Giorgio Armani appartiene a una generazione che sembra inscalfibile, più eterna di certe montagne, con un sorriso sincero e grato e quello sguardo che ti ipnotizza all’istante per il suo indefinibile azzurro. Memorabili sono anche i suoi capelli bianchi, sempre più sottili ma che combattono come lui per la vita. Non si sa come lo festeggeranno i suoi 8.700 dipendenti che lo ammirano e lo chiamano semplicemente “Signor Armani”, quell’uomo che tutto può dire, pensare, pagare, chiedere e fare perché, come ha riferito chi lavora con lui, “alla fine ha sempre ragione”. Pare che il suo senso della determinazione e della riservatezza derivino dalla madre Maria Raimondi. È invece il padre Ugo che gli ha trasmesso il senso dei soldi: "Quelle grandi mille lire color rubino che estraeva da una scatola di metallo…", ha ricordato lo stilista piacentino in un’intervista presente negli archivi dell’Armani Silos. Dal fratello Sergio e dalla sorella Rosanna ha ereditato invece il senso dei viaggi e del cinema. Una passione per la recitazione condivisa dai genitori che si erano incontrati alla Filodrammatica di Piacenza e dal nonno che aveva un laboratorio di parrucche, seppure lui preferisse perdersi fra i film di Sophia Loren, Silvana Mangano, Bertolucci, Pasolini e Rossellini.

Simpatico, vivace e disponibile con i suoi compagni di scuola, ha riempito di schizzi libri e quaderni. Rimandato al liceo in matematica, fisica e scienze, si è iscritto a Medicina ed era uno degli studenti più alla moda, con tanto di look da sarto, quando tutti gli altri avevano abiti confezionati. Sembra che ci siano state anche delle ragazze con cui si divertiva a quei tempi a fare foto, truccandole e curandone lo styling. Eppure, lui voleva curare i poveri e amava mettere nella pasta un chicco di caffè, simbolo con cui sperava di scacciare via i mali. Dopo i giorni passati in infermeria per il servizio militare (ricordiamo che era scampato anni prima a una mitragliata aerea in campagna e poi alla deflagrazione di polvere da sparo) trovò l’indipendenza economica grazie alla sua amica Rachele Enriquez, che sapeva che alla Rinascente cercavano al reparto pubblicità. Dal 1957 al 1963 Giorgio ha così lavorato per il grande magazzino milanese come assistente per alcuni architetti e per Gian Carlo Ortelli, capo della Rinascente Immagine. A volerlo con sé fu però Nino Cerruti che lo chiamò per il suo marchio alla Hitman, azienda che confezionava abiti formali ma non ingessati e rigidi come tanti altri.

Da "sognatore cinico" come lui stesso ha ammesso, per via del suo stacanovismo, si è pentito di aver trascurato il suo amato Sergio Galeotti, un grand’uomo esuberante e ottimista, l’opposto di Giorgio Armani. Si conobbero alla Capannina di Forte dei Marmi nel 1966 e fino al 1985 rimasero uniti. Fu Galeotti a fargli disegnare nel 1971 Tendresse, marchio fiorentino femminile, per poi spingerlo a creare il suo brand. Abitavano in viale Lazio ma "Ho vissuto anche in zona Porta Ticinese, che era periferia allora a Milano. Il centro era per pochi eletti. Non esisteva la migrazione del sabato, si viveva di più il quartiere e quel tipo di città mi è rimasta nel cuore" ha ammesso nel libro di Renata Molho Essere Armani. E se la sede più famosa è in via Borgonuovo, il primo ufficio fu in Corso Venezia al 37. Per arredare lo spazio vendettero anche il maggiolino Volkswagen e si ingegnarono per risolvere ogni problema. Come quella volta in cui un vestito a tinta unita diventò a pois con dei pennarelli. Il successo permise a Giorgio Armani di comprare da subito i dammusi a Cala Levante sull’isola di Pantelleria, che diventerà poi il suo rifugio e meta segreta di molte star internazionali.

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La fama mondiale arriva con la copertina e un servizio del Time che, a dispetto del suo diniego verso la stampa di moda (che lo aveva irritato), cede alle richieste di chi era innamorato del suo stile, che in America era sinonimo di esclusiva e moderna classe. Il film American Gigolo con Richard Gere è il primo in cui il suo stile diventò importante come il suo protagonista. Tutte le star degli anni 80 sperano di essere vestite Armani e lui, grazie a Wanda McDaniel, ci riesce. Gratuitamente, non come oggi in cui gli stilisti devono sempre pagare. È lui che, senza imporre niente, trasforma le luci abbaglianti di una società in ascesa con quel garbo estetico e una leggerezza che non era mai superficialità. Una sua brillante intuizione fu di percepire che "i due sessi nella moda si dovessero incontrare. Il femminismo così dirompente degli anni dei miei inizi mi ha certamente influenzato nel pensare la mia moda". Con i suoi tessuti fluidi e morbidi, morigerati nelle nuance e sottilmente tramati, fu il primo a donare una disinvoltura che non c’era negli anni 80, rampanti e aggressivi più che mai. Lui che aveva come incubo ricorrente la scomparsa dei vestiti, proprio quando la sfilata doveva cominciare, ha citato Giorgio Morandi che aveva una tavola cromatica molto simile alla sua, "di tre beige e quattro grigi" aggiungendo anche: "Devo partire dal vuoto per costruire le emozioni con modernità". "Per camminare in via Montenapoleone ci metto anche un’ora ma mi fa piacere" disse quando gli chiesero se controllasse ancora le sue vetrine di Milano. Lui che faceva rifare gli scatti con chi lo fermava per un selfie, all’ultima sfilata a Parigi è uscito accompagnato da due modelle. Poco conta, è già pronto per la sua sfilata a settembre e poi a ottobre per quella di New York per la riapertura del suo store in Madison Avenue. Citando un film di Ermanno Olmi, Lunga vita al Signor Armani.