrazione tra corpo, spirito e anima. Scopo dello yoga è il moksha o il samadhi. Lo yoga cerca di raggiungere la liberazione attraverso il distacco tra lo spirito dalla natura materiale (prakŗti), con la meditazione, gli esercizi fisici e spirituali. Le posture dello yoga (asana) sono considerate salutari.

Uttara-Mimamsa o Vedānta

La scuola dell’Uttara-Mimamsa (sanscrito "Uttara", posteriore), chiamata anche Vedānta, è probabilmente il pilatro centrale dll'induismo, ed è stata certamente responsabile di un nuovo insegnamento filosofico e meditativo, del rinnovamento e della rinascita dell'induismo e della filosofia indiana. Esistono sei sotto-scuole del vedānta, la più celebre delle quali è l'Advaita vedānta fondata da Adi Shankara. I Vaishnava, adoratori di Kṛṣṇa, seguono un'altra scuola del vedānta, l'"Acintya Bhedabheda", fondata da Caitanya Mahaprabhu, in forte disaccordo con l'Advaita Vedānta.

L'induismo nel mondo

L’India, le Mauritius ed il Nepal sono nazioni a maggioranza induista. Il Nepal è l'unica nazione in cui l'induismo sia la religione ufficiale.

L'Asia del Sud Est è diventata in larga parte induista dopo il III secolo, e fece parte dell'Impero Chola intorno al XI secolo. Quest'inlfuenza ha lasciato numerose tracce architettoniche, come la famosa città-tempio di Angkor Vat o tracce culturali come le danze del Bharata Natyam e del Kathakali. L'isola di Bali è a maggioranza induista, nel mezzo dell'arcipelago indonesiano, a maggioranza islamica. La stessa Indonesia ha conservato come proprio simbolo nazionale Garuda, il gigantesco uccello che trasporta Viṣṇu.

Si trovano altresì minoranze induiste in molti paesi: Bangladesh (11 milioni), Myanmar (2,1 milioni), Sri Lanka (2,5 milioni), Stati Uniti (1,7 milioni), Pakistan (1,3 milioni), Sud Africa (1,2 milioni), Gran Bretagna (1,2 milioni), Malesia (1,1 milioni), Canada (0,7 milioni), Fiji (0,5 milioni), Trinidad e Tobago (0,5 milioni), Guyana (0,4 milioni), Paesi Bassi (0,4 milioni) e Suriname (0,2 milioni).

Saggi e mistici indiani

(in ordine alfabetico)

Vedere anche

Bibliografia

  • Dizionario della saggezza orientale, ed. Robert Laffont, 2002
  • Alain Daniélou, Miti e Dei dell'Indo, il politeismo indù, ed. Flammarion, 1992
  • Jean Herbert, La mitologia Indù, il suo messaggio, ed. Albin Michel, 1980
  • Pisani V., Le letterature dell’India, Sansoni Ed., Firenze 1970.
  • Schwarz A., Il culto della donna nella tradizione indiana, Laterza Ed., Bari, 1983.
  • Stutley M. e J., Dizionario dell’induismo, Ubaldini Ed., Roma, 1980.
  • Verni P., Il culto del Lingam, Sansoni Ed., Milano, 1976.
  • Koller, Le filosofie orientali, Ubaldini, Roma 1971
  • Tucci, Storia della filosofia indiana, Laterza, Roma-Bari 1987
  • A.T. Embree-F.Wilhelm, India, Storia universale Feltrinelli, vol. 17, Feltrinelli Editore, Milano 1968;
  • H.von Glasenapp, Le Religioni dell’India, Torino 1996;
  • A. Sannino Pellegrini, Incontro con le religioni dell'India, Università degli Studi di Palermo, 1990

Voci correlate

Collegamenti esterni

Template:Induismo Template:Religioni

Template:Link AdQ Template:Link AdQ