Storia di Lanciano

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Voce principale: Lanciano.
Veduta della facciata e del campanile della Cattedrale della Madonna del Ponte

La storia di Lanciano è molto antica essendo stata la città un centro di primaria importanza politica e commerciale.

Dal Paleolitico alla conquista romana

Il ponte romano di Diocleziano (III secolo) sotto la Cattedrale

Il territorio di Lanciano è stato abitato con continuità fin dal Paleolitico: la presenza umana più antica è testimoniata da ritrovamenti di strumenti in selce e pietra, risalenti a trentamila anni fa.[1]

Diversi, poi, sono i reperti di epoca neolitica. I più importanti furono portati alla luce nel 1969 in contrada Marcianese, nel cosiddetto Villaggio Rossi: di questo insediamento sono riemersi fondi di capanna con frammenti di utensili e resti animali ed umani, il tutto risalente ad una comunità che lo avrebbe abitato nel periodo tra VI e V millennio a.C.. Successivi scavi nel corso degli Anni Novanta hanno permesso di ritrovare altre testimonianze risalenti al III millennio a.C. nel sito dell'attuale centro storico.[2]

Parlando di Lanciano come città, le sue origini affondano nel mito. La tradizione, tramandata da due storici del Seicento come Giacomo Fella e Luca Pollidori, vuole che essa sia stata fondata nel 1179 a.C. da Solima, profugo troiano approdato in Italia insieme ad Enea, un anno dopo la distruzione della stessa Troia nel 1180 a.C., col nome di Anxanon o Anxia (dal nome di un compagno morto in guerra). Solima, secondo altre credenze di epoca medioevale, avrebbe fondato di lì a poco anche la città di Sulmona. Il nome si sarebbe poi evoluto in Anxanum con la conquista romana (II secolo a.C.) e in Lanzano nel Medioevo sino a divenire quello attuale.[1]

Secondo le notizie di alcuni storici romani (Varrone, Livio e Plinio il Vecchio), in seguito Anxanon fu capitale del popolo Frentano, gente di stirpe sannitica che occupò l'area costiera tra il Pescara ed il Fortore a partire dal V secolo a.C. In quest'epoca, probabilmente, la città subì l'influsso culturale dei Greci, che allora controllavano i traffici commerciali sulla sponda occidentale dell'Adriatico. Tra il IV secolo a.C. ed il III secolo a.C. i Frentani presero parte alle prime due guerre sannitiche, accettando di diventare foederati dei Romani dopo la sconfitta subita nel 304 a.C..

Epoca romana

Lo stesso argomento in dettaglio: Anxanum.
veduta del centro storico con la Cattedrale

Come detto, Anxanon entrò nella sfera di influenza di Roma intorno al 304 a.C.. A differenza delle altre popolazioni di ceppo sannita, essi rimasero fedeli a Roma durante le guerre puniche. Nella guerra sociale del 90 a.C., invece, furono tra i fautori della Lega Italica. Al termine di questo conflitto i Frentani beneficiarono dell'estensione della cittadinanza romana a tutti i popoli italici. In quest'epoca dovette subire anche la romanizzazione del nome, da Anxanon in Anxanum. Alcuni decenni dopo, con la riorganizzazione amministrativa dell'Italia voluta da Augusto, la città fu ascritta alla tribù Arniense, all'interno della Regio IV Samnium.

La città fu ordinata in seno alla Repubblica Romana come municipium: fatto attestato da una lapide, dapprima murata nel campanile di Piazza Plebiscito e, poi, fortemente danneggiata in seguito ai bombardamenti tedeschi del 6 aprile 1944. I frammenti della lapide furono in seguito ricomposti ed oggi si trovano nella parete sinistra del secondo piano del Palazzo Comunale. L'autenticità della lapide fu riconosciuta da Theodor Mommsen in una sua opera (vol. IX - Berlino 1883 pag. 280 n. 2998), nella quale afferma che questa fu rinvenuta dal poeta Oliviero nel 1510; questi la portò in Contrada Santa Giusta e da qui, nel 1520, fu ritrasferita in città per ordine del pretore Alfonso Belmonte. Lo stesso Mommsen afferma che "Lanciano fu senza dubbio un municipio romano".[3]

In epoca romana Lanciano dovette conoscere una buona prosperità grazie alle sue fiere, dette nundinae, come testimoniato anche dagli scritti di in scritti di Varrone, Livio, Sigonio e Plinio il Vecchio. In effetti, fin dall'età antica la città ha dovuto la sua prosperità al commercio. Questa vocazione le deriva da una collocazione strategica: è a pochi chilometri dal mare ma è in collina, quindi meglio difendibile; inoltre, è vicino ad un'antichissima rotta commerciale che collegava la Puglia all'Italia settentrionale già in età preromana. Questo tracciato, probabilmente legato al tratturo L'Aquila-Foggia per la transumanza delle greggi, in epoca romana divenne una strada, detta Via Traiana, che partiva da Hostia Aterni (l'attuale Pescara) ed arrivava fino in Puglia passando per Ortona, Anxanum ed Histonium (Vasto).[1]

Il primo a dare delle coordinate di Anxanum fu Tolomeo nella Descrizione del mondo. Anxanum venne indicata anche nella Tavola Peutingeriana e nell'itinerario di Antonino Pio risalente al 262, come stazione (mansio) della Via Traiana. I due itinerari sono stati pubblicati da Mommsen nel volume IX del "Corpus inscriptionum latinarum" a pag. 204 vol. VI.

Per usare le parole di un altro storico, Ludovico Antinori, di Lanciano si può dire "che fosse stata una città colta, ricca, ben governata, e non ignota ai Romani, le di cui pratiche ed usanze cercavano sempre di emulare nelle cose civile e sacre". Qui si trovavano non solo importanti mercati, ma anche la sede di istituzioni e magistrature, importanti manifatture di pelle, rinomata era l'arte farmaceutica e l'unguentaria come attestato da una lapide che menzionava una certa Lucilla di professione unguentaria.[3]

Nell'Alto Medioevo

Fontana di Civitanova

A seguito del crollo dell'Impero Romano, Lanciano subì saccheggi dai Goti. In seguito, con l'invasione dell'Italia da parte dei Longobardi, fu conquistata e rasa al suolo (probabilmente nel 571). I nuovi dominatori si insediarono sul colle Erminio dove, secondo la tradizione, costruirono un castello (di cui però non sono mai state ritrovate tracce).[4] In questa zona, sulle rovine di Anxanum, iniziò a ricostituirsi un nucleo abitativo, il Castrum Anxani, da cui trarrà origine il più antico quartiere medioevale, l'attuale Lancianovecchia.

Nel 2006 scavi archeologici hanno riportato alla luce alcune vestigia della città romana nel quartiere Lancianovecchia, tra cui le fondamenta di una domus ed alcuni tratti di strada: ciò ha dimostrato che tra la città antica e quella medioevale c'è stata una sostanziale continuità.[5]

Lanciano rimase fedele ai Longobardi nelle guerre che li opposero ai Bizantini, ma dovette subire la conquista di questi ultimi nel 610, dopo l'assedio del greco Comitone. Dopo questi fatti, la città venne almeno parzialmente riedificata, come testimoniato dalla costruzione della chiesa di San Maurizio (abbattuta nel 1825, era nel sito dell'attuale Largo dei Frentani) e del monastero dei Santi Legonziano e Domiziano, che ospitava fin dal VII secolo una comunità di monaci basiliani di rito greco[6] (sul suo sito, in seguito, fu edificata la chiesa di San Francesco, in cui, secondo la tradizione, nell'anno 800 avvenne il Miracolo eucaristico di Lanciano).

Antiche tradizioni locali stabiliscono una corrispondenza tra i siti di sette antichi santuari pagani e quelli di altrettante chiese medioevali: in particolare, la chiesa di San Maurizio sarebbe sorta su un tempio della dea Pelina, la chiesa della Ss. Annunziata sul tempio di Marte, Santa Lucia sul tempio della dea Lucina e così via.[7] I ritrovamenti archeologici, finora, hanno permesso di confermare, almeno in parte, solo i primi due casi: nell'area di San Maurizio è stato attestato un santuario molto probabilmente dedicato al culto di Minerva, mentre nell'area della Ss. Annunziata (attuale Piazza Plebiscito) sono state sì rinvenute le fondamenta di un edificio sacro, ma non ancora si è scoperto a chi fosse dedicato.[8]

Sul finire dell'VIII secolo Lanciano fu conquistata dai Franchi, i quali l'aggregarono prima al ducato di Spoleto e, in seguito, a quello di Benevento. In una pergamena del 981 viene nominata città e castaldia: in pratica, era una città governata da un funzionario nominato direttamente dal re e non soggetta a nessun feudatario.

Nel 1060 fu annessa dai Normanni all'istituendo Regno di Sicilia (che diverrà Regno di Napoli nel 1372). Di fatto, Lanciano seguì le vicende politiche e dinastiche di questo regno fino all'Unità d'Italia. Estinta che fu la dinastia Normanna, vide il susseguirsi delle dominazioni degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi.

Scorcio del nucleo medievale

Dal 1060 al 1097 Lanciano fu governata da Ugo Malmozzetto, capitano Normanno che aveva guidato la conquista dell'Abruzzo. A lui si deve l'ordine, nel 1062, di racchiudere l'abitato entro un'unica cinta muraria.[9] Infatti, a quell'epoca lo sviluppo urbano altomedievale aveva portato la città a frammentarsi in tre parti: il già citato castrum fortificato sul Colle Erminio, un secondo nucleo abitato sul Colle Pietroso, gravitante intorno al monastero dei Santi Legonziano e Domiziano, ed un terzo insediamento sul Colle della Selva, nell'area denominata Vallebona. Furono costruite, perciò, mura intorno al Colle Pietroso, delimitando quello che sarebbe diventato il quartiere del Borgo, e fu fortificata la parte più esposta del Colle della Selva, attraverso fortificazioni in parte ancora visibili nel sito delle Torri Montanare. Il quartiere di Vallebona fu in seguito accorpato a quello di Civitanova, per dare luogo alla ripartizione tuttora vigente.[10]

Superati gli anni bui, Lanciano prosperò grazie al rifiorire delle sue fiere (una in maggio ed una in settembre), tanto da diventare, nel Trecento, il più grande centro abitato d'Abruzzo (6500 abitanti nel 1340). L'incremento demografico si accompagnò all'espansione urbanistica del centro urbano: nel corso dell'XI secolo fu edificato il quartiere di Civitanova; pochi decenni dopo vi fu la sistemazione degli altri due quartieri storici, il Borgo e la Sacca, mentre il centro politico e commerciale della città si spostò definitivamente nella Corte Anteana (l'attuale Piazza del Plebiscito). Sul finire del XII secolo fu ultimata la nuova cinta muraria, dotata di nove porte (solo una delle quali è sopravvissuta fino ad oggi: Porta San Biagio), e la struttura urbana di Lanciano arrivò ad essere quella tuttora visibile nel centro storico.

La sua importanza come emporio fu riconosciuta conferendole lo status di università demaniale, cioè di città non sottoposta a nessun feudatario, ma amministrata direttamente dal re. Questo privilegio le fu accordato nel 1212 dall'imperatore Federico II di Svevia e fu confermato e reso perpetuo nel 1259 da Manfredi, re di Napoli. Ad esso si accompagnava l'esenzione delle merci da dazi e dogane ed il diritto di eleggere, oltre agli amministratori ordinari, un magistrato, detto Mastrogiurato, che durante le fiere deteneva i poteri normalmente in mano al Giudice Regio (privilegio ricevuto nel 1304).

È interessante osservare che lo status di gastaldato e, poi, quello di università demaniale sono, molto probabilmente, la diretta continuazione dell'ordinamento municipale di epoca romana. Ciò testimonia che questa città, pur non essendo mai stata un libero comune, godette fin da tempi remoti e per molti secoli di ampia autonomia amministrativa e commerciale.

Durante il periodo medievale il nome della città si è evoluto dal latino Anxanum fino alla forma attuale, passando per le forme intermedie Anxano (probabilmente già in epoca tardo-imperiale, a causa della caduta della "m" finale dell'accusativo nel parlato) ed Anciano o Anzano (per semplificazione della pronuncia). La "L" iniziale è dovuta all'assorbimento dell'articolo determinativo nel nome, come nel caso de L'Aquila. Ciò è testimoniato anche dal dialetto, in cui la "L" è sentita come un articolo e declinata separatamente dal nome (L'Anciane, Quest'Anciane).

Trecento e Quattrocento

Torri Montanare

Nel Medioevo troviamo a Lanciano una popolazione il cui grado di civiltà e benessere è additato all'ammirazione di tutti da molte città del Mezzogiorno, soprattutto per le sue attività mercantili. Le nundinae diventano le famose Fiere che richiamano mercanti da ogni dove, anche da paesi esteri come testimonia un autore il cui nome ci resta ignoto: «V'erano genti del contado col giubbetto rosso e turchino, poi Ebrei dalle fasce gialle, e Albanesi e Greci, e Dalmati e Toscani: era un insieme di lingue diverse, era una confusione, era [...] un incubo». Le porte di Lanciano di epoca medioevale, di cui unica superstite è quella di S. Biagio, accoglievano sotto l'immunità mercanti provenienti da ogni parte e le Fiere (note in particolare per il commercio dello zafferano[11]) duravano tanto che nacque anche il detto riportato dal vocabolario della Crusca: «tu non giungeresti a tempo alle Fiere di Lanciano, che durano un anno e tre dì».

Fin dal Medioevo, a Lanciano sorsero molte industrie: in primo luogo, fabbriche di tele finissime e di stoffe di lana e seriche. Nel XV secolo si affermarono molte altre produzioni: le ceramiche, la fabbricazione degli aghi, l'oreficeria e l'industria del ferro, dei bronzi, dei cuoi e delle pelli. In particolare, riguardo alla fabbricazione degli aghi, si racconta che, ai tempi di Carlo III di Napoli, un certo Mastro Giovanni Milascio introdusse nella città "l'arte di fare gli aghi" e "l'insegnò ai cittadini", evento che provocò una rapida specializzazione cittadina nella produzione di aghi come ricordano due poeti veneziani nelle loro commedie: "due aghi de Lanzan pungenti e fini per un pezo pigliai"; "Cabaleo, che prima vendea ménole, adesso va vendendo aghi de pomole, ed aghi de Lanzan pe' 'ste pettegole". Una via, quella degli "agorai" nel Quartiere Lancianovecchia, attesta ancora quanto fosse sviluppata questa arte.

Nelle numerose contese tra feudatari e regnanti che segnarono l'età medioevale, Lanciano si schierò quasi sempre con i regnanti, ricavandone benefici di natura economica e territoriale. Una rivalità particolare si instaurò con la vicina città di Ortona, che era il porto preferenziale per l'afflusso delle merci alle fiere, a causa dei dazi che questa città imponeva sulle merci che vi transitavano. Sul finire del XIV secolo Lanciano ottenne dall'Abbazia di San Giovanni in Venere la concessione per costruire un porto a San Vito: ciò fu motivo di nuove guerre con gli ortonesi, composte solo dalla mediazione di san Giovanni da Capestrano nel 1427. Leggenda vuole che nella faida gli ortonesi bruciarono le navi lancianesi, e che questi rapirono dei marinai nemici, mutilandoli tagliando nasi e orecchie, impastando con essi il cemento per una colonna infame tutt'ora posta nel porticato di via Roma, presso piazza Plebiscito di Lanciano.

Nel 1441 re Alfonso V d'Aragona ripagò l'appoggio avuto contro gli Angioini, concedendo a Lanciano il diritto di battere moneta mediante l'istituzione di una Zecca. In quest'epoca la città arrivò a possedere più di 40 feudi. Un riconoscimento dell'importanza raggiunta fu l'istituzione, nel 1515, di una diocesi distinta da quella di Chieti, poi elevata ad arcidiocesi nel 1562. Lanciano, inoltre, fra le altre città d'Abruzzo, si distingueva anche per le proprie personalità di scienza e di cultura, come il famoso giureconsulto Carlo Tappia e il naturalista Giacomo Fella.

Dal Cinquecento al Settecento

Mappa medievale della fortezza di Lanciano, ad opera di Piri Reìs

Nel 1520 la corona di Napoli fu aggregata a quella di Spagna dall'imperatore Carlo V d'Asburgo. Questi combatté numerose guerre con Francesco I, re di Francia, per il predominio sull'Italia, uscendone infine vincitore nel 1544 (pace di Crepy). Lanciano si schierò con Francesco I: per questo, il nuovo sovrano la punì sottraendole molti dei suoi feudi. A quest'epoca si può ascrivere l'inizio di una fase di declino per l'economia lancianese. Una prima causa di ciò va ricercata nel nuovo assetto politico, con un viceré spagnolo sul trono di Napoli. Quella che è ricordata come una cattiva amministrazione ebbe i suoi effetti anche su Lanciano, che, nel suo piccolo, si impoverì a causa dell'incapacità amministrativa dei Capitani del Popolo spagnoli e dei forti tributi imposti. Contemporaneamente, la città risentì di un fenomeno geopolitico su scala mondiale: dopo la scoperta dell'America, i grandi traffici commerciali cominciarono a spostarsi dal Mar Mediterraneo all'Atlantico. L'Italia peninsulare venne così a perdere il suo ruolo centrale nei commerci e subì una progressiva decadenza. Il regno di Napoli, persa la sua autonomia, si ridusse ad una pedina di scambio nelle contese tra le grandi potenze europee. A causa della sua posizione di frontiera, l'Abruzzo soffrì particolarmente per queste contese, che videro opposti spagnoli e francesi per tutti il XVI ed il XVII secolo e sfociarono nella guerra aperta tra spagnoli ed austriaci all'inizio del XVIII secolo.

Come detto, il territorio di Lanciano, sul finire del Cinquecento, si era molto ridotto. Con un apposito verbale redatto il 15 maggio 1578, i regi tavolari della Provincia di Chieti ne stabilirono i confini. Dalla copia del verbale autenticata il 20 aprile 1777 dal notaio Francesco Paolo Renzetti di Lanciano, risulta che i confini del comune si estendevano fino a comprendere le località di San Rocco di Castel Frentano, Mozzagrogna, il feudo di Sette a Piazzano, Villa Scorciosa e Santa Maria Imbaro.

Il momento peggiore fu nel 1640: Lanciano perse i suoi privilegi di città demaniale, fu creata baronia e fu venduta al duca Castro di Pallavicini dal viceré di Napoli, Medina las Torres, senza l'assenso del re. Nel 1646, poi, venne ceduta al marchese d'Avalos del Vasto. Il vassallaggio durò più di un secolo e portò un notevole impoverimento della città, vessata dai nuovi padroni. Le sue fiere, per di più, dal 1718 subirono la concorrenza diretta del nuovo mercato franco di Senigallia. Nonostante le numerose ribellioni, Lanciano riacquistò la sua libertà solo nel 1778, dopo l'ascesa al trono di Napoli dei Borboni.

La Cattedrale della Madonna del Ponte in una incisione di Strafforello Gustavo (1899)

L'Ottocento

Lo stesso argomento in dettaglio: Distretto di Lanciano.
Piazza Plebiscito nel 1870

Nell'Ottocento la città partecipò attivamente ai moti risorgimentali, a partire dalla Repubblica Napoletana del 1799 fino ad una serie di sollevazioni nel 1848, 1849 e 1853. Questi episodi le valsero la qualifica di città fellone da parte della polizia borbonica. Infatti Lanciano, benché annessa al Regno di Napoli, si sentiva una città indipendente economicamente e culturalmente, incoraggiata dal sempre più crescente sviluppo urbano ed economico nella prolifica balle del Sangro, e tale motivo di orgoglio personale favorì il distaccamento sempre più veloce, dal punto di vista ideologico, dalla capitale partenopea. Nel 1819 fu completata (benché la facciata) la nuova Cattedrale della Madonna del Ponte, i cui imponenti lavori di ricostruzione e ampliamento erano iniziati nel 1785. Il 9 settembre 1833 avvenne un fatto molto importante nell'ambito religioso lancianese: partì una processione dalla città, dalla Cattedrale, verso Roma, per l'incoronazione papale della statua della Madonna del Ponte. La comunità lancianese aspettò tutta la notte il ritorno della statua, partita l'8 settembre, e al ritorno ci furono grandi festeggiamenti, e i contadini delle numerose contrade portarono in dono alla Madonna i propri prodotti agricoli. Tale festa, rievocata ogni anni come festa patronale, fu chiamata "Il Dono". Dal 1799 fino al 1861 Lanciano fu capoluogo di un "distretto" omonimo, confinante con quello di Ortona, di Casoli e di Orsogna. Sempre in questi anni si attivò la prima fase di un piano regolatore per lo sviluppo urbano della città. Fu chiamato un architetto teramano per costruire nuove case in centro storico, con la demolizione parziale delle antiche mura medievali, e le porte urbiche. Lanciano aveva 9 porte di accesso, e ben 8 furono demolite, lasciando indenne Porta San Biagio, per questo sviluppo urbano, che non ci fu mai, almeno secondo le previsioni dell'amministrazione. Infatti la gente dei quartieri Civitanova-Sacca soffriva assai per l'aria acquitrinosa e i miasmi della palude del Pozzo Malavalle (oggi Malvò), che separava il colle Civitanova-Sacca da Lancianovecchia-Borgo; e lo stesso problema si manifestava, in maniera però meno peggiore, nell'area di Pozzo Pajàro, sotto la Cattedrale, dove passa il fiume Feltrino. Oggigiorno questo progetto di urbanizzazione viene giudicato molto dannoso, anche perché, durante i lavori, specialmente a Lancianovecchia furono demolite ben tre chiese molto antiche, risalenti al XIII secolo, come San Maurizio (nel largo Tappia), San Lorenzo (piazza San Lorenzo) e di San Michele (piazzetta dei Frentani). Fortunatamente alcune opere preziose, come statue e affreschi, furono staccate preventivamente per essere conservate nel Palazzo Arcivescovile, ed esposte nel 2002 nella mostra permanente del Museo Diocesano. Perfino la storica chiesa di San Giovanni Battista della Candelora, sempre in Lancianovecchia, era compresa nel piano di demolizione, ma venne risparmiata perché lo spazio ricavato no sarebbe stato sufficiente per la costruzione di nuove case.

Nel 1860 votò all'unanimità l'adesione all'Italia unita. Anche in questi anni, seppur con fasi alterne, continuò lo sviluppo della sua economia basata su commerci, artigianato, piccola imprenditoria. L'economia principale lancianese giocò sempre il suo punto di forza sulla festa delle Grandi Fiere durante la festa patronale della Madonna del Ponte, e così nella seconda metà dell'Ottocento, a partire dal 1879, si sviluppò il vero e proprio Piano Regolatore della città, e fu incaricato l'architetto Filippo Sargiacomo di colmare il fosso Malavalle, per collegare meglio il rione Lancianovecchia, ossia il centro vero e proprio ai rioni Civitanova-Sacca. Prosciugata la palude, l'area divenne luogo importante per il mercato contadino dai bifolchi provenienti dal fosso Santa Liberata e da Frisa, mentre la grande area delle fiere, oggi viale delle Rose, continuava a essere presso il convento di Sant'Antonio. Filippo Sargiacomo allora, dopo aver disegnato l'impianto fognario del centro storico, si occupò della sistemazione dell'attuale piazza Plebiscito, pavimentando l'area con blocchi di pietra, e demolendo un enorme portico monumentale che collegava la Cattedrale alla chiesa di San Francesco. Contemporaneamente sull'area di un vecchio convento dedicato a San Giuseppe sorgeva il teatro Fenaroli, uno dei primi teatri d'opera abruzzesi, assieme a quelli di L'Aquila e Chieti. Dunque fu costruito, annesso al teatro, anche il nuovo palazzo comunale.

Nel 1878 Lanciano crebbe anche dal punto di vista culturale, poiché Rocco Carabba fondò la "Casa editrice Rocco Carabba", intenta a pubblicare volumi non solo di cultura generale abruzzese, ma anche testi di autori classici, e di autori emergenti locali, come ad esempio Gabriele D'Annunzio, di cui la Carabba pubblicò il Primo vere (1879). La casa editrice sorgeva presso un palazzo nobile all'inizio dell'attuale viale dei Cappuccini, salendo dal corso Roma. Nel 1865 Lanciano giunse al culmine dell'egemonia politica nell'area Frentana con l'apertura, con Regio Decreto, del secondo liceo classico abruzzese (il primo fu inaugurato a Chieti nel 1861), intitolato a Vittorio Emanuele II. Nemmeno il terremoto del 10 settembre 1881, dell'VIII grado scala Mercalli con epicentro a Orsogna (a 15 km da Lanciano), lenì l'ascesa economica e culturale lancianese. Sempre presso il liceo classico, trovò giovamento il poeta Cesare De Titta di Sant'Eusanio del Sangro, piccolo comune vicino la città, autore di liriche vernacolari in dialetto locale, ispirate alla metrica barbara di Giosuè Carducci.

Il Novecento

Luigi Pirandello, presidente di commissione al liceo classico di Lanciano nel 1907
Una formazione della Virtus Lanciano nel 1925 in occasione di un'amichevole a Castellammare Adriatico

All'inizio del Novecento arrivò a contare 18000 abitanti. Nel giugno 1907 il presidente di commissione del liceo classico fu lo scrittore Luigi Pirandello, che intrattenne un rapporto editoriale con la Carabba. L'editore stipula un contratto per la pubblicazione di 12 novelle, ma Pirandello inviò solo 4, e così iniziò un rapporto burrascoso che finì in tribunale, con la causa persa dal Pirandello. Lo scrittore tornò più volte a Lanciano e si spostò anche in altri luoghi nei dintorni, come Ari, venendo ospitato nel Palazzo baronale, e a Città Sant'Angelo, vicino Pescara, sempre come presidente di commissione agli esami del liceo classico. Tra il 1911 e il 1915 prese avvio in città un nuovo fenomeno di sviluppo economico industriale: la creazione della ferrovia Sangritana, su sollecitazione di D'Annunzio e Pasquale Masciantonio, sindaco di Casoli. La ferrovia avrebbe avuto capo marino a San Vito Chietino, con biforcazione per Ortona-Ancona per le Marche, e Foggia-Bari per la Puglia; e sarebbe terminata, in Abruzzo, in montagna a Castel di Sangro (AQ). Si trattava di un progetto molto importante, per poter meglio collegare i comuni isolati nelle colline della val di Sangro, e ancor di più del versante orientale della Majella, fino a Palena, ultimo comune del confine chietino con l'aquilano. Sempre nel 1911 la città fu dotata di corrente elettrica. Nel 1915, con la Grande Guerra, i giovani lancianesi, molti dei quali studenti del liceo classico, vennero chiamati alle armi, e il poeta De Titta fu incaricato di tessere l'elogio funebre dei caduti, intorno al 1917, quando una lapide commemorativa veniva affissa al palazzo del liceo. Con il governo Mussolini la giunta comunale fu affidata al podestà Michele De Giorgio, di un'influente famiglia lancianese, che, con l'aiuto di Filippo Sargiacomo, ormai ottantenne, dette avvio a un gigantesco piano di ricostruzione di un nuovo centro cittadino. Infatti il podestà, assieme alle storiche famiglie nobili della città, e anche all'alta borghesia come gli Spinelli, i D'Alessandro, i Colalè, i Bielli, i De Crecchio, i Maranga, i Mazzoccone, i Colacioppo e i Cipollone avevano deciso di abbandonare progressivamente il centro storico, non più vivibile con le vecchie vie medievali, lasciandolo alle popolazioni più abbienti. Il grande pezzo di terra, collegato dall'antico ponte di Diocleziano all'area delle Grandi Fiere, dove inoltre adesso troneggiava la stazione della Sangritana, poteva essere comodamente sfruttato per la costruzione di palazzi. Oltre alla brama di poter far valere le proprie imprese economiche locali, come sartorie, pastifici, e la costruzione (soprattutto d'interesse economico) del nuovo palazzo delle Regie Poste e Telegrafi, e della Banca Romana, favorirono la lottizzazione della terra. Il progetto si rivelò un'impresa felice, anche perché si permise di tenere in considerazione il problema di restaurare i bastioni del colle tufaceo, in rischio di frana.

Il periodo 1922-24 dunque servì alla costruzione di una seconda Lanciano, praticamente, dal punto di vista urbanistico, per la vasta area di estensione del centro. La fascia di palazzi che andò a coprire l'antico corso della Bandiera, fu chiamato, in onore della Prima guerra mondiale, "Corso Trento e Trieste", e tra i numerosi palazzi, figurarono quello delle Poste e Telegrafi, dell'impresa fotografica P. Vacri, del liceo classico, affiancato dal Palazzo dei Portici, rispecchiando come molte città italiane lo stile liberty e umbertino, il Palazzo del Banco di Roma; e specialmente il Palazzo Fantini-Martelli, tra i più rappresentativi in città dello stile liberty. Il progetto tuttavia non si fermò qui, perché presso il fosso della Pietrosa (oggi Piazza Francesco Paolo Memmo), sotto le mura del Borgo, fu costruita una piccola fabbrica di candele, legata allo storico candelificio lancianese, poco distante, risalente al 1662. L'area dell'antica fiera si spostò dunque nel fosso pietroso, presso l'imboccatura del retro della chiesa di San Francesco e del nuovo palazzo dei portici, costruito colmando parte del fosso con del cemento e pietra, oggi via Monsignor Tesauri. Lo spostamento della fiera servì per l'ammodernamento e il miglioramento dal punto di vista estetico dell'area dell'attuale viale delle Rose, punto di interesse strategico poiché vicino al convento antoniano e alla stazione ferroviaria. Fu approvato infatti un progetto della costruzione di un viale pedonale rettangolare, che collega da una parte ala parco delle Rose, che si prolunga fino alla chiesa di Sant'Antonio; mentre dall'altra fu costruito un ippodromo per le corse dei cavalli, con area circense ellittica. In ambito sportivo nel 1924 nacque la squadra calcistica "Virtus Lanciano".

Il progetto di riaqualificazione urbana della città non si fermò qui, perché si sviluppò verso la contrada di Marcianese, interessando il viale dei Capouccini, dove fino agli anni '20 esisteva soltanto il monastero di San Bartolomeo e qualche casale. Le famiglie più influenti della città allora trovarono terra fertile per la costruzione delle proprie abitazioni, sotto aspetto di villette liberty. Nel 1929 fu costruito presso la piazza Plebiscito, al posto della fontana pubblica, il Monumento ai Caduti, voluto da Mussolini. Sempre nell'area nuova della città, tra viale Dalmazia e viale De Crecchio fu costruito, nel 1937, un nuovo moderno ospedale, dedicato a Floraspe Renzetti, per rispondere alla problematica della tubercolosi. Durante il regime fascista, negli anni '20 la città continuò ad essere un grande punto di riferimento economico, con una progressiva "fascistizzazione" degli ideali dei giovani, e dell città in generale, che rimarrà legata al concetto di fascismo anche dopo la sua caduta. Negli anni '30, specialmente verso la fine e l'inizio della seconda guerra mondiale, la città inizierà a decdere lentamente per effetto delle sanzione economiche.

Seconda guerra mondiale

Lo stesso argomento in dettaglio: Martiri ottobrini.
L'armata britannica a Lanciano nel 1943

Nella storia del Novecento di Lanciano una pagina molto importante è quella dell'adesione alla Resistenza. Subito dopo l'occupazione nazista, tra il 5 ed il 6 ottobre 1943, alcuni gruppi di giovani lancianesi presero le armi contro gli invasori e li impegnarono in due giorni di combattimenti (la rivolta degli martiri ottobrini). Uno dei primi fu Trentino La Barba, catturato e torturato dai tedeschi per carpire informazioni sulla rivolta; successivamente ucciso. Alla fine dell'insurrezione ebbero perso la vita 11 ragazzi. Altri dodici civili sarebbero stati uccisi nelle rappresaglie dai nazisti. I tedeschi si vendicarono di tale rivolta, e presero a fucilate gli edifici del corso Trento e Trieste, incendiando inoltre i portici comunali. Questo episodio segnò l'inizio della partecipazione attiva di tutta la cittadinanza alla Resistenza, motivo per il quale Lanciano è stata insignita della medaglia d'oro al valore militare dal presidente Einaudi nel 1952, è quindi tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione.[12] Il podestà attuale, eletto nel 1941, fu l'avvocato Francesco Paolo Lotti, il quale si incaricò di numerose ambasciate ai tedeschi, acquartierati presso Castel Frentano, a 5 km dalla città, e presso la Villa Paolucci (contrada Marcianese) per permettere lo sfollamento della città. Anche il successivo podestà Di Ienno (1943) si occuperà dello sfollamento della città, e di ambasciate esaustive ai tedeschi, innervositi dall'arrivo sempre più imminente dell'esercito alleato. Infatti nel novembre il fronte del Sangro (la linea Gustav, che da Ortona toccava Frisa e poi Castel Frentano, lambendo Lanciano per pochi chilometri) fu aperto, e il 20 novembre 1943 incominciò il vero bombardamento della città. Fortunosamente non si ebbero danni gravi nel centro, anche se il campanile della Cattedrale fu sfregiato, così come la chiesa di San Giovanni Battista, gravemente danneggiata, e demolita nel 1949, tranne il campanile. I tedeschi risposero alle offensive alleate, non permettendo loro di entrare dalla parte del mare, risalendo da Santa Maria Imbaro (Fossacesia). Il 27 novembre Kesserling, comandante tedesco, visitò il fronte del Sangro per poter avere idee chiare sulle strade da intraprendere per la fuga. Passando però nelle campagne di Castel Frentano, si accorse che avanzavano dell'esercito alleato la 78° Divisione Inglese con l'8° Divisione Indiana Gurkha. Il 20-30 novembre i tedeschi decisero di attaccare l'avanzata presso Santa Maria Imbaro/Mozzagrogna, venendo però respinti. I carri canadesi avanzavano inoltre da Rocca San Giovanni, presso le campagne di San Giacomo, giungendo sempre più, attraverso il rettilineo, verso contrada Iconicella, proprio alle porte di Lanciano. La divisione neozelandese degli alleati completò il quadro dalle contrade di Rizzacorno/Colle Campitelli, cercando di accerchiare i tedeschi da Castel Frentano in una morsa d'acciaio. I tedeschi furono spaventati da tale mossa, e fuggirono immediatamente verso il fiume Moro, andando verso Frisa, richiamati inoltre dal comunicato del Fǜhrer di difendere a qualunque costo Ortona, capo marittimo della linea Gustav. Gli alleati occuparono Lanciano il 3 dicembre, e un tentativo di riconquista nazista ci fu verso la fine del mese, ma senza successo. Il 10 gennaio 1944 un nuovo tentativo di ripresa tedesco ci fu con il cannoneggiamento delle contrade, ma si trattò di un'azione intimidatoria della cosiddetta tattica di "terra bruciata", senza successo.

Dal dopoguerra a oggi

Il "treno della valle" lungo la ferrovia presso la stazione Sangritana di Lanciano (anni '70)

Negli anni '50 ci fu un nuovo sviluppo economico con il ripristino della ferrovia, e negli anni '60 incominciò la lottizzazione dei terreni ancora vergini per la costruzione dei palazzi moderni. Purtroppo anche il centro storico ne risentì in parte, perché fu demolito il palazzo delle Poste e Telegrafi per la costruzione del simbolo della cementificazione edilizia del boom economico. Tale palazzo fu definito volgarmente "il Fungo" per la sua mole sproporzionata. Anche il viale dei Cappuccini fu interessato dalla costruzione di nuovi palazzi, le cui imprese erano sempre in mano alla classe bene di Lanciano, tra cui i D'Ovidio. Tale zona inoltre diventò la primaria area industriale di Lanciano nel settore manifatturiero e produttivo, poi caduto in fallimento negli anni '90, tra i quali lo storico zuccherificio del primo '900, poi fallito negli anni '80. Dal punto di vista culturale, Lanciano fu la seconda città d'Abruzzo a beneficiare assieme a L'Aquila dei fondi statali per il recupero e il restauro del patrimonio storico dal punto di vista filologico, che avvenne tra il 1968 e i primi anni '70. Fu restaurata la chiesa del Miracolo eucaristico, con l'eliminazione di alcuni fronzoli barocchi, così come la chiesa di Sant'Agostino e San Biagio. La chiesa di Santa Maria Maggiore subì un corposo intervento, poiché la struttura cinquecentesca annessa, di fattezze pseudo-gotiche, le aveva fatto assumere un impianto interno a cinque navate; con il conseguente ripristino delle tre navate gotiche, la chiesa cinquecentesca fu ridotta ad oratorio. Presso le Torri Montanare invece il vecchio carcere di Santa Giovina, inglobato nel convento, fu dismesso negli anni '70, per il trasferimento dei detenti nel nuov istituto penitenziario di Villa Stanazzo.

Nuova piazza Errico D'Amico

Altre aree di grande inurbamento furono le contrade di Santa Rita e Santa Giusta, quest'ultima trasformata nel moderno quartiere Olmo di Riccio, mentre Santa Rita prese il nome dalla chiesa parrocchiale, con conseguente sviluppo edilizio di tutta l'area, fino a Villa Martelli e Villa Stanazzo, dove si sistemarono le famiglie più abbienti della città. A causa delle forti presenze di comunità rom ed ebraiche, il comune negli anni '50 provvide provvisoriamente all'assegnazione delle case semi-abbandonate del rione Civitanova, con successivi problemi per la vita locale, risanata negli anni 2000. L'asse viario da Olmo di Riccio al centro fu chiamato via del Mare, comprendendo la nuova sede del liceo classico, inaugurata negli anni '70, e l'ospedale provinciale "Floraspe Renzetti", poiché quello vecchio era diventato inutilizzabile per le esigenze della popolazione, sempre più in aumento. Tale via diventò molto prolifica al livello commerciale, per il felice collegamento strategico alla strada a scorrimento veloce per San Vito Marina. Anche la nuova via per Fossacesia, costruita presso la chiesa di Sant'Antonio (ricostruzione del dopoguerra del vecchio convento danneggiato), si intersecò con la strada a scorrimento veloce da Marcianese, con biforcazione per San Vito Chietino in direzione del nuovo casello autostradale della A14, mentre l'altro fu costruito come variante per il cimitero comunale e accesso alla strada di San Vito Marina. Altre caratteristiche fondamentali dell'assetto viario furono la colmatura con il cemento dei fossi della Pietrosa, trasformati in parcheggi strategici per i cittadini e per l'area stazione dei bus delle nuove linee urbane Di Fonzo e Sangritana. Tali piazze sono il complesso della Pietrosa, divisa in piazza D'Amico, quella superiore presso la chiesa di San Frabcesco, e il piazzale Francesco Paolo Memmo, stazione dei bus. Anche la piazza Garibaldi tra Lancianovecchia e Civitanova, sorgente sul prosciugato fosso Malvò, fu cementificata e asfaltata, con la costruzione di un mercato coperto per le esigenze della popolazione.

Negli anni '80 ci fu il simbolico recupero della antiche tradizioni lancianesi, con l'inaugurazione nel 1981 della tradizionale Rievocazione storica del Mastrogiurato, festa medievale risalente al XIII secolo, quando re Carlo II nominò il "signore delle feste", e la cerimonia religiosa della Squilla di Natale (1984), che a Lanciano si celebrò dal 1588 al 1607 per iniziativa dell'arcivescovo Monsignor Paolo Tasso ogni 23 dicembre. Di recente, a partire dagli anni '90, la città ha vissuto un periodo di stallo economico per la giunta del sindaco Nicola Fosco, e successivamente l'economica è risalita grazie alla costruzione, nei primi anni 2000, dei complessi commerciali del "Pianeta" della compagnia Eleclerc Conad, e dell'Oasi "la Fontana", in felice posizione strategica sulla strada a scorrimento veloce da Marcianese verso San Vito. La zona industriale moderna, a partire dagli anni '90, si concentrò in zona Severini/Santa Calcagna, lungo insomma la strada di via per Fossacesia in direzione di Treglio e del casello autostradale. Fulcro di quest'area è il centro commerciale Thema Polycenter. Negli anni 2015-2016, per snellire il traffico, sono state anche costruite due rotatorie. Dal punto di vista agricolo, una seconda zona industriale si è sviluppata al confine di Lanciano e Fossacesia, partendo dal contrada Iconicella, con l'apertura di un nuovo spiazzo per le grandi fiere contadine, che si tengono ad aprile.

Scoperte archeologiche, finanziate dalla regione, si ebbero negli anni 1992-94, presso l'area sotto la piazza Plebiscito, scoprendo resti archeologici nel Diocleziano, e sotto la torre di San Giovanni dove nel 2013, in occasione di uno scavo d'eccezione, fu rinvenuta una casula del XIII secolo. Tali opere rinvenute sono state conservate in parte al Museo Diocesano, inaugurato nel 2002, e nel Museo Archeologico dell'ex convento di Santo Spirito, recuperato nel 2010 per l'apertura del polo museale. Nel 2008 la città ha iniziato a riavere un equilibrio culturale ancora maggiore, con l'inizio del risanamento del fosso di Pozzo Pajàro (o Bagnaro) sotto il ponte di Diocleziano, trasformato in parco pubblico. Furono ripristinate altre attività culturali, come la mostra storica del presepe natalizio al Diocleziano. Nel 2010, alle elezioni comunali, per la prima volta dal fascismo vinse l'esponente di sinistra Mario Pupillo, che incentivò dal punto di vista culturale la stagione teatrale del teatro Fenaroli, invitando personalità di spicco come Lello Arena, Giorgio Albertazzi, Orso Maria Guerrini e Vittorio Sgarbi.

Nel campionato Lega Pro Prima Divisione 2011-2012, il 10 giugno 2012 la squadra di calcio Virtus Lanciano, rifondata nel 2008, vinse il campionato play-off contro il Trapani, con il risultato di 1-3, volando in serie B. La squadra rimase in gioco per quattro anni, fino al clamoroso fallimento del 6 luglio 2016. In ambito urbanistico, nuovi progetti per il futuro saranno l'ampliamento dell'ospedale Renzetti, la costruzione di un parcheggio sotterraneo sotto la Pietrosa, e la riqualificazione dell'ex area dell'ippodromo, fallito negli anni '90.

Note

Bibliografia

  • Maurizio Angelucci, 1ª Storia di tutto il territorio di Lanciano - 1st History of the entire Lanciano's territory.
  • Alessandra Bulgarelli Lukacs, L' economia ai confini del Regno: economia, territorio, insediamenti in Abruzzo (15°-19° secolo), Lanciano, Carabba, 2006.
  • Enzio d'Antonio, Franco Fanci, Giovanni Nativio, Domenico Policella, Riccardo Urbano, Lanciano di ieri... oggi (pp. 175), Ed. Luca Gamberale, 2005.
  • Vittorio Renzetti, Il Feudo e il Castello di Septe, Ed. Tabula, Lanciano, 2010.
  • Vittorio Renzetti, Il Museo di Antologia Urbana e dei Commerci antichi in Abruzzo, Terra e Gente 1993, Ed. Itinerari, Lanciano.
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