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Nicolai Lilin

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Lilin nel 2011

Nicolai Lilin (1980 – vivente), pseudonimo di Nicolai Verjbitkii, scrittore italiano di origine moldava.

Citazioni di Nicolai Lilin

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Intervista di Alessandra Farinola, Mangialibri.com, n.d..

  • Io con le bambine ho un rapporto abbastanza diretto e credo che ai bambini non bisogna raccontare le bugie. In qualche modo cerco sempre di raccontare la verità, la realtà, quando è necessario magari la abbellisco con qualche giro di parole, soprattutto per aiutarle a crearsi da subito una opinione vera su quello che è il mondo, sulle loro radici. Quando racconto di mio nonno, il loro bisnonno, uso termini abbastanza semplici, spiego che si tratta di persone che erano banditi, criminali, che agivano contro la legalità. Poi cerco di spiegare anche le condizioni, le circostanze politiche e sociali. Perché spesso una persona diventa un criminale non per cattiveria ma perché cerca di difendere la propria libertà, la propria visone della politica, della società, dell'economia, cerca di difendere la propria famiglia. Nelle varie dittature che susseguirono nella storia della Russia molti russi son dovuti diventare fuorilegge per resistere. Le bambine sanno benissimo che il loro bisnonno era un criminale, e che anche il loro nonno, mio padre, che è ancora vivo e ogni tanto ci viene a trovare, è stato in carcere, lo sanno che anche lui ha un passato. Anche io quando parlo della guerra racconto in modo diretto che cosa è la guerra e cerco di spiegare perché il loro papà è stato in guerra. Cerco di essere più onesto possibile perché ho visto con la mia esperienza, osservando il mondo e le persone, che ai bambini non bisogna raccontare cose che li portano troppo lontani dalla realtà.
  • Ho smesso di tatuarmi perché non c'è nessun tatuatore che io conosca qui in Occidente che avrebbe potuto farlo. Per me. La possibilità e la capacità di eseguire tecnicamente un tatuaggio nella visione del tatuaggio siberiano, nella nostra visione, è la parte meno significativa perché saper tatuare fisicamente, saper incidere sulla pelle è una cosa tecnica che non ha molta rilevanza. La cosa più importante è saper interpretare i simboli, creare la narrazione simbolica, quindi conoscere molto bene la tradizione siberiana legata ai simboli, saper trasmettere le parole e saperle trasformare in immagini che codificano la vita delle persone, nell'informazione che in qualche modo ha a che fare con la vita di qualcuno. Purtroppo in questi anni i vecchi sono morti, quelli dai quali ancora si poteva andare a tatuarsi abitano in Russia. I giovani sono sempre meno interessati a seguire la tradizione dei vecchi perché la tradizione è anche una disciplina e quindi durante il periodo di studi, quando un giovane apprendista impara quello che il vecchio maestro deve trasmettere, uno deve anche seguire una serie di regole legate alla disciplina e non tanti giovani sono disposti a farlo. Per questo quelli che conoscono come me la tradizione sono pochissimi.
  • Del significato dei simboli non si parla perché la tradizione nostra è chiusa a chi non è stato abilitato dai maestri. Proprio perché il segreto dei simboli viene conservato per evitare che le persone non addette all'interpretazione del tatuaggio siberiano si impossessino del significato.
  • In Siberia abbiamo una delle mummie tatuate più antiche trovate al mondo. Si chiama Principessa di Altai o Ukoka, una giovane donna di circa ventisei anni, non una vera principessa ma apparteneva ad una famiglia nobile, ad un grande clan siberiano. È stata trovata nella sua tomba perfettamente conservata. Ha addosso tatuaggi molto importanti e risale a circa 3000 anni fa. Gli studiosi dibattono ancora sulla datazione precisa, di fatto è un importante simbolo dell'antichità della nostra tradizione che poi si è evoluta, arricchita, si è adattata in certo modo ai cambiamenti storici, ai domini di diversi sistemi politici, alle dittature, diventando addirittura quasi fuorilegge, anche se spesso è condivisa non solo da fuorilegge.
  • Le cose più importanti le apprendiamo durante i primi tre anni di vita, ormai lo dicono tutti gli studi, ma anche mio nonno e mia nonna, senza essere studiosi ma semplici cacciatori e contadini siberiani, dicevano che l'uomo diventa quello che è durante i primi tre anni e per questo era importante raccontare le fiabe ai bambini anche se sembrano non capire, perché nelle fiabe ci sono le basi, gli insegnamenti che poi formano una persona.
  • Io sono rimasto per una serie di motivi, uno dei quali familiare. In Italia da molti anni c'era mia madre che era stata costretta a fuggire dal nostro Paese perché era sposata con un uomo, mio padre, al quale il nuovo regime dava la caccia. Perché ai tempi in cui arrivarono i trafficanti di droga e i rappresentanti della nuova criminalità che ha preso il potere con l'arrivo del consumismo, l'apertura delle frontiere e il crollo dell'Unione Sovietica, mio padre era tra quelli rimasti fedeli alle vecchie regole sociali anche dei fuorilegge, era uno di quelli che non accettarono la criminalità e gli affari criminali che erano concentrati sull'arricchimento di una sola persona, quindi droga, sequestro di persona, crimini che nel nuovo mondo erano diventati modi semplici per guadagnare soldi in fretta. Ha combattuto diverse volte contro queste cose, contro i trafficanti di droga, io stesso ho fatto parte di quella generazione di giovani che sono rimasti accanto ai vecchi.
  • La prima persona che ho ucciso era un trentenne zingaro che spacciava eroina nel mio quartiere. Io avevo quattordici anni, ho cercato di contrastarlo e fargli lasciare il quartiere ma lui mi ha picchiato. Allora sono andato da mio nonno e gli ho raccontato tutto; lui mi ha caricato un revolver, me lo ha dato e mi ha detto di sparargli alle ginocchia. Il primo colpo l'ho sparato alle ginocchia ma il secondo è andato male e gli ho preso il fegato e lui è morto. Era una guerra e mio padre faceva cose ben peggiori. Faceva parte di quelli che facevano rappresaglie, ha subito tre attentati pesantissimi, in uno c'ero anch'io in macchina quando ci hanno sparato addosso. Una vera e propria guerra. Poi mio padre è dovuto andar via dal paese perché la guerra è stata persa, la corruzione e il potere dei trafficanti e della droga ha vinto. Infatti si è unito alla polizia, alla politica, al potere corrotto e il nostro paese è stato occupato da questa gente. Mia madre trovandosi in questa situazione, sposata ad un uomo che per anni si è opposto a questo sistema, è dovuta fuggire perché troppo spesso venivano poliziotti corrotti per le perquisizioni, a minacciarci per sapere dove mio padre si nascondeva, dove erano i suoi soldi. Io stesso più volte sono stato portato nel bosco, mi hanno puntato una pistola alla testa per cercare di avere informazioni. Poi sono andato via anch'io e ho fatto le mie esperienze. Alla fine degli anni '90 il paese era una festa di avvoltoi, io sono andato via a combattere nell'esercito e il pericolo della guerra cecena mi ha salvato da quel pericolo. Quando son tornato dalla guerra ho cercato di ricostruirmi una vita. Sono venuto a trovare mia madre in Italia e mi sono accorto che lei aveva bisogno di riformare la famiglia. Le donne russe sono così e in questo sono molto simili agli italiani, hanno un legame tradizionale. Sono rimasto accanto a lei ma se non mi fosse piaciuta l'Italia non sarei rimasto.
  • Quando vivevo in Siberia c'erano i lupi che sono straordinari, mio nonno era cacciatore e mi ha insegnato tanto su di loro. Sono organizzati in branco in modo da proteggere i più piccoli e i vecchi. I primi che sono il futuro, che procureranno cibo agli anziani, e gli altri perché lo hanno meritato e trasmettono esperienze, per esempio insegnano a combattere e a cacciare ai più giovani.
  • Scrivo romanzi, non ho l'arroganza di scrivere una autobiografia perché non sono nessuno, non sono un grande che ha cambiato il mondo e che ha meritato di diffondere le sue esperienze. Io scrivo romanzi che restano tali. Per essere onesto con i miei lettori nelle interviste e negli incontri con loro spiego che quello che scrivo non è frutto di fantasia ma di esperienza vissute. Lo faccio per far capire soprattutto che non sono un genio perché per scrivere un romanzo come Educazione siberiana e inventarsi un mondo come quello che racconto dovrei esserlo e aver vinto almeno un Pulitzer! Queste accuse sono nate in una sola occasione, all'epoca di quel romanzo. Una tale giornalista Anna Zafesova de "La Stampa" ha scritto un articolo nel quale diceva che era stata in Transnistria e non ha trovato né la mafia siberiana né il mio quartiere, quello di cui parlo. Ma ha trovato qualcuno che mi conosce e le ha detto che tutto quello che avevo detto non era vero, addirittura che io ero un poliziotto. L'allerta me l'ha data mia madre che aveva letto l'articolo e mi ha avvisato. Io allora ho scritto un articolo in risposta nel quale ho spiegato cose sul mio conto, ho ribadito che il mio quartiere esiste. Probabilmente lei ha scritto un articolo senza uscire di casa, magari mettendosi in contatto con qualcuno o facendo qualche googlata. [...] Lei ha scritto un articolo per screditarmi ma c'era anche un motivo di invidia editoriale. Quando sono uscito con Educazione siberiana per Einaudi l'esclusiva era stata data a "la Repubblica". Allora a "La Stampa" c'era tale Cesare Martinetti che credeva di essere un grande esperto di Russia perché ci aveva vissuto a lungo come inviato, lui è rimasto male che l'esclusiva fosse andata ad un rivale. Mi ha anche fatto una intervista a sorpresa, era una chiacchierata e non mi aveva detto che l'avrebbe pubblicata, scrivendo anche cose non corrette e mettendo anche a rischio l'esclusiva stabilita. Il libro però ha venduto moltissimo e lui non era soddisfatto della piccola vendetta così ha incaricato la sua giornalista e amica di scrivere l'articolo. Pensavano di danneggiare me e il mio libro ma io ho continuato ad avere successo, perché non possono impedire a me di scrivere e ai miei lettori di apprezzare i miei libri.

2009

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  • Non capisco il motivo [di rifiutare un invito a presentare Educazione siberiana in CasaPound Italia]. Rifiutare e negare alla gente partecipazione alla manifestazione culturale [...] è come negare a un umano soccorso medico, perché lui politicamente non è corretto. Un simile comportamento è contro la mia etica e la mia morale.[1]
  • Ho amici di destra e sinistra [...]. Mi trovo bene con loro, perché non li vedo come dichiarati politicamente, ma come persone, come gente che pensa e condivide alcune idee con me. Ricordo anche che è impossibile essere tutti uguali, io da bambino ho vissuto l'alba dell'impero che cercava di far diventare tutti uguali. E vi posso dire in tutta sincerità che l'unica cosa che faceva diventare tutti uguali nell'Urss era solo il colore del sangue con il quale hanno sporcato la coscienza sociale.[1]

Intervista di Roberto Saviano, La Repubblica, 3 aprile 2009.

  • Volevo raccontare storie che rischiavano di perdersi, che conoscono in pochi, e renderle storie di molti. Le storie della mia gente, distrutta dal capitalismo di oggi, gente che aveva regole sacre, che viveva con dei valori.
  • Mio nonno in tutta la sua vita non ha mai portato soldi addosso, li tenevano in posti lontani dai luoghi della vita. I soldi sono sempre stati considerati sporchi.
  • Quando ero piccolo e uscii dalla Moldavia con mia madre, alla dogana un ufficiale vide che ero nato in Transnistria e, seppure fossi un bambino, mi fissò negli occhi e disse, "Delinquente!!!". Bastava venire da lì.
  • Mi hanno insegnato a dire la verità sempre. Spesso i poliziotti russi quando arrestavano degli Urka li riprendevano mentre li interrogavano. Quando dicevano sei un criminale loro dovevano rispondere si, se rispondevano no era una condanna a morte tra tutti gli Urka. Un Urka non mente mai.
  • Sono un criminale onesto [...]. Nelle mie zone tutti chiedono il pizzo, per qualsiasi cosa bisogna pagare. È lecito aspettarsi una richiesta di tangente per documenti, viaggi, permessi, per tutto ciò che nel mondo occidentale, in un mondo che si dice civile, dovrebbe essere dovuto.
  • Una volta mio nonno mi ha raccontato che fu arrestato un pedofilo, uno di quelli a cui piacevano molto le bambine piccole e anche i bambini. Gli Urka quando fu arrestato lo trattarono con rispetto. Andarono da lui, gli diedero una corda fatta con le lenzuola e gli dissero: "Hai cinque ore per impiccarti, se non lo fai ognuno di noi prenderà un pezzo di te e lo strapperà".
  • Raccontare i tatuaggi è disonesto. I tatuaggi sono un linguaggio muto, ci si tatua proprio per evitare di parlare. Solo un siberiano può capire. Chi racconta uccide la tradizione, e rischia di essere ucciso.
  • Il film di Cronenberg [La promessa dell'assassino] è tutta una farsa. Il tatuaggio siberiano è morto con i siberiani. È una menzogna, dal film sembra quasi che tutti gli affiliati russi si tatuino, ma non è così. Quei tatuaggi li hanno solo alcuni, come per esempio Seme Nero.
  • Io ho ucciso Roberto, ho ucciso un bel po' di persone. Ma non sento dolore, o meglio sento che ero costretto a farlo, ero un militare in Cecenia, e dovevo sparare. Ho ucciso e ho sentito la morte tante volte vicina a me. Ma anche su questo la mia gente mi ha insegnato a capire la morte, a conoscerla e a non sentirla come qualcosa di strano. Qui nessuno vuole morire. Io se voglio la vita so che devo volere anche la morte.

Intervista di Giacomo Rosso, Cafebabel.com, 7 luglio 2009.

  • [...] la comunità siberiana in cui sono cresciuto proveniva da una molto più antica che aveva già sviluppato un sistema di autocontrollo e che si opponeva a qualsiasi forma di potere. Non soltanto al socialismo, si opposero al regime dello Zar e alla sua schiavitù. [...] Alla fine degli anni Ottanta già sapevo che la comunità stava morendo. Quando ho iniziato a scrivere mi sono reso conto che la tradizione li ha aiutati a sopravvivere, ma non ha potuto salvarli.
  • Non esiste più nessuna comunità [siberiana]. Sono io, mio fratello, e forse qualcun altro. Il problema è che anche in Siberia non è rimasto niente. Il nucleo di questa comunità è stato deportato in Transnistria e lì non è sopravvissuto. La comunità che descrivo nel libro era composta da 40 famiglie. Si può dire che la tradizione è stata un appoggio, ma in certe situazioni è impossibile per una comunità sradicata sopravvivere.
  • L’unica cosa certa sulla Russia è che sarà sempre immersa nel caos. È normale. Questo è il suo stato storico. In Russia non esiste, e non ci sarà mai, un governo democratico. Solo una dittatura può riuscire a gestire un territorio simile e tutte le popolazioni che lo abitano.
  • Veramente ora mi considero italiano a tutti gli effetti. Ho la cittadinanza italiana, sarebbe sbagliato e scorretto definirmi russo. Anche se ultimamente ho ricevuto parecchi attacchi da parte dei miei ex concittadini russi.
  • Ho molti amici bulgari e conosco la situazione bulgara abbastanza bene. Fa piacere vedere come l’Ue dia la possibilità di svilupparsi negli anni futuri. Ho parlato con i giovani bulgari, e la loro mentalità è diversa dai giovani russi. Loro non pensano soltanto a guadagnare il più possibile, ma a contribuire alla società e allo sviluppo della democrazia perché viaggiano, vedono il mondo e l’Europa occidentale. Loro vedono cosa significano i diritti per i giovani, che cosa significa Erasmus e vedono come le persone possono tranquillamente integrarsi in altri paesi e studiare e lavorare.

Intervista di Maurizio Crosetti, La Repubblica, 16 dicembre 2009.

  • Io scrivo della resistenza del popolo siberiano deportato e quasi sterminato dai comunisti. Sono apolitico, racconto solo quello che ho visto e vissuto, ma qualcuno che ancora sogna il comunismo nero mi preferirebbe morto. E se fossi rimasto al paese, già lo sarei. Ecco perché io, mia moglie e mia figlia di quattro anni dormiamo con il kalashnikov accanto al cuscino.
  • Il tatuatore, da noi, è una specie di sacerdote e conosce la vita di tutti, i segreti, le cose più profonde.
  • I Carabinieri sono molto preoccupati, e la mia famiglia di più. Su Facebook mi hanno scritto cose tremende, alcune assurde - un tizio che assicura di avere pagato sicari della mafia russa per eliminarmi - altre più credibili.
  • Uso le bacchette, come si fa in Siberia. La tradizione è fondamentale, tatuare è un rito.
  • La storia di un uomo si legge in senso circolare, cominciando dalle mani, come un antico geroglifico. La pelle parla. E non si deve mai chiedere a voce cosa c' è scritto, in Siberia è ritenuta un' offesa grave. Solo chi conosce il nostro alfabeto può saperlo, e sempre meno persone sono in grado di farlo perché anche da noi la tradizione si sta perdendo, tutto è minacciato dal consumismo, i ragazzi si rimbambiscono di videogiochi che invece andrebbero vietati per legge.
  • Mai studiato [l'italiano], l'ho imparato a contatto con la gente, leggendo libri per bambini e guardando i cartoni animati. Ma ora riesco persino ad affrontare Dante.

2010

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Intervista di Katia Ippaso, storiedikatia.blogspot.com, 4 giugno 2010.

  • Quando mio zio è andato in galera, sono andato a casa sua che era piena di libri. In realtà cercavo libri di storia, invece ho incontrato i romanzi di Bulgakov. In una notte ho letto Il maestro e Margherita... avevo dieci anni. Ecco, da allora ogni anno rileggo ritualmente tutte le opere di Bulgakov. Da quattro anni le rileggo in italiano. E’ un modo per conoscere le sfumature e il pensiero che c’è dietro la lingua italiana. Sono anche un appassionato di Dante Alighieri. Quando ho mal di testa, metto sù un disco d’opera lirica (in genere il Don Giovanni o Il barbiere di Siviglia) poi smonto le armi e mi metto sulla poltrona a leggere Dante.
  • Io rispetto solo le persone oneste. Se poi queste persone sono etero, gay, donne, uomini, fascisti, comunisti, non importa. La cosa che conta è che abbiano rispetto di se stessi e degli altri.
  • Io non credo che esistano il bene e il male: sono stati inventati per spaventare la gente. Come esseri umani abbiamo tutti i sentimenti dentro di noi e scegliamo ogni volta la possibilità del bene e del male. Anche il nazista più efferato magari prima di compiere un’atrocità ha accarezzato un bambino o fatto l’amore.
  • Non avrei mai pensato di arrivare in Italia, anche perché nella mia fantasia l’Italia era un paese d’arte e bellezza, ed io che ero sporco e ignorante non avrei mai potuto viverci…Ci sono arrivato nel 2003, per raggiungere mia madre che, come tutte le madri russe (e come ogni madre meridionale) si era inventata una malattia solo per vedermi. A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andò a morire per questo paese. E’ l’unico posto in cui mi sento a casa. Credo che l’Italia e gli italiani mi abbiano dato quello che non mi aveva mai dato nessuno finora, nemmeno la mia famiglia.
  • Ho un editor che lavora sulla correzione grammaticale. Vede, io racconto le storie come se la raccontassi ad un mio caro amico. Le scrivo senza fermarmi, senza rispettare le strutture sintattiche e grammaticali (non ho mai frequentato non solo la scuola, ma neanche la scuola Holden, che fra l’altro continua a snobbarmi). Quando ho finito di scrivere la storia che ho in mente, non rileggo neanche una pagina e spedisco tutto in casa editrice.
  • Io vivo una vita abbastanza tranquilla rispetto a molte altre, ma ho il sostegno dell’esercito e dei carabinieri. Giro con la mia pistola . E a casa ho delle armi. Ma non è vero, come hanno scritto, che dormo con la pistola. Io dormo con mia figlia. Preferisco comunque non approfondire la questione.
  • [«Scatenando un certo clamore (silenzioso), lei è andato di recente a fare una visita a Casa Pound. Che impressione ne ha ricavato?»] Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie….Io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico (semplicemente perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica), ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica. Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa... Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra.

Intervista di Fulvio Paloscia, La Repubblica, 12 agosto 2010.

  • In guerra mi facevano più impressione i vivi dei morti. [...] La guerra ti fa accettare tutto, si pensa solo a non pensare, a far sopravvivere il corpo senza valutare cosa accadrà domani. La società in cui vivo si comporta nello stesso modo, senza l'attenuante del conflitto. Mi sembrano zombie. Allora meglio morti del tutto, che morti viventi.
  • Io non vivo la pace, non so cosa sia. Sono sempre in guerra, dietro ogni cosa che mi circonda vedo il tentativo di gente disonesta che vuole sfruttare e sottomettere il prossimo
  • L'eroismo è un gesto normalissimo che, nella società di oggi, diventa rivendicazione estrema dell'esistere. Sono eroi i lavoratori che cercano di sfamare le loro famiglie senza tutele del governo, il napoletano che non cade negli artigli della camorra ma sceglie la fatica dell'onestà. La donna che cresce un figlio da sola.
  • Uno stato, la politica non possono imporre una morale. La morale comune non è un sistema stabilito dai potenti, ma nasce dal contributo dato da ogni singolo uomo. Per questo non esiste più.
  • Il pentimento c'è se uccido una persona investendola con l'auto perché sono ubriaco, i miei genitori mi coprono e io mi sento in colpa. Da cecchino, dovevo assolvere ai miei compiti. Liquidare terroristi internazionali, i mercenari. Era la morte dei civili ad addolorarmi. Ma io non ho mai colpito civili.
  • Ho paura della pace che oggi abbiamoa condizioni più pesanti della guerra. Sarebbe tutto più facile se ci ammazzassimo tra di noi e ricominciassimo da zero. La nostra pace ci costa molta più vita e risorse di qualsiasi guerra che sia mai stata fatta.

La Repubblica, 12 agosto 2010.

  • Trattando il tema della guerra di solito siamo abituati a difendere una delle parti partecipanti. [...] Questa forma di visione della guerra ci porta lontano dalla realtà, ci rende deboli davanti ai numerosi tentativi di strumentalizzazione e ci lascia senza un approccio vero e cosciente con il resto del mondo, con la storia.
  • Mi ricordo, fin dai tempi dell'Unione Sovietica, la macchina della propaganda comunista, i libri di storia, i film che raccontavano le eroiche imprese dell'Armata Rossa sui fronti della Seconda Guerra Mondiale, lo spirito d'acciaio e la convinzione di essere dalla parte giusta, che apparteneva alla maggior parte dei cittadini lobotomizzati e il confronto con i racconti di mio nonno Nicolai, che la guerra l'aveva fatta a piedi da Stalingrado fino a Berlino, racconti strappati nei momenti di riflessione, condivisi per la necessità di liberare qualche fantasma del passato, pieni di contraddizioni e drammaticità, ma anche di semplici e pure osservazioni di un uomo che aveva vissuto oltre la follia e non aveva più nessun interesse ideologico. Nei racconti di mio nonno i nazisti non apparivano come demoni arrivati dall'inferno, ma come semplici uomini, soldati costretti a combattere per i potenti del loro paese, con i quali spesso si poteva anche fare uno scambio di cibo, e verso i quali si provava un senso di pena, anche se erano dalla parte del nemico.
  • Quando la guerra in Cecenia era finita, non sono mancate le solite speculazioni e strumentalizzazioni cresciute attorno a quell'evento triste e drammatico, distruggendo le società coinvolte nel conflitto come il cancro che distrugge una vita. Si parlava molto sulle questioni fasulle, inventate per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dai veri problemi. Ho visto eroi inventati al momento e i loro avversari, altrettanto frutto di fantasie, mandare avanti un teatrino geopolitico conveniente per molti potenti della situazione. Pochi si sono interessati alla verità, perché non era cosi bella e comoda, non era facile da digerire, non portava profitti.

Intervista di Francesca Colletti, Milanonera.com, 20 settembre 2010.

  • [Su Caduta libera] Volevo raccontare come ci si sente a vivere una guerra, a fare la guerra, a subirla, a studiarla, a goderla, insomma a provare tutte le emozioni che ogni essere umano prova stando nel bel mezzo di un conflitto armato. Ero molto deluso da come nel nostro mondo viene presentata e raccontata la guerra; a volte attraverso il velo di ideologie, interessi, strumentalizzazioni, e alla fine viene vista dalla gente sempre come qualcosa di grottesco, al di fuori della società umana, un evento che molti credono essere creato e mandato avanti da qualche forza estranea a noi, lontana dalla visione abitudinaria dell’etica e della morale. Invece bisogna capire che la guerra è necessariamente organizzata e fatta da uomini in carne e ossa, umani come tutti gli altri.
  • Non sono mai stato sulla scena del primo conflitto Ceceno, ma è stato un conflitto molto contraddittorio, studiato a tavolino da imprenditori, oligarchi e politici corrotti e pieno di intrighi, corruzioni, interessi economici che andavano al di là di quelli politici, territoriali, religiosi o nazionali. Molti militari che ho conosciuto, che avevano partecipato al primo conflitto, lo chiamavano “il teatrino”.
  • [Sulla seconda guerra cecena] Il secondo conflitto è stato un fulmine senza pietà scaricato sul terrorismo islamico internazionale. Siamo entrati ufficialmente in guerra alla fine di agosto nel territorio occupato dalle formazioni terroristiche e l’abbiamo preso sotto controllo totale a dicembre, liberando una difficile regione che si estende tra le montagne del Caucaso. A quel punto gli scontri diretti sono finiti e il nostro lavoro era limitato ad operazioni preventive e di routine di mantenimento dell’ordine e legalità della Federazione Russa sul territorio.
  • Politkovskaya, pace all’anima sua, era una brava giornalista, ma tendeva ad imputare troppe colpe alle persone che non meritano di portare tutto il peso della guerra sulle loro spalle.
  • I militari sono esseri umani che fanno il loro duro e ingrato lavoro, vivendo situazioni estreme, nelle quali spesso il cervello umano cede, e a quel punto chiunque, anche il più devoto moralista e pacifista, diventa capace di compiere le atrocità più incomprensibili che esistano.
  • In guerra, nelle situazioni estreme, l’animo umano passa attraverso una sorta di purificazione, impara ad essere vero e semplice, per questo noi veterani abbiamo problemi a convivere con il mondo per il quale abbiamo sacrificato i nostri anni migliori, le nostre forze e molti di noi anche le proprie vite.
  • Trovo che sarebbe più onesto se gli umani di oggi facessero finta che la guerra non esistesse, la ignorassero completamente, continuando tranquillamente a divertirsi, a godere dei diritti, a studiare e a lavorare, anziché partecipare alle manifestazioni inutili a sostegno della cosiddetta "pace" – termine che ha perso senso oggi, nella situazione attuale in cui si trova il mondo.
  • Io ho partecipato all’operazione antiterroristica e perciò combattevo contro i terroristi islamici. Per me una persona nel momento esatto in cui diventa terrorista perde ogni possibilità di essere trattato come un essere umano, non ha appartenenze razziali o religiose, lui è un nemico pericoloso e deve essere liquidato fisicamente il più presto possibile. Mio nonno, che ha fatto la seconda guerra mondiale ed era un cacciatore siberiano con una grande esperienza, una volta parlando con me del fatto di uccidere, ha detto: "Se ti capita di uccidere un essere umano, fai attenzione a non diventare dipendente, perché la caccia all’uomo è tra le più belle che esistano".
  • Non lo nego, ho lavorato nelle agenzie di sicurezza privata per qualche anno, perché a diciotto anni ho imparato fare il mestiere di soldato e non avevo tante alternative nel mondo civile, che una volta tornato dalla guerra mi ha chiuso in faccia tutte le porte. Spesso il lavoro di contractor viene molto malvisto nella società pacifica, per me sono persone che fanno un impegno utile e legale, non mi sento di parlarne male.
  • [Su Educazione siberiana] Sì, ho partecipato alla scrittura della sceneggiatura, ma non l’abbiamo ancora finita. Io sono molto tranquillo per il destino del mio film, perché è nelle mani di Gabriele Salvatores e della casa produttice Cattleya, persone sensibili e cari amici, con i quali abbiamo stabilito un bel modo di lavorare. Credo che sarà un bel film, fedele alla storia originale.

Intervista di Pietro Del Re, La Repubblica, 20 ottobre 2010.

  • [Sull'attentato al parlamento ceceno del 2010] Non so se quanto accaduto a Grozny sia un vile atto di terrorismo o piuttosto una valorosa operazione della resistenza antirussa [...]. Ma di una cosa sono certo: l'attacco al Parlamento è la prova della disperazione dei ceceni e l'inizio di una nuova fase di caos.
  • [Sulla Cecenia] Diciamo che la sfortuna di quella terra è il suo valore geopolitico, quindi economico e strategico, sia per il passaggio degli oleodotti sia perché rappresenta un punto di frattura tra Islam e mondo cristiano. La Cecenia è perciò ambita da tutte le nazioni potenti che la circondano. In primo luogo, dalla Russia.
  • [...] da generazioni i ceceni nascono in guerra, ricevono un'educazione di guerra e muoiono in guerra. Ciò ha reso quel popolo disabituato al vivere civile e democratico. Oggi, come già otto secoli fa, i ceceni sono governati con metodi disumani, con la guerra e con il terrore.
  • Chi crede che Kadyrov abbia raggiunto la pace si sbaglia. I ceceni sono stanchi di essere oppressi dai russi tramite quel fantoccio. Pochi mesi fa, una decina persone imbottite di esplosivo s'è fatta saltare in aria nella casa natale di Kadyrov, per manifestare l'odio contro di lui. Quello che sta accadendo adesso mi ricorda una fase di pre-conflitto.

La Repubblica, 21 ottobre 2010.

  • [Sul negazionismo dell'Olocausto] Negare l'esistenza dell'Olocausto è un crimine, così come lo è stato lo stesso sterminio. Chi cerca di nascondere la storia delle vite umane perse nelle barbarie dei regimi totalitari, non fa nient'altro che uccidere per la seconda volta. Non possiamo permettere queste offese contro la storia, contro la memoria, contro la dignità delle persone morte, persone che non potranno mai rispondere, usate come monete di scambio gettate con disprezzo sul bancone della politica.
  • Con grande tristezza ricordo come in Unione Sovietica si taceva sui crimini che accadevano nei Gulag, dove i boia del comunismo totalitario, proprio come i loro rivali nazisti, eliminavano un'intera classe sociale, politica, culturale ed intellettuale, semplicemente perché non abbracciava le idee del partito. La negazione di ogni crimine contro la libertà di ogni essere umano è nient'altro che la morte della democrazia, l'uccisione del pensiero libero, della cultura.
  • Negando la Shoah diamo la possibilità a futuri tiranni, speculatori della politica e della propaganda, di avere potere sulla nostra libertà e di privare della speranza del domani le generazioni future. Oggi noi dobbiamo essere forti e decisi, dobbiamo fermare chi impugna le armi dell'infamia e dell'inganno e sostenere la legge contro il negazionismo.

La Repubblica, 9 novembre 2010.

  • [Su Oleg Kašin] A Mosca un altro giornalista è caduto vittima del potere politico corrotto e repressivo, a causa della sua devozione per la giustizia e libertà, per le sue idee moderate e democratiche. Altro sangue, altra rabbia, un'altra giovane vita frantumata, consumata dall'ignoranza e dalla mancanza del coraggio dell'opinione pubblica russa, che purtroppo con sempre maggiore evidenza si trasforma nella folla obbediente ed esaltata davanti agli spettacoli offerti in abbondanza dall'attuale regime politico corrotto e repressivo, che mette in evidenza sempre di più la sua terribile matrice dittatoriale, formata nei tempi della tirannia sovietica. Manca solo che riprendano le esecuzioni sulle piazze, così amate dai cittadini nei tempi passati.
  • Quando mi è giunta la notizia dell'aggressione che Oleg Kashin ha ha subìto sotto casa, della brutalità e cattiveria con cui è stato assalito, mi sono sentito un'altra volta indignato, offeso, umiliato. Proprio così come mi ero sentito quando, quasi dieci anni fa, nella sua redazione a Mosca è saltato in aria, colpito da un pacco-bomba, il giovane giornalista Dimitri Holodov, che stava conducendo un'inchiesta sulla corruzione del governo. O come quando è stata assassinata nell'ascensore di casa sua Anna Politkovskaja, per le sue indagini che riguardavano la corruzione nell'esercito russo e gli abusi sui civili nell'operazione antiterroristica in Cecenia.
  • Questa triste e terribile lista di morti nel nome della verità e libertà della parola può continuare ancora a lungo, perché sono molti i casi di giornalisti assassinati, minacciati, perseguitati dal regime condotto dai personaggi che risalgono ai vertici dei servizi segreti dei tempi dell'Urss. In questo delirio di prepotenza e ingiustizia operata dalla politica e dall'amministrazione, che somigliano sempre più ad un'associazione a delinquere, senza onore né regole comportamentali, quello che colpisce di più è la completa assenza della voce del popolo russo, la mancanza di sostegno dell'opinione pubblica per chi ogni giorno affronta il pericolo e rischia la vita per il diritto del popolo di essere informato.

2011

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Intervista di Rosalba Castelletti, La Repubblica, 25 gennaio 2011.

  • [Sull'attentato terroristico all'aeroporto Domodedovo del 2011] I ceceni hanno gran dimestichezza con gli esplosivi. Quando preparano un ordigno, usano cariche potenti per provocare il più alto numero di vittime possibile. Solo così possono scuotere l'opinione pubblica. È successo a Beslan come al teatro Dubrovka. Non è accaduto invece né a marzo, quando non è stata neppure danneggiata la struttura della metro, né stavolta. Anche se è brutto dirlo visto che ci sono stati comunque oltre 30 morti.
  • [«Se non il terrorismo ceceno, chi ci sarebbe dietro a questi attentati?»] Terzi che vogliono provocare instabilità in Russia magari fomentando gli stessi esponenti del mondo islamico. [...] Potrebbe trattarsi ad esempio di esponenti dell'oligarchia russa che si trovano all'estero. Terminato il servizio militare, ho lavorato come guardia di sicurezza privata per un oligarca all'opposizione che non faceva mistero di avere rapporti con i terroristi ceceni.
  • [Su Vladimir Putin] È [...] possibile che dietro agli attentati ci sia lui o persone vicine a lui. [«Che interesse avrebbe?»] Dimostrare all'opinione pubblica che Medvedev è incapace di garantire la sicurezza per ripresentarsi come l'uomo forte.

Intervista di Dejanira Bada, Artslife.com, 1 marzo 2011.

  • Sono nato in un paese molto degradato. Quando ero piccolo non avevamo neanche il bagno in casa e dovevamo andare fuori anche a -20. Le persone da noi apprezzavano cose come il gas e la luce, quello era il lusso. Ma non perché la comunità fosse povera, era una decisione degli anziani che influenzava la nostra vita. I nostri vecchi vivevano in un modo scettico, e la povertà veniva portata come una bandiera, una cosa di cui andare fieri. Per esempio ricordo un episodio in cui, a casa della mia famiglia, irruppe la polizia. Iniziarono a rompere tutto e ad un certo punto, spaccando il muro, trovarono dei lingotti d’oro da mezzo chilo, ed erano talmente tanti che mia madre si mise a piangere incredula, perchè nostro papà li aveva messi lì dentro senza dire niente. Probabilmente aveva svaligiato un furgone, ma queste cose non si raccontavano in casa. Insomma, potevamo permetterci di stare meglio ma era una scelta apparire così, una sorta di onestà.
  • Da piccolo passavo tanto tempo con un anziano, un vecchio medico molto educato che è stato in carcere trent’anni durante la dittatura di Stalin soltanto per aver nascosto una famiglia ebrea. Lui mi ha insegnato ad ascoltare l’opera, a leggere poesie e romanzi, ad ascoltare la lingua italiana. Lui leggeva la Divina Commedia in lingua originale e grazie a lui l’Italia mi è entrata nel cuore, perchè l’ho sempre vista come culla della cultura internazionale.
  • Sono nato in un posto dove c’erano tantissime persone tatuate, ma da piccolo non capivo questa importanza, anche perché la tradizione del tatuaggio siberiano esclude la parola, è una cosa che esiste ma non si spiega il perché e che cosa voglia dire. Da piccolo andavo a sbattere contro mio padre, mio nonno, i miei zii che erano tutti tatuati, ma se chiedevi spiegazioni prendevi le sberle, perché per loro era un’offesa chiedere. Poi ho tentato di entrare in questo mondo chiedendo spiegazioni ai vecchi ai quali facevo piccoli favori. Pensa che ad oggi, quando torno al mio paese, vengo deriso, perché sono tatuato e perché è tutto cambiato. Per loro, oramai, sono un pagliaccio, uno stupido che vive in occidente ma che fa finta di essere ancora legato al passato dei nostri vecchi, coloro che, secondo i giovani d’oggi, ci hanno fatto vivere e vedere la povertà come valore. Insomma, sta arrivando la globalizzazione anche da noi ed è una cosa brutta. Io da piccolo invece ho iniziato a studiare questa tradizione dei tatuaggi ed ho capito che era una cosa molto importante.
  • A me la politica non interessa, davvero, però non posso sopportare le persone che diventano cattive e che vogliono il potere a tutti i costi, perché solo Dio ha il potere del mondo, un Dio che ognuno può interpretare come vuole, invece noi umani dobbiamo stare al nostro posto, non rompere le palle agli altri e controllare bene quello che abbiamo sotto i piedi. Questa più o meno è la mia idea politica o esistenziale.
  • Da dove vengo io questo mi hanno insegnato, rimanere sempre degno di me stesso e coerente. Si può anche cambiare idea, magari perchè ci si è informati meglio, allora si può cambiare opinione. Anche ammettere i propri sbagli è una questione di dignità. Molte persone invece la dignità non ce l’hanno, oppure è stata levata loro dal consumismo e sostituita con telefoni, auto, cellulari, con beni che li portano a considerare la cosa più importante non tanto la propria vita, quanto la possibilità di consumare all’interno della propria vita. La gente non teme di morire, ma di non poter andare più al cinema!
  • Una volta mi hanno sparato dritto al cuore – ho ancora una cicatrice orribile anche se avevo il giubbotto antiproiettile – con un fucile AK-47. Mi è andata bene perchè il ragazzo che mi ha sparato aveva finito le cartucce, se mi avesse scaricato addosso il caricatore non sarei qui ora. Lì ho visto la fine, sicuro che sarei morto, i miei ultimi pensieri prima di svenire sono stati: “Ok è andata, è finita, pazienza” e mi sono steso contro il muro. Poi però mi sono risvegliato e una volta sveglio mi sono sentito davvero rinato, è stato come nascere per la seconda volta.
  • Un’altra volta invece, sempre durante la guerra in Cecenia, ci hanno colpito con un lanciagranate ed hanno fatto rovesciare il convoglio in cui mi trovavo. In quel momento stavo dormendo e il colpo è stato talmente violento che due dei nostri autisti sono subito morti. Io invece sono solo diventato sordo dall’orecchio sinistro. Ricordo che quando c’è stata l’esplosione ero in uno stato di dormiveglia in cui ho pensato di nuovo: “Ok, stavolta è finita davvero” e invece no, sono svenuto e sono rinato di nuovo!

Intervista di Serena Langini, gliamantideilibri.it, 8 aprile 2011.

  • La società dove sono nato io aveva tante diverse particolarità; era una società di resistenti politici, quindi persone che colpivano atti illegali per motivi ideologici. Quindi erano diffamati, chiamati criminali dagli altri e in alcuni momenti sono anche stati costretti a comportarsi come tali. Però all’interno esistevano ovviamente le loro regole. Ad esempio, nella mia comunità non si facevano i crimini contro un individuo, non si rubava, non si scippava, non si spacciava la droga, non si gestiva la prostituzione. Tutti i crimini si compivano contro il potere; il che voleva dire che si uccidevano persone al servizio del potere: poliziotti, militari..sovietici. E dall’altra parte eseguivano rapine alle banche e dei furgoni portavalori perché nell’Unione Sovietica tutto questo era proprietà dello Stato, il privato non esisteva nell’Unione Sovietica. Tant’è vero che quando è crollata l’Unione Sovietica, la nostra comunità ha smesso di esistere.
  • Il concetto di criminale nasce con lo Stato, che può essere uno stato giusto, come il nostro italiano, una democrazia. Però qui la criminalità è diversa, sono degli stronzi, che a volte sono in contatto col nostro governo, sono mafiosi e fanno crimini contro di noi per guadagnare soldi, non hanno un movente ideologico, gli interssano solo i soldi. Questa gente andrebbe eliminata, perché chi commette crimini contro il proprio popolo avendo come movente i soldi non cambierà mai idea. Come con Hitler, o costretti al suicidio o eliminati, perché vogliono solo il potere.
  • Adesso anche in Russia è pieno di questi tatuaggi. All’inizio del secolo, quando i comunisti hanno avvicinato al loro giro i criminali più “moderni”, hanno creato caste, come la più grande, Seme Nero, creata dal kgb. Questi sfruttano i loro tatuaggi, hanno una grande tradizione di cui parlano tutti, i giornalisti americani vanno e li filmano nelle carceri, ma in realtà dietro non c’è nessun significato, lo usano come una divisa militare coi gradi e le medagliette.
  • Qua in Italia, i nostri 18enni, oltre a spacciare cocaina a Napoli, oltre a fare cazzate in Sicilia, lavorare dai loro genitori e allevare maiali in Piemonte, non sanno fare. Si ammazzano in macchina, fanno casino, sono contro tutto, sono individualisti, consumatori come nessuno in Europa. Consumiamo in modo vergognoso noi. [...] Il problema principale in Italia è che ci sono troppe lobby dei vecchi; in Italia è tutto gestito dai vecchi, anche la cultura, l’arte, il cinema, la tv…e un giovane, anche se bravo e creativo, non entra...
  • L’educazione militare, di questi tempi, è molto importante, è come un movimento che unisce. Voi immaginate un’unica categoria di persone che al Nord non fanno parte della Lega sono gli Alpini. Perché gli Alpini, quando hanno fatto il militare, erano tutti insieme, hanno imparato il cameratismo, condividevano con ragazzi di Trapani, di Roma, della Puglia, e quindi hanno rispetto e lo sanno che l’unione fa la forza. Invece chi vuole dividere gioca sull’ignoranza delle persone e sulla mancanza di momenti che ci uniscono.
  • [...] ho visto 5 conflitti, son stato nei servizi privati. Faccio consulenze alla polizia e ai carabinieri.

Intervista di Oliver Bullough su Caduta libera, independent.co.uk, 12 agosto 2011.

  • Questa non è la mia storia. Questa è la storia di un mio compagno che ha combattuto con me [...]. Ho scritto la storia di un compagno che purtroppo è stato ucciso in guerra. Mi ha detto che è andata così e la cosa mi ha interessato. Veniva da una famiglia povera, era un ragazzo di villaggio, e la sua storia mi piaceva molto.
That is not my story. That is the story of one of my comrades who fought with me [...]. I wrote the story of a comrade who was sadly killed in the war. He told me that that was how it happened and it interested me. He was from a poor family, a village boy, and I liked his story very much.
  • Quando ho scritto il libro non volevo che fosse considerato storico. Primo perché non potrei scrivere un libro di memorie, perché non sono importante o qualcosa del genere. Se fossi Mozart o la Regina Elisabetta, potrebbero scrivere un libro di memorie, ma non sono nessuno [...] Non so come chiamarlo. Non è un libro di memorie. È un romanzo basato su eventi realmente accaduti.
When I wrote the book I did not want it to be considered as historical. First because I could not write a memoir, because I am not important or something. If I was Mozart or Queen Elizabeth, they could write a memoir, but I am no one [...]. I do not know what to call it. It is not a memoir. It is a novel based on real events.
  • Tutti gli eventi nelle città, beh, personalmente ho combattuto molto poco nelle città, a dire il vero. Per esperienza personale, sono stato molto poco in città. Ero a Groznyj quando è stato ripreso ma ci hanno rimandati via molto presto.
All the events in towns, well, I personally fought very little in towns, to be honest. From my own experience, I was very little in towns. I was in Grozny when it was taken back but they sent us out again very quickly.
  • Ho usato molte storie per creare alcuni fatti nel mio libro, alcuni racconti di guerra in città. Forse in alcune di queste storie che ho scritto le ho colorate un po', forse ho esagerato, ma questo era appositamente per mostrare l'orrore della guerra urbana. Onestamente per quanto riguarda il fatto dei 13 colonnelli [caduti in una battaglia urbana], non ricordo.
I used a lot of stories to create a few facts in my book, a few tales of war in the city. Maybe in some of these stories I wrote I coloured them up a bit, maybe I exaggerated, but this was specially to show the horror of urban war. Honestly as far as the fact about 13 colonels, I do not remember.
  • [«Quindi quanto del libro è effettivamente vero?»] È difficile da dire. Le storie più importanti, in particolare quando scrivo di come si sente una persona in guerra, questa è la mia esperienza. Poi ci sono un sacco di storie di soldati che potrebbero essere, non so, vere o meno perché in guerra non controlli quello che ti dice il tuo compagno.
[«So how much of the book actually is true?»] It is hard to say. The most important stories, particularly when I write about how a person feels in war, that is my experience. Then there are a lot of stories from soldiers that could be, I don't know, true or otherwise because in a war, you don't check what your comrade tells you.

Intervista di Elena Černenko, Kommersant.ru, 3 ottobre 2011.

  • I miei racconti sono arrivati ​​al direttore dell'associazione letteraria e quando mi ha chiamato alle due del mattino piangeva. Ha detto: le mie storie sono così audaci e lo hanno toccato così tanto che vorrebbe mostrarle a un editore serio. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla più grande casa editrice italiana, Einaudi.
Мои рассказы попали к директору литературной ассоциации, и когда он позвонил мне в два часа ночи, он плакал. Он сказал: мои рассказы такие дерзкие и они так сильно его затронули, что он хотел бы показать их серьезному издателю. через две недели мне позвонили из самого большого издательства в Италии Einaudi.
  • [Sul ruolo di Kuzja in Educazione siberiana] Abbiamo considerato due possibili attori per questo ruolo. Il secondo è Anthony Hopkins. Ma penso che Malkovich sia più adatto. Hopkins ha un aspetto e un temperamento più occidentali. E quello di Malkovich è più orientale. E a questo particolare livello mi ricorda di più il nonno Kuzja.
Мы рассматривали двух возможных актеров на эту роль. Второй — Энтони Хопкинс. Но мне кажется, что Малкович лучше подходит. У Хопкинса более западная внешность и темперамент. А у Малковича — более восточная. И на таком частном уровне он мне больше напоминает дедушку Кузю.
  • [«Qui ho tra le mani la versione tedesca del libro, e qui sulla copertina c’è scritto: "Nikolai Lilin, Urka siberiano ereditario..."»] Purtroppo non ho alcuna influenza su come viene presentato il mio libro. In Italia scrivono la stessa cosa in copertina, perché devono in qualche modo vendere questo libro e in qualche modo farmi conoscere alla gente. Ma questa non è un'autobiografia. Anche se questo libro si basa sulla mia esperienza, su ciò che io stesso ho vissuto.
    Sono cresciuto in una famiglia povera e problematica. Gli anziani si sentirono espulsi dalla Siberia. Quando ero piccolo, pensavo, che razza di sciocco esilierebbe la gente dalla Siberia al sud?
[«Вот у меня в руках немецкая версия книги, и тут на обложке написано: "Николай Лилин, потомственный сибирский урка...»] К сожалению, я не влияю на то, как представляют мою книгу. В Италии на обложке пишут примерно то же самое, они ведь должны как-то эту книгу продавать и как-то представлять меня людям. Но это не автобиография. Хотя эта книга базируется на моем опыте, на том, что я сам пережил.
  • [«Ma come poteva Stalin mandare qualcuno a Bendery negli anni '30, se a quel tempo era territorio rumeno?»] Non è chiaro cosa ci fosse. Questa parte del libro, che è collegata al reinsediamento... o, diciamo, al "presunto reinsediamento", l'ho scritta o, per meglio dire, ricreata questa storia, utilizzando alcuni ricordi degli anziani. Alcuni furono espulsi, altri fuggirono lì a causa delle persecuzioni dei comunisti. E l'editore ha scritto che questa è un'autobiografia.
[«Но все же, как мог Сталин в 30-е выслать кого-то в Бендеры, если в то время это была румынская территория?»] Непонятно, что там было. Эту часть книги, которая связана с переселением... или, скажем, с "якобы переселением", я написал или, лучше сказать, воссоздал эту историю, используя некоторые воспоминания стариков. Кого-то выслали, кто-то сам туда бежал от преследования коммунистов. А издатель написал, что это автобиография.
  • [«È vero che sei stato in prigione più volte?»] No, anche questa è una sciocchezza. I traduttori non capiscono cosa siano la detenzione, l’indagine e il processo. Glielo ho spiegato più tardi, ma purtroppo l'hanno già scritto nel libro. Ho avuto un articolo solo una volta, in Transnistria, quando ero minorenne, ho passato nove mesi in prigione. Una volta sono stato indagato in Russia.
[«То, что ты несколько раз в тюрьме сидел, это правда?»] Нет, это тоже ерунда. Переводчики не понимают, что такое задержание, следствие и суд. Я им потом объяснил, но, к сожалению, они уже это в книжке написали. У меня только один раз была статья, в Приднестровье, по малолетке, я девять месяцев провел в тюрьме. Еще в России один раз был под следствием.
  • In Israele, ho lavorato sotto contratto in un servizio di sicurezza privato. In Occidente, le società di sicurezza private assumono professionisti. Diciamo che un gruppo di specialisti israeliani viene in Afghanistan e, per una certa somma di denaro da parte dell'ONU o del governo americano, effettua una certa operazione militare. L'ho fatto finché la mia gamba destra non è stata strappata da una mina in Iraq. [«Oh, quindi sei stato anche in Iraq e Afghanistan?»] Sì, ma non ne parlo, mica sono scemo.
В Израиле я работал по контракту в службе частной безопасности. На Западе частные охранные предприятия берут на службу профессионалов. Скажем, в Афганистан приезжает группа израильских специалистов и за определенную сумму денег от ООН или американского правительства совершает определенную военную операцию. Я этим и занимался, пока мне в Ираке миной не разорвало правую ногу. [«А, так ты еще в Ираке и Афганистане был?»] Да, но я об этом не буду рассказывать, я что, дурак, что ли.

Intervista di Paolo Ciampi, unmercoledidascrittori.it, 12 ottobre 2011.

  • [...] noi eravamo i bambini di quarta generazione di immigrati, immigrati non per loro volontà, perché erano stati deportati dalla Siberia alla Transnistria. Siamo cresciuti in un posto che non era casa nostra, un posto ostile che non era la nostra patria, assolutamente.
  • La Siberia [...] era un paradiso, un posto di cui ci raccontavano da piccoli, dove c’erano boschi enormi. Ogni bambino aveva a casa i nonni che raccontavano di questi boschi e dei fiumi. Ma ci sono tante cose che non quadrano tra la mia Siberia immaginaria e quella reale. Nel mio libro parlo solo di una parte, quella dove viveva lo zio di mio padre, a Nord Ovest della Jacuzia.
  • Questo nome l’ho scelto proprio per definire la confusione in cui sono cresciuto. L'"educazione siberiana" in realtà è qualcosa che non è mai esistito perché ognuno vedeva le cose a suo modo. I miei vecchi la vedevano al loro modo, io la vivevo in un’altra maniera, poi c’era la gente che vedeva tutto questo da lontano e ci prendeva in giro perché per il resto della città noi eravamo un branco di tradizionalisti ignoranti, e per alcuni versi avevano ragione.
  • I vecchi che ho conosciuto mi raccontavano che la nostra stirpe derivava da un antico popolo che abitava nel sud della Siberia. A quel tempo c’erano tantissimi popoli nomadi e questi popoli avevano una mentalità molto tribale che molti di noi sentono ancora come propria. Assaltavano tutte le carovane commerciali che passavano non tanto per arricchirsi ma perché a loro dava fastidio il commercio, dava fastidio il denaro. Credevano che ognuno fosse legato alla terra dov’era nato e che dovesse vivere lì, comportarsi onestamente, rispettare gli altri e se stessi, e vivere con quello che gli dà Dio: boschi, fiumi, animali.
    Si sono scontrati con i primi sistemi governativi; non erano solo anti-comunisti, prima erano stati contro lo zar. Dava loro fastidio qualsiasi sistema politico perché il sistema politico tende a portare il suo diritto, il suo modo di vedere e di gestire le cose e a loro non piaceva perché loro non avevano bisogno di niente.
  • I nostri nonni, i nostri siberiani dicevano “noi siamo criminali perché il governo ci ha definiti criminali, perché al governo non piace quello che facciamo, però noi siamo diversi da tutti gli altri criminali. Noi non derubiamo la gente per strada, noi non violentiamo le donne; contro le singole persone noi non facciamo niente. Perché la libertà di una persona singola per noi è una cosa sacra. Noi rapiniamo banche perché le banche sono proprietà del governo e ammazziamo i poliziotti, perché loro sono i cani del governo. Ma questo per noi non è un atto criminale, Questo è un dovere di ogni persona libera. Se loro vogliono definirci criminali noi lo accettiamo. Ma aggiungiamo che noi siamo criminali onesti perché abbiamo il nostro codice, il nostro comportamento, la nostra morale”.
  • Avere delle regole è normale, umano. Questa comunità però ne aveva alcune molto estreme, proprio perché era consapevole di essere estremista. Non passava giorni senza che mio nonno mi dicesse che loro erano gente cattiva, che erano degli assassini. A volte mi accarezzava e mi diceva che con quella mano poteva amare me e uccidere un’altra persona.
  • Quando sono stato congedato dall’esercito mi ricordo che nel primo mese mi spostavo dalla sala alla cucina con il kalashnikov. Ho provato a lasciarlo in cucina e andare in sala ma senza di lui mi sentivo male. Ovviamente è una forma di malattia.
  • Sono cresciuto con un nonno che aveva una stanza piena di fucili, pistole e altro e all’età di 13 anni andavamo a pesca con le bombe a mano. Questa era la nostra realtà, qua i bambini giocano con il Lego, noi giocavamo con le bombe a mano.
  • Il tatuaggio tradizionale siberiano è un codice segreto, nato in epoca pre-russa e pre-cristiana. I primi briganti nomadi della foresta, si tatuavano per potersi riconoscere, lungo le grandi strade della Siberia dove assaltavano i convogli provenienti dalla Cina e dall’India. I tatuaggi quindi erano un modo per non farsi assalire da “colleghi”, e un modo muto per rendersi fratelli. Quando si diffuse il Cristianesimo, il tatuaggio criminale siberiano adottò i simboli della nuova religione.
  • La tradizione del tatuaggio è nata proprio per evitare di usare le parole: tra siberiani era ritenuto disonesto parlare. Tutto è legato al concetto di umiltà perché parlare di sé equivale a vantarsi, quindi per raccontare le proprie storie si usavano i tatuaggi, che sono quindi una sorta di alfabeto da decodificare. Non si chiede però a qualcuno di spiegarci cosa vogliono dire i suoi tatuaggi; non si racconta il significato dei tatuaggi.
  • In Russia ci sono tante società criminali, alcune moderne, altre che hanno una storia di qualche secolo. Seme Nero attualmente è la comunità più grande e più potente nel mondo criminale russo, è stata creata dai comunisti all’inizio del secolo scorso per controllare i detenuti nelle prigioni. Oggi fa parte del sistema di controllo e potere in Russia chiamato ‘Santa Trinità’. In esso rientrano elementi del governo corrotto, la parte vecchia dei servizi segreti russi, ex Kgb e criminali che rappresentano Seme Nero.
  • Nel 2003 mia madre era in Italia e io in Russia. Lei mi fece credere di essere molto malata, così io arrivai di corsa, ma al mio arrivo ho scoperto che invece aveva inventato tutto per farmi venire, solo per vedermi.
    A quel punto ho capito che questa sarebbe stata la mia terra. Ho costruito la mia casa mattone per mattone. Mi sono sposato. Ho fatto una figlia. Sono cittadino italiano. Se scoppia una guerra, andrò a morire per questo paese. L’Italia è la mia patria, la rispetto e l’adoro.
  • Ho imparato l’italiano nella strada, vivendo la vita, non sono mai andato ad una scuola di lingua.
    Ma la mia relazione con la lingua italiana risale già alla mia infanzia. Quando ero piccolo, un medico, amico di famiglia, un rappresentante dell’intellighenzia, mi leggeva Dante in italiano, io non capivo nulla però mi ricordo che mi emozionava.
  • [«La decisione di andare, lo scorso settembre, a presentare il tuo libro a Casa Pound, un centro sociale di estrema destra a Roma, ti ha esposto alle critiche di molti. Perché ci sei andato?»] Perché mi hanno invitato.
    Sono stato molto criticato per questo mio gesto, sia dal mio editore che da mia moglie, ma io cerco sempre di capire l’altro. Mi considero apolitico perché in quanto scrittore non reputo di dovermi occupare di politica, ma naturalmente ho le mie idee sull’Italia e la politica.
  • Non riesco a capire perché qualcuno mi abbia dato del fascista. Sono andato dieci volte in centri sociali, nove volte erano centri sociali di sinistra e nessuno ha detto niente. L’ultima volta sono andato a Casa Pound e la cosa è stata giudicata scandalosa. Ho ascoltato i loro discorsi e mi è sembrato che esprimessero bisogni simili a quelli di tanti ragazzi di sinistra. Ho visto la stessa strumentalizzazione da parte di chi sa come usarli. Ragazzi che non sanno comunicare e si fanno la guerra tra loro quando dovrebbero fare la guerra al consumismo.

Sulle proteste in Russia del 2011-2013, repubblica.it, 12 dicembre 2011.

  • Negli undici anni del potere totalitario esercitato da Vladimir Putin le recenti notizie che arrivano dalla Russia sono forse le più importanti e positive sia per la vita interna socio-politica del paese, sia per la sua immagine nel quadro internazionale. La reazione immediata del popolo ai brogli elettorali esercitati dal potere corrotto del Cremlino. [...] L'accaduto a Mosca segna un nuovo percorso etico e morale della società post sovietica: finalmente i cittadini si sono indignati e hanno avuto il coraggio e la capacità di organizzarsi e rivendicare il proprio diritto al voto.
  • In Occidente pochi capiscono fino in fondo che la Russia nel corso di tutta la sua storia ha vissuto in un clima di schiavitù e terrore: prima quello della monarchia, poi quello comunista, poi il recente pseudo-democratico, il risultato è stato sempre lo stesso: generazioni di schiavi, prigionieri, militari contro la propria volontà, tantissimi esuli ed emigranti. Gente costretta a combattere le guerre, trasformata dalla propria classe dirigente in una massa di ladri e bugiardi, e se qualcuno mostrava di essere all'altezza di un ragionamento intellettuale, veniva soppresso, come gli intellettuali anti monarchici impiccati nel 1825 a seguito della Rivolta di Dicembre. E come moltissimi altri intellettuali divenuti prigionieri del Gulag ai tempi di Stalin e perseguitati fino all'ultimo anno di Urss. Persone coraggiose e oneste come Anna Politkovskaya, uccise dai boia del regime putiniano negli anni della loro tirannia.
  • L'importanza di questo periodo storico è troppo evidente e sulla scena sono apparsi i rappresentanti di una classe di cittadini che prima sembravano invisibili: trentenni che hanno avuto la possibilità di "temprare" le proprie convinzioni politiche negli scenari apocalittici del crollo dell'Urss, paese in cui sono nati e cresciuti, allevati dall'ideologia sovietica che ai loro tempi ormai sembrava rappresentare l'ombra di un impero cadavere. Hanno passato l'adolescenza costretti ad inserirsi in una società corrotta, criminalizzata alla maniera hollywoodiana, hanno conosciuto le guerre civili post sovietiche, e ora hanno raggiunto l'età in cui si tirano le prime somme del proprio vissuto, in cui gli uomini si prendono la responsabilità per qualcosa che supera il limite etico di un singolo individuo. Scoprendo sulla propria pelle l'importanza di un cambiamento, questi nuovi cittadini russi usano una nuova forma d'informazione, sono popolo del web, sono in collegamento tra loro mediante la rete, non si fanno imbrogliare dalla propaganda governativa, usano i canali alternativi per informarsi e non ci mettono molto ad organizzarsi. Loro senza dubbio costituiscono il blocco più forte e importante della massa che ha manifestato la denuncia al sistema governativo, alla corruzione politica, alle ingiustizie e prepotenze dello Stato.

Intervista di Marina Mastroluca sulle proteste in Russia del 2011-2013, L'Unità, 12 dicembre 2011.

  • Il solo fatto che Putin abbia perso le elezioni - e dico perso tra virgolette, perché ha sempre intorno al 50% - mi riempie di gioia. Perché la Russia è un Paese basato sulla corruzione e sul controllo dei servizi segreti, dove i cittadini sono trattati come schiavi. E ora qualcosa si sta muovendo.
  • In Russia la gente ha creduto per anni alle favole che sentiva raccontare. Ha creduto al pericolo del terrorismo, ha creduto che i ceceni fossero criminali e che questo piccolo uomo fosse in grado da solo di garantire sicurezza, salvare le città, mantenere l'ordine. Putin in realtà non è che il risultato di un compromesso tra servizi segreti e oligarchi, per evitare una guerra civile e spartirsi quello che c'era da spartire.
  • È un piccolo uomo, uno che ha sempre bisogno di dimostrare il contrario e per questo si fa fotografare con le tigri, o a torso nudo o con un fucile da cecchino. Non è nemmeno il meglio che possano esprimere i servizi segreti, è semmai un loro fallimento.
  • [Le proteste] vogliono dire che il popolo russo ha ripreso coscienza, le persone non hanno più paura perché sono disperate. Attenzione però a dire che Putin è l'obiettivo, perché non è così. È il sistema di potere nel suo insieme: i russi hanno capito che vivono in un Paese corrotto e vogliono seguire invece una via democratica.
  • Quello che temo è un ritorno del terrorismo. Putin ha in mano la parte peggiore dei servizi segreti, la più corrotta, l'Fsb, che è stato il vero braccio armato degli oligarchi. Ci ricordiamo tutti come Putin è arrivato al potere, con le bombe nei condomini delle città russe. Sono loro i veri terroristi. Temo quindi nuovi attentati. Poi si darà la colpa ad altri, forse si farà una nuova guerra. Non in Cecenia, stavolta magari in Inguscezia o Daghestan.
  • Questo non è un movimento pilotato dagli Usa. Il nastro [bianco] è solo un modo per riconoscersi, come facevo anch'io con i miei compagni durante le operazioni di combattimento in guerra, per evitare il fuoco amico.

2012

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Intervista di Marina Mastroluca sulle elezioni presidenziali in Russia del 2012, L'Unità, 3 marzo 2012.

  • Non credo in un grande cambiamento. È impensabile che un apparato corrotto come è quello attuale lasci uno spazio aperto ad una politica diversa. Sarà solo peggio.
  • Il popolo russo è povero, messo in ginocchio da un potere corrotto che finge la democrazia, ma pratica la dittatura. E quella post-sovietica è una dittatura neo-capitalista. I russi hanno paura della loro ombra: sceglieranno l'uomo forte, che garantisce sicurezza. Visto quante allusioni sessuali nella campagna elettorale? L'idea è che il popolo-mucca segua il leader-toro.
  • [Sulle proteste in Russia del 2011-2013] Le proteste sono state grandi. Ma ho visto, tra tanta gente per bene, anche chi non avrei voluto vedere. Gruppi neonazisti, ultrà sportivi, organizzazioni estremistiche di sinistra. E anche personaggi pubblici alla Nemtsov o persino Kassianov, ex premier di Putin, che hanno sfruttato le proteste ma che non hanno lo spessore per promuovere un vero cambiamento.
  • Il sistema dei brogli è talmente forte che anche chi lo gestisce non potrà più fermarlo. Le sole elezioni vere in Russia ci sono state con Gorbaciov, l'unica persona che potrebbe ancora cambiare la Russia.
  • Ci servirebbe un Gramsci russo. E invece le nuove generazioni sono state rovinate dalla cultura hollywoodiana, cresciute con i film in cui i russi erano sempre i cattivi. Abbiamo interiorizzato una mancanza di dignità.

Intervista di Tommaso della Longa, Panorama.it, 19 giugno 2012.

  • Io so che non si possono mettere a paragone periodi storici così diversi, ma quello che vedo oggi in Italia mi ricorda drammaticamente la falsità e il declino dell'Unione sovietica.
  • Hanno visto nella Russia una facile preda: nel popolo c'era una sorta di inquietudine creata ad arte, i russi sono andati da questi Savonarola di turno come Eltsin, magari pagati da qualcuno all'esterno del Paese, e la gente si accorgeva improvvisamente di vivere male. Da lì il passo verso la distruzione è stata breve.
  • La classe politica è la proiezione di quello che gli permettiamo di fare. Io sono preoccupato perché ho già vissuto sulla mia pelle momenti molto simili a quello che viviamo oggi ed è finita molto male. Ero nelle strade della mia città a raccogliere munizioni dai corpi dei morti. Non lo dimenticherò mai e non voglio che succeda più una cosa del genere.

Intervista di Fulvio Paloscia, repubblica.it, 30 novembre 2012.

  • [Su Storie sulla pelle] Qui il tatuaggio è la metafora dell' evoluzione del mondo moderno che ha condizionato le azioni degli umani privandole della loro unicità. Da carta di identità attraverso una complessa simbologia che può essere interpretata solo da eletti, è diventato un' espressione consumistica. Il problema è che abbiamo accettato questa trasformazione come la conseguenza di passaggi culturali inevitabili
  • Ogni persona che tatuo diventa come un familiare, perché nella tradizione del mio popolo il tatuaggio è un codice di comunicazione privata in cui riconoscersi totalmente.
  • In realtà la mia storia è un inganno. Uso il mio vissuto come un pretesto per costruire un universo umano. Anzi, credo proprio che la particolarità della mia scrittura sia quella di osservare la vita e raccontarla senza prendere posizioni. Come faceva mio nonno nelle sue narrazioni, e sulla cui oralità ho modellato la mia scrittura semplice e diretta

2013

[modifica]

Intervista di oggi.it, 25 gennaio 2013.

  • [Su Educazione siberiana] All’inizio ero scettico e non credevo possibile ridurre il libro in un film. Certo che il libro fosse appetibile per il cinema se ne accorsero molto presto, già un mese prima che uscisse nelle librerie. Da quel momento ho ricevuto otto proposte da parte di altrettanti registi, ma a tutte ho detto di no, trattavo il mio libro come qualcosa di inviolabile, di sacrale. Con il tempo ho cambiato prospettiva e quando si è fatto avanti Salvatores ho accettato. Apprezzo il suo stile asciutto, la capacità di raccontare storie semplici e umane, senza per forza eccedere in virtuosismi inutili o trovate fini a se stesse.
  • [Su Gabriele Salvatores] È stato uno dei pochi a capire che il libro non è basato su una banale storia di criminali, ma al centro c’è la scomparsa di un vecchio mondo, sotto l’onda impetuosa e distruttiva di un nuovo mondo. Il resto sono solo circostanze, avvenimenti, che fanno da sostegno alla storia. I lettori del libro ci si ritroveranno molto.
  • Ho avuto modo di apprezzare il lavoro della scenografa Rita Ribassini, che ha lavorato duramente con una squadra di professionisti che hanno messo l’anima in questo progetto. Il risultato è stato davvero incredibile. E per essere precisi, non è stata ricostruita la Transnistria, ma è stato costruito una specie di non-luogo funzionale al racconto, anche se poi al suo interno ci sono parecchie immagini che rimandano a quel tempo.
  • Vivo talmente dentro il mio mondo chiuso che a volte mi sembra di non essere connesso alla realtà che mi circonda.

Intervista di Bernardo Venturi, balcanicaucaso.org, 11 febbraio 2013.

  • [Su Michail Gorbačëv] Lui è stato il migliore, ma molti russi non l’hanno capito.
  • In Transnistria ho ancora una piccola parte della famiglia, sono rimasti solo due anziani. La parte attiva della mia famiglia è migrata in diverse parti del mondo. Io, mia madre e mio fratello siamo qua, mio padre ha avuto tre attentati in Transnistria ed è scappato in Grecia; un’altra parte della famiglia è vicino a Mosca. Con il regime della Transnistria non ho mai avuto buone relazioni. Ho fatto una serie di attività di monitoraggio su traffici e corruzione della polizia e non mi vogliono più.
  • Il regime [transnistriano] è corrotto e autoritario, non potrà mai cambiare davvero ed essere democratico finché ci sarà la presenza della XIV Armata, l’esercito di occupazione russo.
  • Sono arrivato in Cecenia nel 1998, un anno prima dell’inizio della seconda guerra cecena. In quel periodo il nostro rapporto con la popolazione cecena era molto buono. Ci vedevano come un limite al terrorismo e alla presenza dell’estremismo jihadista. Poi con la guerra è tutto cambiato. I russi hanno usato metodi assurdi, come rastrellamenti e bombardamenti. Chiunque in quel periodo aveva un’arma in casa e questo non voleva dire che fosse un terrorista. Bombardare le montagne poi è strategicamente inutile. Chi, bombardando e per uccidere un terrorista, uccide 120 civili è lui stesso un terrorista. Se fossi stato ceceno in quegli anni sarei salito anch’io in montagna per combattere.
  • Oggi mi impegno su alcune cose, come la lotta alla pedofilia... ci sono dei traffici internazionali, anche dalla Russia, molto preoccupanti. Però è molto diverso dalla guerra. Oggi non combatterei mai una guerra offensiva. Se vivessi durante la seconda guerra mondiale, non sosterrei l’espansionismo fascista, andrei sulle montagne a combattere con i partigiani.
  • [Su Educazione siberiana] Ho rifiutato varie proposte, alcune da Hollywood, per esempio da Scorsese, prima di accettare di lavorare con Cattleya . Ho deciso di lavorare con loro perché mi volevano coinvolgere nella realizzazione del film, ritenevano la mia presenza sul set indispensabile. Ho chiesto di lavorare con Salvatores perché lo ritengo il migliore. Gabriele ha accettato, gli è piaciuto moltissimo il libro.
  • Il consumismo post-sovietico era una cosa impressionante. Ha cambiato anche la criminalità, togliendoci l’etica, rendendola più feroce e spietata. I modelli occidentali si sono mostrati come inganni e questo ha portato disillusione e violenza.

repubblica.it, 28 febbraio 2013.

  • Secondo me il successo di Educazione siberiana è legato al fatto che l'ho scritto senza prendere le parti di nessuno, ma semplicemente utilizzando la voce di un ragazzo. Questo raccontare una realtà attraverso i sentimenti, senza tecnicismi, ha aiutato le persone a sentirla sulla propria pelle. E per me questa è una cosa davvero rivoluzionaria. Nella comunicazione letteraria è importante stare dalla parte dei sentimenti e non da quella dei meccanismi, altrimenti diventi scrittore politico. E quando in mezzo c'è la politica sporchi tutto. Io per esempio sono stato sempre colpito da giovane dagli autori di fantascienza americani degli anni Cinquanta, da Asimova Bradbury, perché è attraverso queste letture non dichiaratamente politiche - allora vietate nel mio Paese - che ho scoperto cosa accadeva nel mondo, a cominciare dalla guerra nel Vietnam. Grazie a questi libri, che in Russia si chiamavano "stracci", ed erano vietati, capimmo che il capitalismo non era tutto cattivo e che, di là dalla Cortina di ferro, c'erano persone che condividevano i nostri stessi valori. Su questo ho costruito la mia comunicazione letteraria. Poi, se c'è qualcuno che vede qualcosa di politico in quello che scrivo ben venga, ma il mio primo obiettivo è comunicare. Se vogliamo dire che ogni comunicazione è politica va bene, ma io non voglio assolutamente essere politico. E in questo momento sono anche apartitico.
  • Il film [Educazione siberiana] comunque finisce con il personaggio che lascia la Transnistria e spiega alla madre la sua voglia di cambiamento, cosa che a mia madre io non sono mai riuscito a spiegare. Ma questo perché veramente conservo un bambino dentro di me, che non mi abbandona. Il film è stato costruito usando il libro come base, ma la linea narrativa è completamente diversa. Ha una sua vita, e chi ha letto il libro riconoscerà molti personaggi, molte situazioni ma inseriti in una storia parallelae indipendente. Certo, quando mi è stato consegnata la prima stesura del soggetto, mi sono sentito smarrito. Per me, digiuno di cinema, è stata una sorta di sindrome delle prime nozze, quando la sposina non si toglieva i vestiti perché si vergognava di fronte al marito sconosciuto. Io mi sono spaventato non per il contenuto, ma perché mi sono reso conto della grandezza di quanto mi stava accadendo
  • Io ero uno dei pochi che, parlando russo, potevo comunicare con loro, e a un certo punto mi avvicinano questi due personaggi, dall' aspetto chiaramente delinquenziale, e mi chiedono "Sei tu che hai scritto il libro? Grazie a te ci hanno trasferito in un albergo bellissimo dove ci danno anche la colazione la mattina. Speriamo duri tanto".

Intervista di Sara Bauducco, inchiostroindelebile.wordpress.com, 7 marzo 2013.

  • In quest’ultimo libro ho usato il tatuaggio come filo conduttore per creare una serie di racconti e parlare di alcuni personaggi. In ogni caso Storie sulla pelle può esser letto anche da chi non ha letto Educazione siberiana, è un libro più letterario, costruito e ricercato.
  • Anche se l’uomo si è evoluto continua a voler rappresentare ciò che vive perché l’immagine dia l’illusione che il momento resti eterno. Ma anche le icone che sembrano vivere più a lungo possono distruggersi domani perché nulla è eterno. Questa volontà di fregare la morte mi ha incuriosito molto fin da piccolo. Sacro e profano si fondono, molti criminali – intendo per il modo di pensare – hanno cercato di avvicinarsi a quello che è l’eterno. Per me, che conosco le leggi della fisica quantistica, l’eterno è l’assoluto; per mio nonno l’assoluto era Dio creatore e lui chiedeva a persone che facevano icone di rappresentarlo.
  • Stavo scrivendo 6 progetti poi ho capito che era troppo, così ho indicato ognuno su un bigliettino e ho tirato a sorte per sapere quale continuare: ora mi sto concentrando su quello. Sono un narratore e i temi non mi mancano. Non ho mai scritto un libro di cui non sono soddisfatto. Per me un libro è una storia conclusa, che rileggo sempre prima di consegnare al mio editore. Solo il primo libro non l’ho riletto ma perché ce l’avevo dentro. Poi, quando lo consegno passo ad altro.

Intervista di Michele De Feudis, panorama.it, 13 marzo 2013.

  • La definizione di "criminale onesto" è un ossimoro, incarna la visione del mondo di un cittadino orgoglioso, che non accetta le malversazioni dai prepotenti nascosti sotto le vesti legalitarie dello Stato o con la maschera dei politici corrotti.
  • La comunità che ho descritto non esiste più. I vecchi Urka sono morti, i giovani sono stati ammansiti dal sogno occidentale, dalle mollezze di costumi estranei alla loro cultura.
  • [Sulla Russia] È un paese difficile da governare perché sterminato territorialmente. E c'è un netto distacco tra intellettuali e popolo.
  • [Su Ėduard Limonov] È un estremista. Ha fondato un movimento fascio-comunista, il partito nazionalbolscevico. Le sue idee sono pazzesche e purtroppo molti intellettuali lo seguono.

Intervista di Nicolò Bo, targatocn.it, 5 aprile 2013.

  • La mia esperienza in Italia è molto semplice: sono arrivato in qualità di extracomunitario come tanti altri per ricongiungermi a mia madre e poi sono dovuto rimanere. Il mio trasferimento in Italia non è stato programmato.
  • Se qualcuno vuole pensare che dietro a chi ha scritto il libro [Educazione siberiana] ci sia un ghostwriter, che lo pensi pure. A me importa, piuttosto, che costui abbia comprato il libro.
  • [...] io pago le tasse, mentre vedo, invece, che ci sono molti italiani che si sottraggono a questo dovere. Non riesco proprio a concepirlo: se la società decide che per il suo bene sono necessari determinati sacrifici, bisogna farli, tutti insieme.
  • [«Perché la scelta della Lituania (con molti attori lituani!) per rappresentare la sua Transnistria [in Educazione siberiana]?»] Primo, perché ci è stato vietato di girare in Transnistria, essendo un paese molto chiuso e compromesso. Hanno letteralmente paura dell’Occidente. È un paese dove regna l’illegalità. Ho provato a mettermi in contatto con il Ministero della Cultura, ma da lì non si degnano nemmeno di risponderti. È come chiedere di fare un film in Venezuela o Cuba. La Lituania è invece un paese europeo che alletta per le abbondanti sovvenzioni e poi, da una parte è ancora riconoscibile lo stampo sovietico, dall’altra è già nel cuore dell’Europa. Comunque è la produzione che ha deciso, io non avevo voce in capitolo. Le voci per cui "Nicolai Lilin ha vietato di girare in Russia" sono fantasie dei giornalisti per creare un fantomatico scoop.
  • L’Italia è un paese di compromessi. Tutti si mettono d’accordo con tutti e tutto apparentemente va bene. Ma in realtà ci sono tantissimi problemi. Ci riteniamo democratici e poi creiamo campi di concentramento in Sicilia, dove stipiamo ragazzi africani e li facciamo morire come topi. Come li consideriamo, quindi? Umani? Criceti? Come dobbiamo trattarli? Poi abbiamo la politica, da mani nei capelli: da una parte mummie, dall’altra il circo bulgaro, senza nessuna coerenza. Serve qualcuno che veda chiaro e che racconti le cose come stanno realmente. Gli italiani hanno perso il contatto con la realtà. Pensano di vivere nei film di Hollywood: case da sogno, attori bellissimi. Non è questa la vera faccia della quotidianità. Andate a vedere le situazioni ai margini. Non è tutto Sanremo, qui. Purtroppo l’italiano medio non ha voglia di aprire gli occhi davanti a questi problemi macroscopici. La colpa sarà in parte anche dei politici, ma principalmente è degli elettori.

Intervista di Daniela Fedi, ilgiornale.it, 10 giugno 2013.

  • In generale penso che nella moda ci sia tantissimo spazio per le storie e la fantasia. In quella italiana, poi, c'è più ricerca e rigore che in qualsiasi altra. Non è la prima volta che mi chiedono di realizzare qualcosa nel settore, ma stavolta ho capito di poter fare di più. Ho preparato tre storie universali valide sia per le donne che per gli uomini: l'amore, il viaggio, l'opposizione a tutte le dittature. Ciascuno le interpreterà a modo suo traducendo i simboli come meglio crede, ma tutti noi viviamo queste situazioni: siamo uniti dai nostri destini diversi. Quel che ci rende umani, una grande specie dominante, è proprio l'essere uguali nella diversità.
  • [«Qualcuno dirà che l'ha fatto per soldi, non pensa?»] Si accomodino, non è la prima e non sarà l'ultima volta che mi attiro delle critiche. Sono stati molto coraggiosi i titolari di Happiness perchè fare questo progetto è come fare una dichiarazione pubblica di libertà mentale.
  • Il mio Paese è governato da militari e questo genera sempre intolleranza e squilibrio. È la cosa che temo di più perché in Cecenia e in molte altre situazioni della mia vita ho visto a cosa può portare la mancanza di equilibrio, un orrore senza fine.

repubblica.it, 18 giugno 2013.

  • Quando realizzo un tatuaggio per una persona reale, non ho la possibilità di usare la fantasia, devo rimanere fedele alle storie della vita di ogni singolo individuo e questo mi spinge a cercare supporti alternativi, che permettano l'uso dell'immaginazione.
  • Ho scelto tre concetti che personalmente trovo profondamente intimi per ogni singolo umano, ma allo stesso tempo presenti in ognuno di noi. Uno è l'amore: siamo tutti innamorati di qualcuno o di qualcosa, siamo animati dalla passione e questo trasforma la nostra realtà quotidiana, modula la nostra vita.
    Un altro concetto è il viaggio, siamo tutti sempre alla ricerca di qualcosa, spinti dalla curiosità, viaggiamo dentro noi stessi, esplorando attraverso la nostra natura quella dell'universo, ci misuriamo con il mondo. Il terzo concetto è la resistenza a tutte le forme di dittatura, prima di tutto all'ignoranza e all'intolleranza che ci circondano, su questi pilasti si basano tutte le forme di estremismi e di dittature che esistono. Quest'ultimo è il tema che mi interessa di più, in particolare in questo momento di cambiamenti globali, in cui l'importanza dell'integrità umana e l'apertura mentale di ogni individuo coinvolto nel percorso della storia universale rappresenta un elemento indispensabile del meccanismo esistenziale.

repubblica.it, 11 luglio 2013.

  • Rulli e Petraglia sono stati per me due maestri: mi hanno introdotto alla magia e ai meccanismi del cinema. Sarei arrogante se dicessi che so già scrivere una sceneggiatura, ma sto lavorando in gruppo su alcuni progetti, per fine anno spero che maturi l' ossatura di un film.
  • [Su Mankind] Per non fare i soliti "lanci" nel vuoto, spesso adottati in tv, la rete mi ha chiesto di approfondire alcuni temi legati all' attualità. Il documentario è spezzato da alcuni interventi, ci riferiamo a situazioni che viviamo oggi. Non ci sono veri e propri ospiti, ma nella puntata in cui parliamo dell' evoluzione delle armi, diamo la parola a un esperto di addestramento militare. Forse Mankind risente di un' impostazione americana, dove c' è il mito delle armi (tutti le tengono in casa), mentre in Italia l' approccio è diverso.
  • [Su Mankind] Si parte dalla nascita dell'uomo. Si vede come sia riuscito a progredire, passando dalla caccia all' agricoltura. Si pone grande attenzione allo sviluppo economico, al commercio e alla geopolitica. Si parla delle rivoluzioni, ma non delle guerre mondiali, già abbondantemente trattate. Più che sulle ideologie e i capi di Stato ci si sofferma su persone comuni che hanno fatto grandi scoperteo che si sono battute per i diritti umani.

Intervista di Stefano Guerrini, stefanoguerriniarchivio.it, 31 luglio 2013.

  • Da tempo il mondo della moda mi proponeva collaborazioni, ma fino ad oggi nessuna mi aveva convinto. Poi un giorno è arrivata la proposta di Yuri Scarpellini, fondatore di Happiness, con cui ci siamo intesi da subito poiché era sinceramente affascinato dall’idea del significato celato nei simboli e nei tatuaggi della mia tradizione. Non mi ha mai chiesto il significato dei disegni, così come vuole l’etica della mia tradizione, e mi ha lasciato totalmente libero di sviluppare il progetto come volevo.
  • Ho pensato ai giovani. Ho modo di dialogare spesso con loro, anche tramite i social network. Mi sembrano una generazione intelligente, curiosa, attenta e combattiva e ho voluto raccontarli attraverso questi disegni.
  • Come sa io ho un passato da militare, dove la moda non esiste perché tutto è uniformato. I capi di abbigliamento che prediligo sono quelli pratici, ma da quando vivo in Italia ho avuto modo di avvicinarmi al mondo della moda e di apprezzare lo stile classico degli abiti da uomo. Recentemente ho anche vissuto un’esperienza televisiva con lunghe prove abiti a cui non mi ero mai sottoposto. Poi, beh, nel mio guardaroba personale l’accessorio di punta rimane sempre la fondina.

Intervista di metropolitano.it, 10 settembre 2013.

  • La cultura criminale siberiana era già in decadenza quando ero bambino: era una mentalità chiusa, legata regole rigide che però portavano anche una serie di valori positivi come la correttezza, il rispetto dei deboli, delle autorità (criminali, ovviamente), la religione, la discrezione e l’educazione. Dall’altro lato, vi era l’odio profondo contro la polizia, contro il regime comunista e contro i diversi. Erano soprattutto i nostri anziani a tramandare le nostre leggi e i nostri costumi, mentre già la generazione di mio padre se ne stava allontanando.
  • La cultura di mio nonno si è estinta perché era imperfetta, estremamente rigida anche nei confronti di sé stessa. Era un mondo in cui l’intolleranza era portata all’estremo, quasi alla superstizione: basti pensare che mio nonno era terrorizzato dai gay, perché era credeva che l’omosessualità potesse essere trasmessa attraverso lo sguardo.
  • Cresciuti sotto il regime, i nostri anziani vivevano per sopravvivere. Con la fine del comunismo però è finita anche la cultura criminale siberiana: i valori dei nostri nonni non potevano vincere contro il consumismo moderno.
  • Il nostro tatuaggio non è mai stato geloso: anche al tempo dei nostri vecchi, nessuna regola proibiva di dare i nostri segni a chi non era siberiano, a patto che ad eseguire il tatuaggio fosse un kol’sik. Ad ogni modo, le antiche regole sono quasi dimenticate e non c’è nessuno che le faccia rispettare. Con il mio lavoro cerco di far sopravvivere la nostra arte alla dispersione della nostra cultura.
  • [«È vero che hai ricevuto delle minacce, a seguito della pubblicazione dei tuoi romanzi?»] Sì, ma non da parte di Seme Nero: magari non gli starò simpatico per quello che ho scritto nei miei romanzi, ma di fatto non hanno motivo di odiarmi al punto da farmi del male. Non sono uno di loro e non ho mai fatto finta di esserlo. Piuttosto, ho avuto problemi con alcuni mitomani italiani, nostalgici della vecchia Unione Sovietica, che mi hanno minacciato per la mia condanna del regime comunista.

Intervista di Francois Turatto, today.it, 9 ottobre 2013.

  • [...] io sono molto legato al Veneto, mi sento anche un po’ Veneto in quanto ho gli stessi modi. Una somiglianza di etica e di morale. Provengo da un posto molto povero, dove la gente si rimboccava le maniche e lavorava sodo e aveva la mentalità molto simile ai veneti, quindi mi trovo molto bene qua.
  • Quello che vogliamo fare nel nostro laboratorio non è ripristinare la cultura siberiana – che si è quasi estinta – ma è influenzare la tendenza dei tatuaggi moderni con le regole del tatuaggio antico. Portare un po’ di senso e di significato in una cultura moderna che ormai è troppo estetica.
  • [...] il tatuatore non è importante perché tatua fisicamente il corpo, ma perché conosce e interpreta i simboli.

repubblica.it, 15 ottobre 2013.

  • Otto anni fa mi sono trovato coinvolto in un progetto di monitoraggio delle sette sataniche a Torino. Uno dei miei incarichi era quello di analizzare i graffiti della città. Nei pressi della prefettura mi sono imbattuto in una serie di scritte con l'acronimo "Ms13", accompagnate da disegni di mani che facevano il segno delle corna. Ipotizzando un collegamento col tema del satanismo ho approfondito attraverso i miei contatti. Mi rispose un agente dell' Fbi che aveva passato più di dieci anni sotto copertura nelle gang di Los Angeles, con: «Complimenti, la Mara Salvatrucha è arrivata anche da voi».
  • Quando si parla di Ms13 bisogna essere consapevoli che rappresentano il corpo armato dei trafficanti messicani e che oltre a commettere omicidi e atti di violenza per conto dei boss della "Eme", la loro funzionalità è quella di "colonizzatori" di nuovi territori, che i criminali messicani invadono con lo spaccio di droga.
  • La gang Ms13 ha un rigido codice di comportamento, una gestione gerarchica, un sofisticato sistema di riconoscimento e una serie di linguaggi nascosti che spaziano tra tatuaggi, capi di abbigliamento, uso del linguaggio dei gesti, modi di tagliare i capelli, sagomare le sopracciglia, creare cicatrici di forme particolari in punti visibili del corpo. Ogni iniziato ha dei tatuaggi specifici, come i tre punti che rappresentano le tappe della vita di un mara: l' ospedale in cui si nasce, il carcere in cui si finisce e il cimitero in cui si va dopo la morte. Altri tatuaggi tipici sono le lettere MS in carattere gotico abbinate al numero 13.
  • La progressiva crescita in Italia delle gang di Ms13 è un segnale preoccupante. Può significare che stiano testando il nostro territorio per conto della criminalità messicana. Una volta inseriti nell' ambiente criminale locale e stabiliti sul territorio, potrebbero essere potenziati da chi è esperto nel traffico e dalle cellule violente dei killer. Il passo successivo è quello di organizzare il traffico diretto di armi e droga senza rendere conto alle comunità criminali locali. Questo è il modo in cui hanno agito durante la loro migrazione sul territorio degli Stati Uniti. Per una città come Milano, dove il traffico di stupefacenti è controllato dalle famiglie di origine calabrese, questo può significare una guerra tra fazioni criminali. Guerra che, come tutte le guerre, non porterà niente di buono né a coloro che la faranno né a coloro che saranno costretti a subirla.

Intervista di Fulvio Paloscia, repubblica.it, 30 ottobre 2013.

  • [...] sono rammaricato per come stanno andando le cose con Putin, le sue leggi omofobe, la censura, la pedofilia come sistema criminale per guadagnare denaro. La corruzione di stampo occidentale ha preso il sopravvento, per questo Berlusconi e Putin sono così amici, e si somigliano pure: ambedue oggetto di plastiche facciali per sembrare sempre giovani, ma solo Satana non invecchia mai. Sono demoni.
  • Non ho più fegato per vivere in un Paese così, dove l'unica soluzione ormai è il suicidio. Non amo essere sottomesso ad un Re. Sia Putin o Berlusconi.
  • Ci vuole una nuova rivoluzione. Non armata, ma delle idee. Un risveglio degli intellettuali che ribalti tutto attraverso la cultura.

Intervista di Mariagiovanna Grifi, Corrierespettacolo.it, 16 novembre 2013.

  • [Su Educazione siberiana] Io ho scritto un romanzo, non un saggio storico, anche se ho fatto riferimento a un momento epocale della storia. Non è facile, e neanche opportuno, cercare di distinguere la realtà dal romanzo. Chi cerca di esaltare o di negare la verità del mio libro è comunque un "maleducato". Sta a me scrittore affermare se quello che ho scritto è fondato sull’esperienza vissuta o meno.
  • In Italia tutto deve essere uguale a qualcosa di più grande e importante, è la legge del conformismo: nel mondo consumistico vendere idee diverse è difficile, c’è bisogno di fondarle su un sottosuolo di base uguale ad altri.
  • [Su Educazione siberina] Ho avuto molte proposte, anche più importanti di Salvatores, e magari avrei potuto guadagnare più soldi, ma avrebbero sicuramente stravolto il mio libro, lo avrebbero trasformato in uno splatter pieno di sangue e criminali russi. Ho preferito una persona sensibile, con cui poter lavorare anche di persona (fondamentale il fatto che Salvatores era a Milano, vicino a me).

Intervista di Mauro Ruggiero, Cafeboheme.cz, 18 dicembre 2013.

  • Ho visto che in Italia la guerra viene considerata o come una cosa completamente da condannare, ma da condannare in modo generico, anche molto ipocrita, perché si condanna una cosa che non si conosce, oppure, dall’altra parte, molti la considerano invece un show, un divertimento, grazie ai film dove quando si uccide si ride, si scherza, oppure ai videogiochi dove dalla mattina alla sera ci si ammazza. Tra l’altro videogiochi molto realistici, che fanno paura… Si fa tutto questo, però, senza il dolore vero, senza vedere cosa accade dopo, perché quando nel videogioco si spara, il nemico cade a terra poi scompare, ma nella vita poi vedi anche la gente che arriva, la madre che piange… Per questo volevo raccontare la guerra così com’è veramente, per condividere questa esperienza con le persone che non conosco.
  • Non voglio certo difenderlo, sarei l’ultima persona a poter difendere il regime in Unione Sovietica, sarei un ipocrita, visto che nella mia famiglia sono morte 17 persone per mano dei sovietici… Però quando succedeva questo casino, quando è arrivata questa libertà e c’erano manifestazioni, carrarmati in piazza, gente… Io vedevo mio nonno che era triste e preoccupato. Allora io andai da lui e gli dissi: "Nonno, tu che li hai odiati per tutta la vita i comunisti, adesso che stanno crollando, che è questione di settimane e saranno finiti, come mai non sei contento?" E lui mi ha detto: "Nicolai io sono triste per te e per le generazioni che verranno dopo, perché non si distrugge una casa prima di averne costruita un’altra nuova". Diceva che anche se loro erano i nostri nemici e se noi non eravamo d’accordo con loro politicamente, non era giusto distruggere quello che avevano creato, il sistema sociale che loro hanno creato, senza avere almeno un’alternativa o un’ipotesi di alternativa. E io lì ho capito che comunque vada le regole servono, anche se a volte non ci piacciono.
  • È molto difficile per me parlare della Russia in termini analitici perché è il mio paese. È come se a te chiedessero se tua mamma è buona o cattiva… Nessuno risponderebbe che sua mamma è cattiva, assolutamente, anzi, risponderebbe che sua mamma è la migliore di tutte. Io adoro questo paese. Ovviamente sono molto preoccupato per le situazioni che ha vissuto in passato e che ancora dovrà vivere perché, come hai detto tu, la Russia è un paese enorme. Quando noi diciamo che la Russia è grande non lo diciamo tanto per dirlo, la Russia è veramente un paese grande: né Hitler né Napoleone sono riusciti a conquistarla e si sono resi conto di questa grandezza. Ci sono una serie di situazioni che questo paese sta attraversando oggi, a cui dobbiamo unire la sua complessità storica… Penso ad esempio alla corruzione, anche se questa non è solo una specificità russa, sulla corruzione italiana, ad esempio, si potrebbero scrivere saggi; è una cosa che colpisce a livello globale tutte le nazioni.
  • La Russia è un paese che, secondo me, potrebbe funzionare molto bene se la classe media, intellettuale, la borghesia che c’è -poca ma c’è- troverà un equilibrato accordo ed una unione con il popolo. Altrimenti ci saranno sempre questi sbalzi che poi portano a disastri com’ è stata la Rivoluzione di Ottobre che è stata la rivoluzione del popolo e però poi il popolo ha sterminato tutte le altre persone. La borghesia russa, quella che si è salvata, lo ha fatto grazie agli ebrei che hanno organizzato le navi per l’America per quelli che sono riusciti a scappare. Poi ci sono stati questi 70 anni di oblio totale; generazioni di umani che hanno sofferto e soffriranno ancora. Perciò io credo che la Russia debba necessariamente trovare un equilibrio sociale.
  • [...] io sono apolitico totalmente. Mi è capitato spesso, anche per un’azione che feci, quando tempo fa andai a presentare un libro a Casa Pound a Roma – al tempo non sapevo neanche bene cosa fosse Casa Pound- di essere considerato di destra. Ma io andai lì perché ci andarono anche altri intellettuali, anche di sinistra, c’era un ex brigatista… Però si vede che loro hanno un po’ manipolato la mia partecipazione e quindi in rete per un po’ di tempo mi davano del fascista, che per me è una cosa stranissima. Io ho origini ebraiche e quindi non posso proprio essere di destra, anche perché avevo una bisnonna ebrea che è stata nei campi. Anche se volessi essere un nazista non potrei per la memoria di mia nonna a cui volevo tantissimo bene. Mi piacciono le idee del tradizionalismo, ma non di quello estremo. Mi piacciono le regole, ma non regole per le quali una persona debba per forza morire. Se le regole devono essere intese come quelle applicate nel Terzo Reich, allora meglio nessuna regola. Non scherziamo!
  • Io sono nato nel 1980, avevo 7 anni quando nel 1987 cominciarono i primi turbamenti di pre-caduta sovietica, erano tempi a dir poco violenti, soprattutto dove io sono nato, un posto molto problematico. Arrivò l’eroina, cominciarono i primi tossicodipendenti, interi quartieri di periferia cadevano nella tossicodipendenza, vedevi questi zombie camminare per strada, io poi all’epoca ero un ragazzo e, come del resto anche adesso, mi piaceva farmi trasportare dalla fantasia e lasciarmi impressionare dalle cose, leggevo molti libri di fantascienza e quando vedevo questi tossici pensavo che fossero veramente degli zombie, dei morti viventi. Molti dei miei amici, dopo la caduta del comunismo, hanno iniziato ad avvicinarsi a nove dieci anni a quelli che spacciavano la droga, portavano loro i messaggi, allora quelli in cambio gli davano qualcosa, gli facevano sniffare l’eroina… È la morte questa!
  • Ricordo che con i miei amici andavamo in discoteca, ma non per ballare. Ci andavamo per picchiare quelli che ballavano. Eravamo ignoranti, tutti indottrinati con queste regole di strada secondo cui chi va in discoteca e balla è un bastardo, finocchio, omosessuale. C’era questo odio insensato nei confronti degli omosessuali che io ancora oggi non riesco a capire, però c’era, ed era terribile. Poi, stranamente, veri omosessuali in quel posto lì non ce n’erano neanche, non li abbiamo mai visti, li inventavamo! Era una cosa veramente allucinante, eravamo una generazione turbata. Noi andavamo in discoteca per picchiare quelli che ballavano, il nostro divertimento era aspettare chi si divertiva, aspettavamo lì sotto un muro quattro ore, fino all’una di notte la gente che ballava e ci riempivamo di odio ascoltando quella musica… Poi in realtà tutti avremmo voluto andare dentro a ballare, però nessuno voleva ammetterlo, altrimenti sarebbe stato considerato “ricchione”. Io volevo ballare… si vede che ero un “ricchione”… che ne so! Quando poi all’una di notte la gente usciva, in pochi minuti gli saltavamo addosso, li picchiavamo e poi scappavamo a casa ridendo, e questo era il nostro metodo di liberazione: correre all’una di notte per strada, tirando le pietre e sperando che gli sbirri non ci prendessero. Poi, ad un certo punto, io ho iniziato a tirare fuori le regole che avevo imparato dai vecchi, e ho capito che stavamo facendo delle cose non giuste e fui allontanato da alcuni miei amici perché mi dicevano che ero come un vecchio che gli stava rovinando il “bellissimo divertimento!”.
  • Io ho un fratello più piccolo, che è musulmano, è diventato musulmano, si è convertito un anno e mezzo fa, ha sposato una ragazza del Dagestan, quindi io in famiglia ho una ragazza imparentata con i ceceni, ma la religione quando è vera e sincera è un bene perché è un aiuto in più, ma quando diventa uno strumento trasforma gli uomini e li distruggi, per questo io credo servano equilibrio, ma soprattutto serva intelligenza personale.
  • Sono stato sposato una volta con un’italiana, adesso convivo con un’altra che sta aspettando un’altra bambina e quindi diventerò per la seconda volta papà. Sono veramente per le italiane, soprattutto le donne meridionali, le donne del Sud, così passionali, gelose… Hanno un carattere particolarissimo, profondo, che deriva credo dalle donne romane, da come erano le donne nell’antica Roma.
  • Per me è molto importante vivere in una società che non abbia nel suo passato dei buchi neri, e invece in Italia ci son ancora troppi buchi neri: la strage di Piazza Fontana, Ustica…. Tutto questo genera classi politiche che continuano ad avere una necessità di nascondere e che quindi, per quanto possano essere onesti questi politici, per quanto appaiano buoni, quando arrivano poi lì continuano a comportarsi come i loro predecessori. Da italiano io voto perché devo dare il mio voto, so che votare è una necessità, il cittadino deve votare così come il soldato deve combattere, perché se non combatti allora ti ammazzano, un cittadino deve esprimerne il proprio voto e perciò non è giusto quando qualcuno dice che non bisogna votare e che è meglio stare a casa, però io voto piangendo, te lo giuro! Mi vengono veramente le lacrime, io so che andando a votare sto andando a divorare il futuro dei miei figli perché non ho una persona che mi rappresenti veramente, perché tutti loro, i politici, comunque sono dei ladri, bugiardi, speculatori, qualcuno di più qualcuno meno, qualcuno più simpatico qualche altro più antipatico, qualcuno tende di più ai fascisti qualche altro ai comunisti, comunque sono tutti bugiardi e questa è una parte dell’Italia che mi turba.
  • Guarda: a quelli che dicono che gli italiani sono razzisti io gli spaccherei la faccia, gli farei ingoiare i denti a forza di botte! Io sono arrivato in Italia ed ero un perfetto nessuno. Ero un extracomunitario come tanti. Sono riuscito a realizzarmi, a scrivere i libri solo perché la gente non è indifferente, perché la gente ha comprato il libro, ha detto: “Ma chi è quello lì? Andiamo a leggere… Ma guarda che storia interessante!” Nessuno mi ha mai detto:” Schifoso negro, ebreo, comunista, russo…” Io ho incontrato sempre gente buona che mi ha aiutato. In Italia non ho mai trovato nessuno che mi rinfacciasse qualcosa. Certo, ci sono delle pecore nere… Ma guarda a Lampedusa cosa succede: la gente aiuta i rifugiati, è commovente. Vorrei davvero vedere se gli austriaci o i tedeschi sarebbero in grado di accogliere così, in quel modo. A Lampedusa la gente, nonostante la carenza di strutture si porta questi rifugiati a casa, gli dà da mangiare, li riscalda. Questa è l’umanità vera. Io sono felice per questo di far parte di questo popolo, gli italiani. È per questo che non sono andato via. Se fosse invece solo per la situazione politica sarei già emigrato.
  • La Russia è un paese dove la gente è buona, infatti somigliamo molto agli italiani, è per questo che mi sono trovato bene qui. In Russia non ti lasciano solo, senza un piatto caldo. I russi per natura sono molto ospitali, l’ospite è sacro.
  • In assoluto il mio autore preferito, di cui rileggo sempre tutti i suoi libri ogni anno, come un rito, una ritualità spirituale, è Bulgakov. Poi: Turgenev, Čechov, Tolstoj che per me sta vicino a Dio e a Dante. Mi piace immaginarli tutti e tre lì insieme da qualche parte. Secondo me Dio è stato un po’ Dante e un po’ Tolstoj. Li ha illuminati da lassù e ne ha fatto un po’ la presenza divina sulla terra. Un po’ come Buddha, Krishna… E poi tra i poeti mi piacciono Esenin, Mandel’štam, Blok e tanti, tanti altri.

2014

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La Repubblica, 25 febbraio 2014.

  • Roberto è stato tra i più entusiasti sostenitori del mio romanzo, molte cose che ho raggiunto nella vita le devo a lui, mi ha aperto tante porte, dal giornalismo al teatro.
  • Giuseppe lesse il libro su suo suggerimento, e mi chiese i diritti. Accettai, a patto di creare insieme una storia nuova, indipendente dal romanzo, ma che ne rispettasse i valori. Soprattutto il rapporto tra giovani e anziani. Oggi la società se ne disfa, li mette in casa di riposo, invece la condivisione delle loro esperienze è il dono più importante che un giovane può avere. Io sono cresciuto con gli anziani del mio villaggio, e quello che mi spaventa di più per le mie due figlie, Elena e Ada, appena nata, è che oggi mancano i maestri, buoni o cattivi che siano. I ragazzi sono lasciati soli.
  • A scuola ci preparavano a un mondo sovietico, a casa trovavamo il consumismo e il capitalismo post- sovietico, marcio e corrotto. Una giungla che ha spazzato via le leggi dei nostri nonni, i "criminali onesti".
  • Quando sono arrivato in Italia ero molto ingenuo, non conoscevo le dinamiche del mondo letterario. Diedi l'esclusiva del romanzo a Saviano perché fu il primo a interessarsene, si scatenarono invidie e ripicche. Un noto giornalista, che non nominerò, commissionò a una collega russa un articolo per screditarmi, e tutti a citarlo, senza verificare. Sa perché adesso le polemiche sono finite? Marco Deambrogio, lo scrittore viaggiatore, è andato in Transnistria dai miei nonni, e lo ha raccontato in un suo libro. Tutto qui.

La Repubblica, 24 marzo 2014.

  • Molti russi di nazionalità si sono ritrovati cittadini di nuovi paesi appena formati, separati con nuova frontiera da quella che da sempre consideravano la loro patria. In alcuni casi i cittadini di nazionalità russa si sono rifiutati di aderire alla vita politico-sociale dei nuovi Stati, proclamando l'indipendenza e rimanendo fedeli al potere e alla struttura statale di Mosca. La Transnistria rientra tra questi Stati.
  • [Sulla Transnistria] Questo paese da anni è un buco nero di operazioni illecite. Proprio in Transnistria dopo la guerra di separazione dalla Moldavia nel 1992 si è creato uno dei più grandi mercati di armi di tutta l'ex Urss, e non si tratta solo di qualche pistola come abbiamo visto in una delle allegre inchieste delle Iene di qualche anno fa. In quel piccolo lembo di terra chiunque può comprare armi di distruzione di massa spendendo somme ridicole.
  • La culla del traffico delle armi è la 14ma armata russa, stanzia- ta in Transnistria dall'epoca sovietica, quando era destinata ad essere il magazzino e la fabbrica di armi per un'ipotetica guerra contro l'Occidente. Ma la guerra non c'è stata e le armi si sono accumulate nei numerosi magazzini se non addirittura a cielo aperto. L'Unione Sovietica è morta in decadenza, nella regione è scoppiata una sanguinosa guerra civile e quell'enorme potenziale bellico è finito nelle mani dei militari russi, sottopagati e con poche prospettive per il futuro.
  • Il riconoscimento da parte della Russia dell'indipendenza della Transnistria o anche la sua unione con la Moldova porterebbe ad una pace che i suoi cittadini aspettano da anni. Ma entrambe le opzioni sono compromesse. La colpa è dei potenti personaggi politici che si trovano in costante contatto con il mondo illegale. L'indipendenza della Transnistria l'immediata applicazione di leggi che non possono andare in conflitto con quelle internazionali, significa la possibilità di aprirsi al mondo, di avviare le relazioni con altri paesi. Questo spaventa solo chi opera contro la legge, contro la trasparenza e l'apertura tra i paesi, chi guadagna armando i poteri oscuri, chi fa affari con il terrorismo.

Intervista di Casadelsole.org, luglio 2014.

  • [Sulla Transnistria] Oggi è un protettorato russo la cui indipendenza non sarà mai riconosciuta. Non saprei dire se questo sia giusto o no. Ufficialmente dovrebbe far parte della Moldavia però il problema è che oggi ci sono molte persone in ambito russo soprattutto politico interessate a mantenere il potere su queste terre.
  • In Occidente il tatuatore è un signore che sta in un negozio e realizza tatuaggi per le persone che desiderano averne sulla pelle. Io non faccio questo tipo di attività. Per me il tatuaggio è una cosa ben diversa. Per i miei antenati essere un tatuatore era paragonabile ad essere un sacerdote, un prete; quindi tutta un’altra cosa. Io continuo a svolgere la mia attività in forma privata senza mischiare la mia arte e la mia tradizione con quello che è il tatuaggio moderno.
  • [...] sono cresciuto in un posto dove c’erano parecchie persone con diverse forme di disabilità, anche se da noi la parola disabile non è ben vista, perché si crede che le persone che qui in Occidente vengono definite disabili, abbiamo alcune abilità che noi non abbiamo. Quindi le consideriamo persone scelte da Dio per portare dentro i loro corpi il concentrato del loro spirito che gli permette di essere più vicine a Dio. E questa forma di convivenza con queste persone ovviamente cambiava l’approccio con quello che era il loro stato fisico o mentale. Per cui cerco di non usare la parola disabile proprio perché credo profondamente che in realtà siamo più disabili noi rispetto a quello che portano dentro questi umani.

Intervista di Mario De Fazio sulla rivoluzione ucraina del 2014, Barbadillo.it, 5 luglio 2014.

  • Ciò che dico viene sostenuto da larga parte della sesta parte del mondo, la Russia. Cose che vengono taciute dai nostri media occidentali, in gran parte corrotti e strumentalizzati. In Ucraina è avvenuto un colpo di Stato, illegale, violento, organizzato da forze esterne. Non rappresenta assolutamente la volontà del popolo ucraino. Se tutto il popolo fosse stato d’accordo non ci sarebbe stata la secessione della Crimea e la guerra civile che c’è adesso.
  • Non dubito che tanti ragazzi di Maidan volevano il bene della loro patria. Ma sono stati strumentalizzati: Lenin chiamava persone del genere "utili idioti". Possono avere tutte i buoni propositi che vogliono ma ammazzano persone civili e partecipano a uno scempio sulla propria terra. Combattono cittadini della loro stessa terra ed è la cosa peggiore che c'è. Un uomo, un guerriero, deve difendere la propria terra dagli esterni, loro si sono messi insieme a gente venuta da fuori, da Washington, per insegnare i nuovi valori, e si sono fatti strumentalizzare e uccidono i loro fratelli, gente che crede nello stesso Dio. Lavorando, in questo modo, per chi crede in McDonald’s e Shell.
  • L’Ucraina aveva già la possibilità di essere indipendente, con Janukovyc. È vero che era costretto ad accettare alcune posizioni russe, e bisogna dire che era un oligarca. Ma rispecchiava bene il popolo ucraino. Ciò che è avvenuto adesso, la rivoluzioni populista, è dovuto al lavoro di agenzie esterne, che hanno strumentalizzato il populismo creando una guerra.

Intervista di Matteo Bolzonella, Sulromanzo.it, 4 agosto 2014.

  • [Su Il serpente di Dio] Il romanzo nasce qui in Italia, meno di un anno fa: è una sorta di mia reazione alla situazione geopolitica che si sta vivendo. Vivo con dolore il fatto che oggi le diversità vengano sfruttate da diverse fazioni politiche o geopolitiche come delle armi per manipolare le società. Quella diversità che dovrebbe essere la nostra ricchezza, una delle poche cose che aiuta a conoscere veramente il mondo e a rispecchiarsi in esso, oggi viene riproposta spesso, anche da parte dei mass media, come un elemento di cui dobbiamo avere per forza paura e che dobbiamo fronteggiare con molta attenzione, quasi con sospetto: “Se uno è diverso da me, è uno di cui io non devo e non posso fidarmi”; ecco, questo non va bene. Io sono nato in Unione Sovietica e ho il ricordo di un Paese bellissimo, con 183 etnie che vivevano in pace e armonia, senza mai aver avuto sospetti di questo tipo. In modo particolare non sentivamo questa inevitabile divisione tra mondo islamico e mondo cristiano che oggi viviamo, di cui mi dispiace molto. Il mio fratello minore, Dimitri, si è convertito all’Islam e si è sposato con una bellissima ragazza di Daghestan, paese russo con una maggioranza di etnie di religione musulmana. La mia famiglia vive con molta serenità questa situazione ma spesso dall’esterno, anche da alcuni miei amici, questa differenza è stata vista male: tantissimi vedono la scelta di mio fratello come una cosa molto estrema. Il mio romanzo si basa sul valore della diversità nella religione: i protagonisti sono due ragazzi, uno cristiano e uno musulmano che, nonostante la differenza culturale e religiosa, riescono a sviluppare un rapporto fraterno, come viene suggerito dalla loro stessa comunità, quella caucasica. E il Caucaso è storicamente luogo di una convivenza tra comunità non solo pacifica, ma anche fraterna.
  • In Russia una cosa che mi ha aiutato moltissimo e che forma la base della mia espressione narrativa è la narrazione orale, su cui si è formata la cultura siberiana nella quale io sono cresciuto. Mio nonno mi raccontava tantissime fiabe e questo per me è stato fondamentale. D’altra parte ho avuto anche un’educazione sovietica: nelle scuole russe si leggeva molto, moltissimo, tanti classici, russi e stranieri e questo mi ha aiutato ovviamente a elaborare una forma espressiva tutta mia ma che si basa sui libri che ho letto.
  • [Su Gabriele Salvatores] Io amo quest’uomo, a mio avviso è uno dei più importanti e talentuosi registi italiani che hanno fatto la storia del cinema italiano.
  • [Su Educazione siberiana] Il film è sicuramente bellissimo ma già dall’inizio si capisce di trovarsi davanti a una storia parallela: non è un tentativo di ripetere il libro sullo schermo, ma ricrearne la storia prendendone spunto.

Intervista di messaggeroveneto.gelocal.it, 2 settembre 2014.

  • Siamo romanzieri, non teniamo diari. E quando ci accusano d’inventarci stralci di esistenze, straparlano. È un paradosso. Avremo o no la licenza di fantasticare?
  • Guardi, avendo dato l’esclusiva dell’uscita a Roberto Saviano e a Repubblica, un altro quotidiano nazionale, La Stampa, si è vendicato inventandosi un pezzo vergognoso pieno di falsità. Un riuscitissimo esperimento di disinformazione. Un blogger sconosciuto, ed ecco il secondo caso, per farsi un po’ di nome in giro usò la stessa tattica. Terza corsa su Il Fatto, che tra l’altro mi offrì una collaborazione dopo aver pubblicato le solite allucinazioni. Per quanto mi riguarda è un giornaletto scolastico. Mia madre mi chiamò offrendosi addirittura di rilasciare un’intervista per confermare con foto e prove quanto raccontai nel libro. Le dissi di lasciar perdere. La faccia io ce l’ho messa. Anche al Chiambretti Night. Facile incontrare invidie e russofobi, mica tanto strano. Il razzismo proprio dei liberisti di sinistra, cresciuto nella Gran Bretagna coloniale, è una piaga diffusa. Se la coscienza è pulita vai avanti e non ti curi
  • [Sull'Italia] Un Paese in difficoltà. E disgregato, seppure unito soltanto 150 anni fa. La politica ha un atteggiamento criminale. Non soltanto ruba a man bassa, ma non si preoccupa minimamente di guarire ’sta terra malandata. A far lievitare i danni ci si mette pure l’atteggiamento filo-americano. Fuori gli States con le loro basi e i loro missili e su le maniche per lavorare seriamente.
  • Impariamo dalla Russia, un groviglio di svariate declinazioni di cristianesimo, islamismo, buddhismo, paganesimo, persino. Eppure, nessun contrasto violento; si è stabilizzato un sentimento di pacifica convivenza, ognuno nel rispetto dell’altro.

Intervento durante la Festa dell’Unità, giornalelavoce.it, 22 settembre 2014.

  • [...] l’Ucraina è Russia, e non a caso la prima capitale dell’Unione Sovietica fu proprio Kiev.
  • [...] voi non sapete niente, voi votate e basta. L’Ucraina è solo una pedina, anche insignificante, dell’America, la quale teme che l’Europa si giri verso la Russia, canale anche verso la Cina, paesi in espansione.
  • Sono cresciuto in Unione Sovietica. Eravamo poveri, ma non avevamo i pidocchi a scuola. Qui ho mandato mia figlia, purtroppo, in una scuola statale, e per tre mesi mi ha portato i pidocchi. Questa è la vostra democrazia. La vostra democrazia è mettere gli anziani negli ospizi. La democrazia schiavizza. Voi dovete ascoltare i vostri anziani (tranne Napolitano), la loro saggezza. Il Nazionalismo vero, come diceva mio nonno che era siberiano, significa amare il proprio paese, e rispettare gli altri.
  • A 12 anni ho vissuto la guerra civile. Nell’89 sono iniziate le tensioni. Si diceva che fossero causate dal Nazionalismo moldavo. Poi si è scoperto che era gente rumena, mercenari. Voi non avete ancora imparato. Perché quello che fa Renzi con Obama (fare sanzioni, bombardamenti di cui nessuno parla, pagare neonazisti per uccidere gente che non viene messa in tv come il giornalista americano) è un atto criminale. Voi votate dei criminali.

Intervista di Angelo Pannofino, gqitalia.it, 11 dicembre 2014.

  • I giornali italiani dicono che l'esercito russo ha invaso l'Ucraina, ma dove? Non c'è un solo soldato con la divisa dell'esercito russo. Dalla Russia sono sicuramente arrivati dei volontari, ma ci mancherebbe: noi russi andiamo ad aiutare i nostri fratelli in qualunque parte del mondo, ma lo facciamo da privati. Da privati.
  • Putin ha un pessima reputazione perché gli italiani hanno sempre avuto della Russia una visione creata da persone che sostengono il blocco atlantista.
  • [...] quando parliamo di disinformazione la Politkovskaja è un esempio perfetto: lei è diventata una sorta di martire della libertà che gli occidentali spingono di brutto. Spesso qui leggo una frase stupida: “Putin ha ucciso la Politkovskaja”. Punto. Come si fa a essere credibili se si scrivono cose del genere? Putin non ha ucciso nessuno. E il KGB non ha ucciso nessuno. Anche perché non esiste più il KGB ma altre strutture, come l'FSB, che è solo un'ala dell'ex KGB, quella politica: considera che solo l'FSB conta tre milioni e cinquecentomila agenti effettivi. Sai cosa vuol dire una cifra del genere? Vuol dire che non c'è niente che possa fermarli, né la CIA né il Mossad. Come si fa a pensare che una struttura così possa mandare due agenti a sparare in pancia alla Politkovskaja mentre sale a casa sua con i sacchi della spesa? Neanche i criminali ormai fanno cose del genere in Russia: hanno più gusto e più pietà
  • [«[...] qual è la tua idea sull'omicidio della Politkovskaja?»] Non è un'idea, è un fatto documentato: ci sono due delinquenti wahabiti (perché in Caucaso tutto viene dal wahhabismo), terroristi pagati dagli americani, che lo hanno fatto perché lei indagava sul legame tra alcuni militari russi e alcune fazioni wahabite. Il problema principale della Politkovskaja è che lei è comparsa sulla scena mediatica grazie al signor Berezovsky, che l'ha fatta diventare la “sua” giornalista: in poche parole l'ha comprata. [...] è questo il problema della Politkovskaja: i suoi legami con Berezovsky. La sua visione era molto facile: la guerra cecena? La colpa è dei russi. Ma io l'ho fatta la guerra in Cecenia, e non è affatto così.

La Repubblica, 28 dicembre 2014.

  • Ho a mia disposizione una vasta gamma di simboli, paragonabile a una sorta di alfabeto. Ogni simbolo, così come ogni lettera dell'alfabeto, non ha nessun significato singolarmente, ma può assumerne diversi a seconda di come viene inserito nel disegno completo e posizionato rispetto agli altri simboli e anche a seconda della parte del corpo in cui viene tatuato, proprio come le lettere dell'alfabeto, che compongono parole diverse a seconda dell'ordine in cui sono disposte, parole che poi diventano frasi, che a loro volta si trasformano in storie. La parte più importante nel processo è quella legata al passaggio dell'informazione dalla persona che intende tatuarsi al tatuatore. Si crea qualcosa che sta a metà tra una confessione sacra e una complicità quasi intima.
  • Spesso le storie che mi affidano sono così personali e profonde che mi rendo conto di essere l'unico a conoscerle, molti non raccontano le loro esperienze più estreme nemmeno ai propri cari. In alcuni casi le persone fanno fatica persino a trasformare le proprie memorie in parole, ci mettono molto a dare forma linguistica alle proprie paure, agli incubi del passato.
  • Iniettare l'inchiostro sotto la pelle è un processo che richiede una certa abilità e conoscenza della materia, ma io la vedo come una semplice conclusione di qualcosa di molto più profondo, faticoso ed emozionante. Per questo, mentre tatuo una storia provo già nostalgia per quei simboli, per i particolari di quella vita che ho conosciuto e interpretato nel tatuaggio che vado eseguendo, e dentro di me sento il bisogno di affrontare nuovi segreti.

2015

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Intervista di Elena Bagalà, vita.it, 16 gennaio 2015.

  • [Sul Caucaso] Sono zone in cui la vita ha altri ritmi rispetto alla società moderna come noi la intendiamo, la gente è ancora molto legata alla natura e porta avanti gli antichi valori che gli sono stati tramandati [...]. La comunità cristiana consegna un oggetto, affinché venga custodito, alla comunità musulmana e viceversa. È uno scambio di oggetti tra comunità, un sigillo che celebra il patto di lealtà che al giorno d’oggi è ancora ritenuto estremamente importante.
  • [Su Il serpente di Dio] Un elemento fondamentale nel mio libro, non a caso, è il grande sentimento di amicizia che lega i due protagonisti, due ragazzi, uno cristiano e l’altro musulmano.
  • La società moderna è affetta da due grandi mali, l’individualismo e la massificazione, sono due derive che rendono l’uomo un possibile schiavo di ideologie false, ci fanno credere che per sopravvivere l’unica via sia quella tracciata dall’odio e dall’intolleranza quando invece l’uomo, mosso dalla curiosità, scopre che esiste anche la via della conoscenza, la base su cui poi si instaurano le relazioni tra le persone.

Intervista di Barbara Caputo, paesesera.toscana.it, 19 dicembre 2015.

  • Prima di essere operativo nell'esercito russo, abbiamo eseguito una serie di passaggi, allenandoci nelle montagne, e imparando a comportarci come i terroristi ceceni. Abbiamo anche compiuto la pulizia dei luoghi di attentati terroristici. Ho capito poi che era utile a comprendere che queste persone non erano umane ed era facile annientarle. Quando ho assistito al mio primo attentato a un asilo, uno degli ordigni per fortuna non è esploso. Mi hanno portato la testa di un terrorista, tutta bianca e con gli occhi neri. Ho capito il pericolo delle idee che può trasformare un giovane in questo. Ho visto anche persone che impazzivano davanti ai miei occhi, come un padre a cui hanno spiegato che la moglie e il bambino erano stati ammazzati. Gran parte dei quadri Isis sono reduci ceceni. Considerando i fatti tristi accaduti a Parigi non ho dormito la notte. Quello che mi ha stupito è che non una tra tutto queste persone abbia resistito sparando. Io non riesco a vivere come un bersaglio mobile. L'unica cosa che mi può salvare è una pistola allacciata a una cintura.
  • Il primo ricordo forte che ho di mia nonna è che nella borsa portava una Luger P08. Era un calibro difficile da trovare. Mia nonna era gobba, ebrea. Mio nonno era cristiano ortodosso e non voleva che diventassi ebreo. La nonna era finita nel campo di sterminio e 13-14 anni, le avevano sterminato la famiglie. Era finita in un reparto in cui le ragazze erano usate come donne di piacere, e un tedesco la vestiva da bambola e le diceva di non muoversi. Mia nonna sapeva accontentarlo e lui ha cominciato a fidarsi di lei e a farla uscire dal campo. Ma lei seguendo le istruzioni che le aveva dato un uomo lo ha colpito con un punteruolo e ucciso. È stata ritrovata da un polacco, è stata sua amante per un certo periodo e poi ha ucciso anche lui. In seguito ha incontrato mio nonno, che era un delinquente, in un lager sovietico. Mia nonna rubava al mercato, per lei era una sorta di vendetta delle ingiustizie della vita. Era critica verso il sionismo ma mandava terreno fertile nei kibbutz.

2016

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Intervista di Joe Pieracci, Rsi.ch, 26 luglio 2016.

  • In questi giorni sono sommerso di richieste da parte dei quotidiani italiani, mi chiedono di scrivere sulla Transnistria; ma per me è molto difficile rispondere. [...] Io sono scappato, oggi sono un occidentale. E preferisco non prendere posizione
  • Non è vero che la Russia minaccia la Transnistria perché, questo paese, esiste grazie alla presenza delle truppe della Federazione russa... dai tempi dell’Unione sovietica non se ne sono mai andati. [...] Semmai, ad essere minacciate, sono la Moldavia o l’Ucraina occidentale.
  • [La Transnistria] è una regione trasformata da alcuni generali russi in un non luogo, dove poter trafficare e guadagnare.
  • Mi auguro che questa splendida terra non finisca travolta da una sanguinosa guerra fratricida, ma ho paura che i russi facciano lo sbaglio di mettere sotto assedio militare l’intera Ucraina. E a quel punto la Transnistria sparirà. Sarà un’altra Beirut.
  • Siamo tutti fratelli in quella zona e io non saprei come sparare ad un moldavo perché gli voglio bene: è mio fratello.

repubblica.it, 26 luglio 2016.

  • Ogni estate italiani e turisti mettono in mostra i propri corpi, inconsapevolmente tessendo un complicato e a volte assurdo ornamento socio-culturale direttamente sulle spiagge. Molto spesso è come trasformarsi in una pagina di Facebook, cercando di impressionare con colori e disegni. La pelle dell'uomo moderno non comunica con un senso logico. E più la discesa nella spirale di questo consumismo delle immagini diventa violenta, più caos trasmettono i corpi.
  • Cinquemila anni fa i miei antenati siberiani per raccontare il destino di una persona usavano un complicato codice simbolico che infondeva nei tatuaggi l'esperienza vissuta. Gli antichi egizi mescolavano inchiostro e polvere d'oro per tracciare sui corpi dei nobili i segni del potere divino che avrebbero dovuto proteggere loro nel regno dei morti. Vichinghi e altri popoli nordeuropei sfoggiavano incisioni complesse che contenevano più informazioni di un codice a barre. Allora regnava la logica, seppur primordiale; oggi domina l'estetica. Meno abbiamo da dire, meno cultura rappresentiamo, più diventiamo neutri e omogenizzati, più cerchiamo di rappresentarci attraverso marchi prevedibili, vuoti ma quasi sempre giganteschi. È un'epoca delle cose macro, dove la grandezza spesso determina la qualità. La macchina più grossa, la barca più lunga, il tatuaggio più ampio e possibilmente colorato nel modo più chiassoso: il ricercato simbolismo della scienza araldica si è così trasformato in una brutta imitazione della iconografia pubblicitaria.
  • Solo Bob Marley sembra resistere alle stagioni e alle generazioni. Invece mi imbatto sempre più spesso nei tatuaggi che chiamo "pavonici": disegni enormi, più o meno tribali, che a volte si sviluppano su intere parti del corpo. Sono ornamenti, che non comunicano nulla, ma vogliono solo impressionare gli spettatori: sono spot. Ci sono quelli giapponesi, utilizzati senza avere la minima idea dei significati originali. Geishe accanto al Buddha, demoni che cercano di azzannare capre sacre. Ma si tratta di peccati veniali.

Intervista di Liliana Cerqueni, Periscopionline.it, 26 settembre 2016.

  • [Sulla Siberia] È un Paese molto grande e c’è tutto. È conosciuto purtroppo in Occidente attraverso "I Racconti di Kolyma" di Verlam Tichonovič Šalamov e "Arcipelago Gulag" di Aleksandr Solženicyn, però è una terra molto ricca di tradizioni dure, un grande territorio dove si incontrano Oriente e Occidente e quindi questo ci dà una capacità di prospettiva molto ampia. In Siberia c’è tutto, soprattutto una natura che domina l’uomo. A tutto ciò sono legate le tradizioni sciamaniche e anche la visione della vita dei siberiani stessi.
  • L’Italia oggi è un Paese multiculturale e trovo che la cosa bella sia l’apertura delle persone e la semplicità con cui la gente ti viene incontro. Penso che la mia esperienza letteraria ne sia un esempio in questo senso, perché la curiosità degli italiani nei confronti di un russo che racconta storie legate a ciò che è accaduto in Unione Sovietica e alle tradizioni ancestrali che stanno nelle radici di quel Paese è stato possibile solo perché le persone sono aperte alla curiosità nei confronti di questi temi. La curiosità è un atteggiamento molto positivo perché permette agli individui di scoprire il mondo, di viaggiare anche semplicemente con la fantasia, con la mente.
  • Nel nostro mondo moderno, quello che stiamo vivendo è il fenomeno della globalizzazione e quindi spesso le antiche tradizioni, gli antichi modi di vivere il mondo e di misurarsi con esso come era per i nostri antenati stanno sbiadendo o scomparendo. Questo è un male e la colpa sta nella forza che la globalizzazione esercita sulle nostre vite, sta soprattutto nel consumismo.
  • Nel mio ultimo libro [Spy story love story] ho voluto raccontare gli anni Novanta in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica e quello che è successo dopo di esso. Ho voluto raccontare questa realtà attraverso le storie umane, storie semplici; ho voluto esplorare storie diverse, entrare nelle dinamiche umane più profonde per poterle rappresentare meglio. Ci sono anche gli aspetti sentimentali che forse i miei lettori non si attendevano, ma hanno reagito bene, stanno accogliendo molto bene anche questo libro.

2017

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Intervista di Elena Barlozzari, Ilgiornale.it, 4 aprile 2017.

  • [Sull'attentato di San Pietroburgo del 2017] [...] è stato confermato che si tratta di una pista collegata allo Stato islamico. Bisogna tenere presente che, dalla Federazione Russa, numerosi foreign fighter sono partiti per combattere tra le file dell’organizzazione guidata da al Baghdadi. Questi personaggi, quando fanno ritorno ai propri paesi d’origine, continuano a portare avanti la jihad. Ma la Russia è un paese pronto ad affrontare queste realtà con cui, ormai, si confronta da più di 20 anni.
  • I servizi russi lavorano molto bene. Non mi riferisco solo al campo del monitoraggio, ma anche e soprattutto all’attività di infiltrazione. Grazie alla loro natura multinazionale, infatti, gli agenti riescono a smantellare le cellule islamiste dal di dentro.
  • Basta con la solita marchetta al perbenismo occidentale che vuole creare un’immagine falsa del terrorismo islamico. Non esistono lupi solitari, le persone sono sempre collegate a livello ideologico, fanno riferimento a dei modelli precisi e sono motivate dalla comunità di riferimento.
  • La strategia della tensione è un metodo usato nei paesi con una forte connotazione democratica. La Russia contemporanea, invece, è un paese autoritario, imperiale, non ha nessun bisogno di usare il terrorismo. Escludo questa pista anche perché, attualmente, i sondaggi dicono chiaramente che l’81% dei russi si fida di Putin e le proteste degli ultimi giorni, a differenza della raffigurazione fatta dalla stampa occidentale, hanno in realtà coinvolto ben pochi manifestanti. A Mosca, ad esempio, su 15milioni di abitanti effettivi più qualche milione di abitanti illegali, sono scese in piazza qualche centinaia di persone.
  • Di sicuro, però, l’attività di Navalny è ben vista dai terroristi del Califfato caucasico che hanno sempre garantito una sorta di “immunità” a chi affronta Putin in piazza.

Intervista di Grazia Sambruna, Linkiesta.it, 18 maggio 2017.

  • Dopo aver vissuto tutto questo, potrei dire che la cosa più negativa che possa esistere per un essere umano sia l’assenza di libertà, l’inconsapevole tortura di condurre un’esistenza basata sullo schiavismo o su ideologie schiaviste. Dal punto di vista etico, culturale ed economico non ne siamo certo privi nella nostra società attuale. Pensa ai giovani, oggi, schiavi di sostanze, videogiochi o delle realtà estremiste. Fa tutto parte dello stesso vuoto.
  • A 12 anni sono entrato in un carcere minorile di massima sicurezza. [«Cosa avevi fatto?»] Tentato omicidio. Una banale rissa per strada. Ai tempi giravamo sempre con armi da taglio ed è andata a finire che ho accoltellato una persona. [«Chi era?»] Un tossico molto più grande di me che voleva far pagare il pizzo a me e ai miei amici per aver attraversato il parco dove lui si bucava. Noi non avevamo intenzione di dargli dei soldi per questo. Lui ha cominciato a picchiarci con la bottiglia di champagne che aveva in mano. Sai, le bottiglie si spaccano solo nei film. Nella vita reale è il tuo cranio che si rompe, non il vetro. Dopo una serie di bottigliate in testa l’ho accoltellato, dovevo difendermi.
  • Facevo parte del corpo antiterrorismo presso i servizi segreti, la GRU. Ho fatto due anni e tre mesi di guerra cecena.
  • La prima volta che mi hanno sparato ero nel mio quartiere. Avevo quasi 15 anni. [...] In Transistria, dove abitavo con la mia famiglia, dopo la guerra civile era iniziata una specie di lotta per il potere tra criminali. Mio padre si era guadagnato un ruolo in quell’ambiente perché lui rapinava le banche. Era specializzato in furgoni portavalori. Aveva un’etica, però: non si mischiava con il narcotraffico e non uccideva persone durante le rapine. Lui e i suoi erano contro i nuovi criminali, collusi con stato e polizia, quelli che avevano portato la droga da noi. Per questo motivo ha subito tre attentati, a uno ho assistito anche io ed è stato lì che mi hanno sparato per la prima volta. A quel punto, per evitare ulteriori minacce alla famiglia, mio padre si è rifugiato in Grecia, mia madre in Italia. Io sono rimasto coi miei nonni.
  • Credo che la Blue Whale sia una di quelle storture che possono sciaguratamente nascere nei grandi Paesi come la Russia o gli Stati Uniti. In generale, si tratta di un fenomeno legato alla mancanza di cultura. Non è una frase fatta o una risposta semplicistica: questi ragazzi hanno un buco nero dentro e non sanno come riempirlo.
  • La vita di strada ti inquadra, ti insegna come stare al mondo in modo onesto. Anche perché se non sei onesto, ti fanno a pezzi. Oggi sembra che nulla venga preso sul serio, i ragazzi bestemmiano e insultano le propri madri per scherzo, come fossero cose divertenti. Lo stesso bullismo è un’altra brutta espressione dei nostri tempi.
  • Nel nostro Paese era praticamente impossibile essere bulli. C’era un pezzo di merda che ha indotto un ragazzo a suicidarsi perché si pensava fosse gay e probabilmente lo era. Con un mio amico abbiamo aspettato questo tizio sotto casa, di sera. Gli ho rotto gambe e braccia a bastonate. Da noi potevi provare a fare il bullo, certo. Solo che non duravi tanto.
  • Attualmente ne vige [una legge in Russia] che vieta la diffusione e la propaganda di materiali pornografici, sia di natura etero che omosessuale, ai minori di 14 anni. All’estero questa legge viene spesso travisata, la stampa tende a prendere i casi singoli per mostrare una situazione piuttosto lontana dalla realtà.
  • Immaginare un gay pride in Russia non è possibile, ora come ora. C’è un terribile retaggio storico che è durato settant’anni, come ti dicevo, basato sul rifiuto e sulla paura. Verrà il tempo, di certo la Russia ha bisogno di compiere il proprio ciclo evolutivo ma non è questo il momento. Sarà un processo lungo, magari anche un secolo, ma di certo non può e non deve essere forzato. Semplicemente perché sarebbe controproducente.

Intervista di Antonella Gaeta, repubblica.it, 16 luglio 2017.

  • A otto anni mi sono tatuato da solo, un primo esperimento su me stesso come fanno tanti. [...] Non posso svelarlo, è sulle gambe comunque. Dopo questa prima volta ho cominciato a frequentare un vecchio tatuatore. Per i primi anni non ti insegnano a tatuare ma a stare al mondo, ti osservano e non ti passano la tradizione se non sei degno di portarla con onore, è una selezione naturale. [...] Avevo vent'anni l'ultima volta che mi sono tatuato, ora ne ho 37, da 17 anni non lo faccio più.
  • Nel '92 abbiamo avuto la guerra civile per l'indipendenza della Transnistria, ci ripenso come a un momento divertente: avevo 12 anni e per la prima volta potevo imbracciare un'arma, gli adulti ci usavano come baby intelligence, ci trattavano da grandi, quindi rivivo tutto come un'avventura.
  • Ho tanti clienti psicologi che mi dicono che quello che faccio lo faceva Freud, solo che lui non tatuava.

Intervista di Giulia Santerini, repubblica.it, 27 luglio 2017.

  • Questo serpente al braccio è il demonio che devo domare ogni giorno. Me l'ha tatuato a forza il mio maestro quando avevo 14 anni. Avevo accoltellato un ragazzo alle spalle. Lui è rimasto paralizzato tutta la vita, a me è restato il demone tatuato con la bacchetta, quasi in rilievo, per farmi più male. Una macchia che mi ricorda il più grosso errore della mia vita.
  • Cos'è un criminale? Uno che va contro la giustizia? Ma quale giustizia? I partigiani e chi ha lottato contro i regimi comunisti non erano dei fuorilegge? Per gli Urca anche Gesù era un criminale onesto, a loro piace quando il vangelo dice che era venuto per portare la spada. Era un rivoluzionario.
  • Ogni vita può essere interessante. Per me un operaio che viene sfruttato da un padrone e vuole più libertà e giustizia è un criminale onesto.
  • Se un tatuaggio non ha un senso per te è ovvio che col tempo può stufare, diventare pesante. E lo cancelli: è un'offesa a Dio.
  • Vedi molti calciatori con la tartaruga maori al braccio. Ma è un simbolo di fertilità femminile! [...] Non li tatuerò mai. È inaccettabile che ci siano 22 miliardari in campo pagati per giocare a calcio mentre altri fanno la fame. Da noi era un gioco per bambini in piazza.
  • [...] a Sparta avevano il culto del corpo, utilizzavano una tunica speciale per evitare le cicatrici dopo gli scontri col coltello, figurati se si sarebbero mai fatti tatuare
  • C'è chi si tatua la lacrima e non sa che è nata a Marsiglia, dove gli uomini erano così poveri che facevano prostituire le loro donne per sfamare i bambini. E le piangevano. In Sud America poi la lacrima è usata per gli assassini. Ma cosa c'entrano queste storie con ragazzi di una società benestante?!
  • [Un'allievo] Aveva addosso la frase di Escobar "O argento o piombo". Io vengo dalla delinquenza di strada e ho fatto il carcere, ma chi vende droga lo combattevamo, sapevamo che ci voleva schiavi della sua schifezza. Il primo uomo che ho ammazzato con la pistola è stato uno spacciatore zingaro. Che senso ha che uno studente si tatui quella roba?!

Intervista di Angela Venturini, Futurodaunavita.sm, 2 agosto 2017.

  • Nella nostra cultura della caccia è così: si uccide solo per poter mangiare. Si uccide ma la bestia va rispettata, non la uccidi per divertimento ma perché sai che lei ti da la vita. È molto diverso da quello che oggi è la caccia... andavano più uomini insieme, ammazzavano un animale, poi dicevano la preghiera e la lavoravano al momento, ne lasciavano una parte al bosco e una parte se la portavano addosso perché una delle regole regole più importanti è che non bisogna cacciare più di quello che puoi portare addosso. Se uccidi un alce ma sei da solo sei una persona stupida: non riuscirai a portare a casa niente e la mangeranno i lupi e questo creerà uno squilibrio nel bosco, perché un lupo che mangia un alce ammazzata da te non uccide poi un animale malato e quindi si rovina l'ambiente naturale. Questa era la nostra educazione.
  • Ricordo il momento in cui mio nonno regalandomi il coltello mi disse: "L'armatura rende un uomo cavaliere del re, ma il semplice coltello rende un uomo cavaliere del popolo." Mi emozionò molto perché sentii di appartenere ad un mondo di persone degne, che avevano un loro codice, non come i delinquenti comuni, quelli che facevano male alla gente semplice, derubando i poveri pari a sé stessi.
  • Quella siberiana è una delle tradizioni più antiche al mondo: la più antica mummia tatuata mai ritrovata ce l'abbiamo noi, ha cinquemila anni, si chiama Principessa Ukok e ha addosso simboli molto complessi che parlano di una cultura già molto antica e molto ricca. Poi questa tradizione si è evoluta. Anche Gengis Khan, che proveniva da dal nord della Mongolia che in realtà era la Siberia, aveva addosso il simbolo del suo clan, il pesce, e questo ci fa capire come il tatuaggio fosse un segno di riconoscimento essenziale, una specie di carta d'identità, che poi piano piano si è trasformato in un linguaggio capace di nascondere tutto quello che riguarda la persona, sia il vissuto che gli aspetti più intimi.
  • Ogni popolo ha una propria concezione dell'amore. Voi italiani e sammarinesi siete bellissimi, avete una visione dell'amore molto romantica e legata alla passione. Noi in Russia abbiamo una visione un po' diversa, più drammatica: la nostra storia d'amore non deve per forza andare bene e lo vediamo anche nei nostri grandi classici come Dostoevskij, Tolstoj ecc . Da noi l'amore è soprattutto quel sentimento che arriva da Dio, è un dono che l'uomo riceve in un certo particolare momento della propria vita e gli può fare bene o gli può fare male.

2018

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Intervista di Luca Valtorta, Repubblica.it, 13 febbraio 2018.

  • [Su John Malkovich in Educazione siberiana] Ho lavorato con lui. L'ho tatuato... per finta. Io sul set ho diretto anche tutto il lavoro di riproduzione dei tatuaggi. Volevo fossero il più credibili possibile per cui per ogni personaggio ne ho creato di originali: circa trecento. Tutti i giorni in cui John recitava ci svegliavamo alle cinque del mattino perché bisognava mettere in atto il processo di riportare sul suo corpo i finti tatuaggi con una pellicola particolare che veniva applicata e poi lavorata. Così abbiamo parlato molto: lui mi chiedeva di mio nonno per cercare di entrare nel ruolo.
  • [Su John Malkovich in Educazione siberiana] Lui odia il trucco e non vuole essere truccato ma nel film il nonno a un certo punto doveva apparire molto invecchiato e tutti erano preoccupati e si chiedevano come avrebbe fatto. Lui a un certo punto si ammalò: aveva la febbre altissima. Quel giorno si fece portare sul set dal suo manager che doveva sostenerlo perché non riusciva a camminare, andò da Gabriele e disse: 'Mi volevi vecchio, sono diventato vecchio: gira! Sembrava avere trent'anni di più!'".
  • Roberto si occupa di una realtà molto concreta e contemporanea, infatti è costretto ad andare in giro con la scorta. Io di un mondo che non c'è più: quello dei vecchi criminali che avevano una loro etica.
  • [...] il mio libro sulla Cecenia [Caduta libera] è molto più romanzato rispetto agli altri per il semplice motivo che non volevo che si potessero scoprire i nomi dei reparti, dei soldati con cui combattevo: alcuni dei miei commilitoni sono ancora oggi in servizio. In Russia su queste cose non si scherza e io non vorrei far loro qualche torto: abbiamo firmato tutti le dichiarazioni di non divulgazione dei particolari delle azioni in cui ci siamo trovati. Non è che abbia paura di essere avvelenato col plutonio, non sono così importante e non ho grandi segreti da rivelare, voglio però essere coerente.
  • Io sono rimasto colpito molto negativamente dalla guerra. L'avevo già vista in Transnitria. Una prova che ha preceduto tutti gli altri conflitti di quella regione, orchestrata per mandare via i russi che abitavano lì da sei generazioni. E non era l'esercito moldavo che ci attaccava ma mercenari assassini reclutati da tutte le parti del mondo. Poi sono andato con l'esercito russo in Cecenia. Me ne sono andato perché ho sentito dentro di me il male: paura, morte, sangue, sporco per due anni.
  • Sarò ingenuo ma consideravo il lavoro dell'agenzia di sicurezza un modo per emendarmi dalla guerra. Un lavoro di mediazione: devi trovare il leader di un gruppo armato locale, convincerlo che bisogna sedersi al tavolo delle trattative o negoziare la liberazione di un ostaggio. Dopo l'Iraq però queste agenzie sono diventate incontrollabili e hanno fatto un danno peggiore di quanto facesse l'esercito: vedi Blackwater e altre agenzie che si sono comportate in maniera vergognosa. Io in Israele ho fatto tre contratti e non ho visto niente di brutto, gli israeliani cercavano sempre di portare la situazione verso una soluzione pacifica, la forza veniva usata solo come ultima istanza.
  • Un effettivo americano vicino a me è saltato su una mina e una scheggia mi ha colpito alla gamba destra. Devo ringraziare l'efficienza israeliana perché se mi avessero operato gli americani probabilmente non avrei più la gamba: hanno personale medico eccezionale.
  • [...] mi sembra che l'accoglienza non valga per tutti: sulla Russia per esempio, spesso e volentieri c'è chiusura totale. Però la signora Laura Boldrini ha incontrato in veste istituzionale un individuo che si chiama Andrij Parubij che è stato il capo dell'SNPU, l'organizzazione paramilitare neonazista più potente d'Ucraina e poi presidente del Parlamento. Non si tratta di neonazisti come quelli che conosciamo noi in Europa, estremisti pericolosi sì ma in maniera limitata: fanno scaramucce con i Centri Sociali, con gli immigrati, cose così. Qui stiamo parlando di un'organizzazione di persone armate fino ai denti che programma uno sterminio sistematico di quelli che considerano nemici politici.
  • Quando è avvenuto l'attentato in Spagna dell'Isis ho ribattuto a un tweet di Laura Boldrini che ritenevo ipocrita perché l'Isis è alleato con questi neonazisti ucraini: c'è un battaglione dell'Isis composto da terroristi ceceni che dal 2015 si è spostato dalla Siria in Ucraina ed è integrato nell'esercito ucraino che opera nel Donbass insieme a battaglioni neonazisti finanziati dagli oligarchi: succedono cose terribili lì di cui non parla nessuno qui. Hanno appena trovato una nuova fossa comune... Un mio carissimo amico scrittore che si chiamava Oles Buzina, assieme ad Arkadij Babchenko, un giornalista di Novaya Gazeta che ha anche collaborato con Anna Politkovskaja autore di Memorie di un soldato, già nel 2010 mi raccontavano di questa rinascita del neonazismo. Adesso Oles è stato ucciso dai neonazisti. Per questo mi sono arrabbiato con Laura Boldrini. Le ho anche scritto tre lettere a cui non ha mai risposto.
  • Io vorrei un politico che fosse un umanista o comunque chiunque ma non un militare perché il militare è estrema ratio. Però molti russi hanno paura di tornare negli anni Novanta e la presenza di una figura forte come Putin è un'ancora di salvezza. E io li capisco. Hanno paura dell'arrivo di un intellettuale come Mikhail Gorbaciov che per loro è colui che ha lasciato distruggere il paese. Anche se io invece penso che lui sia stato uno dei nostri più grandi leader. La sua unica colpa è stata di essere un visionario della politica mentre la gente voleva tutto in fretta e non l'ha più supportato.
  • Limonov per me è un personaggio che rappresenta il caos del crollo dell'Unione Sovietica: è autocelebrativo e contraddittorio. Ha creato questa cosa dei nazionalbolscevichi: io non li posso vedere. Recluta estremisti che cercano la soluzione facile a problemi difficili dando la colpa di tutto a una categoria, gli omosessuali, gli immigrati, gli ebrei. [...] Dai suoi si fa chiamare "duce", "vost". Ho anche due amici che lo seguono: dei veri imbecilli. Punta sul nazionalismo russo: è il peggior conservatorismo tinto da un patriottismo che neanche loro riescono a spiegare.

Intervista di Steve Fortunato, Labottegadihamlin.it, 29 dicembre 2018.

  • Ho capito che la guerra è un fallimento. È il simbolo del fallimento umano. Terminato il servizio militare ho sentito il bisogno di tornare in Siberia, alla vita povera.
  • La presenza divina agisce attraverso tante forme e mezzi diversi, anche attraverso persone che commettono delle atrocità. Dio nei suoi scenari investe anche sui mostri.
  • Multiculturalismo significa rispettare il nostro prossimo senza chiedersi perché.
  • Sono convinto che se ci fosse l’anarchia totale le persone sarebbero organizzate meglio di quanto lo siano in uno Stato.
  • Vengo da una famiglia di criminali e lo spirito di contrabbandiere mi appartiene per formazione mentale. E in letteratura questa propensione trova uno sbocco naturale e si realizza facilmente.
  • Sicuramente quanto ho vissuto in guerra mi ha reso più consapevole verso i meccanismi che regolano il mondo, meno ingenuo, meno idealista, più anarchico.
  • Ho partecipato alla guerra nel '92 che mi ha cambiato, mi ha fatto sentire adulto, con nuove responsabilità ma al tempo stesso è stata una liberazione.
  • Ancora oggi sono rimasto quello che guarda dritto negli occhi gli altri. La gente rimane imbarazzata, ma per me parlare senza guardare negli occhi le persone significa mancanza di rispetto.
  • Mantengo l’impostazione classica russa nel descrivere approfonditamente scene e particolari che costituiscono i pilastri della letteratura russa. Una impostazione che è attuale ed è presente anche tuttora, addirittura nelle comunicazioni private quotidiane. Le e-mail che mi mandano miei amici russi, sono lunghissime, ricche di particolari, sono dei veri e propri racconti, delle piccole storie. È un modo di raccontare di chi vive in un paese di grandi dimensioni e grandi distanze, dove governa la nostalgia per non poter vedere più spesso persone lontane. La lingua italiana mi ha insegnato ad approfondire concetti che in russo sono decori linguistici, senza importanza. Mi ha dato modo di inserire elementi espressivi, dando una forma di ossimori.
  • Gli individui si ricoprono il corpo di disegni senza conoscerne il significato. Tra i calciatori c'è la moda di farsi tatuare la Tartaruga Maori, senza sapere che si portano addosso il simbolo della fertilità femminile che veniva tatuato sul corpo delle ragazze Maori alla prima mestruazione. A questo proposito mi viene in mente un proverbio siberiano che dice "Quando il cervello non pensa il corpo soffre".

2019

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Intervista di Gianluca Vergine sugli incendi in Siberia del 2019, Labottegadihamlin.it, 17 settembre 2019.

  • Il problema principale è appunto il disboscamento selvaggio irregolare e spesso anche illegale delle zone boschive. A questo si aggiunge anche il cambiamento climatico che non aiuta, come i venti irregolari e il clima molto secco. C’è stata poca acqua, poche piogge in questo mese; si è arrivati così alla tragedia, alla catastrofe ambientale delle dimensioni che abbiamo visto quest’estate.
  • Nella più grande regione della Siberia, quella di Krasnoyarsk, che tra l’altro è la stessa regione da cui proviene la mia famiglia, abbiamo un personaggio come Alexander Uss. Quest’uomo è diventato famoso in Russia per la sua frase “spegnere il fuoco nelle foreste è inutile così come inutile lottare contro la neve d’inverno” aggiungendo inoltre che spegnere il fuoco nelle foreste è “economicamente sconveniente”. Questa seconda frase è ancora più criminale e pericolosa.
  • Cosa fanno queste persone: loro arrivano d’inverno, tagliano gli alberi, li puliscono sul posto con grandi macchinari mobili capaci di separare il tronco dai rami direttamente in loco; poi verso primavera, ai primi di maggio, danno fuoco a tutto, lasciando che la zona bruci. Tutto questo per coprire le tracce, in modo da poter dire in seguito che la foresta non è stata disboscata ma bruciata.
  • Io stesso ho pubblicato dei video con orsi e volpi che fermano le macchine lungo le strade chiedendo cibo agli autisti: è una cosa veramente allucinante, bisogna non avere un cuore per non commuoversi davanti a queste immagini. Ecco, il governatore Uss e persone simili a lui delle amministrazioni locali siberiane hanno deciso di risolvere questo problema sterminando questi animali, con squadre apposite di cacciatori.
  • La foresta della Siberia è andata in fumo per via di speculazioni esagerate e criminali, speculazioni sul bosco e sulla natura, create dall’uomo ma dovute al sistema consumistico in cui viviamo. Quando noi andiamo a comprare un mobile che costa 90 centesimi siamo contenti dell’esistenza di un negozio del genere che ci fa risparmiare dei soldi, ma dobbiamo capire che noi in questa maniera stiamo sostenendo questo sistema consumistico, che stiamo distruggendo il nostro pianeta.
  • Dobbiamo scegliere cosa è più importante: consumare ora o sopravvivere e regalare ai nostri figli un futuro migliore?
  • Fino a quando ci sarà il consumismo l’Africa sarà messa a fuoco dalle compagnie private, dalle multinazionali, l’Amazzonia e la Siberia saranno devastate da chi taglia i boschi illegalmente e noi ci avvicineremo sempre di più all’Apocalisse.

2020

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Intervista di Matteo Carnieletto, Ilgiornale.it, 16 ottobre 2020.

  • Ancora oggi, Rasputin viene considerato la parte sincera - nera, ma allo stesso tempo più vicina a Dio - della Russia. È l'anima contradditoria e ambigua dello spirito russo: di umili origini, riuscì ad entrare nel palazzo dello zar. Senza dubbio era ambiguo. Ma era un vero russo.
  • [Su Vladimir Putin] Da giovane, e anche nei primi anni della sua presidenza, parlava spesso di portare in Russia il modello di democrazia occidentale. Un progetto che ha presto accantonato perché, da vero russo, ha sentito quella corda intima che c'è nella nostra cultura: la richiesta di autoritarismo. [...] Abbiamo ereditato dai bizantini l'idea che siamo la terza Roma e che non ce ne sarà una quarta. Il popolo vuole lo zar e Putin lo ha capito.
  • I servizi segreti, nel suo percorso politico, non sono stati decisivi, ma indispensabili. Putin non è stato scelto da Sobčak perché era del Kgb, ma perché era uno del Kgb con certe peculiarità. Aveva un'incredibile capacità nel creare contatti.
  • Putin parla con gli oligarchi e non può fare altrimenti. In Russia, si può arrivare al potere solo in due modi: ottenendo l'appoggio delle famiglie degli oligarchi oppure facendo come i comunisti, massacrando, giustamente o ingiustamente, milioni di persone.
  • È come se gli oligarchi avessero preso in affitto il Paese: a loro non interessa la politica estera o interna della Russia. A loro interessano solamente gli affari.
  • Alcuni ritengono che Putin voglia ricostruire l'Unione sovietica, ma non è così. Lui non è un sognatore come Gorbačëv (che infatti si è fatto abbindolare da tutti). Putin non è un sognatore, è molto freddo e logico. La sua visione geopolitica si rifà soprattutto agli interessi del sistema economico che lui mantiene e dal quale è mantenuto.
  • Putin ha sbagliato nel condurre una politica interna che ha allontanato la Russia dal binario della democrazia del modello occidentale. Ha scelto la via dell'impero e abbiamo visto com'è finita. Da una parte c'è una setta di ortodossi che l'ha proclamato santo e dipinge icone con la faccia di Putin. Credono infatti che sia stato mandato dal cielo per combattere l'Anticristo. Dall'altra ci sono quelli che dicono che ha rovinato tutto. Io non credo a nessuno dei due. Io ritengo che all'epoca in cui Putin è diventato presidente si dovesse prendere una decisione. Era un momento difficile però lui l'ha fatto.
  • Putin è una cartuccia sparata, non cambierà più. L'unico modo per la Russia di salvarsi, se lui davvero la ama, è quello di cominciare a preparare qualche sostituto, più giovane e più energico. E, soprattutto, meno legato agli olicarchi.
  • Solženitsyn è molto criticato dai sostenitori di Putin perché vedono in lui un traditore della patria che lavorava per gli americani. In Russia, infatti, molti negano ancora il sistema gulag. Per me però è facile parlare dei gulag perché mio nonno li ha vissuti e mi ha raccontato com'era vivere lì dentro.
  • Solženitsyn è una figura emblematica, facile sia da appoggiare sia da odiare. Ha poche sfumature perché scriveva cose concrete. Reali. Chi sostiene il regime comunista lo odia, chi invece ama la democrazia lo rispetta.

2021

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Intervista di Filippo Ciapini, Mowmag.com, 19 ottobre 2021.

  • Siamo un paese che vive sotto un pesante embargo da molto tempo, la comunità internazionale fa finta di non vederci e ci tratta come pericolosi terroristi.
  • Non rientriamo nel programma geopolitico degli Stati Uniti. La Transnistria non è voluta da loro e veniamo trattati come gli ultimi. Noi siamo indipendenti, abbiamo una frontiera fisica, c’è l’esercito, ci sono le strutture, il governo, il popolo, hanno la loro moneta e pagano le tasse. È una cosa oscena perché poi sento la gente dire che dobbiamo aiutare gli africani e chi per loro...
  • L'occidente ha un’ideologia profondamente marcia e ipocrita. Opera con doppi standard. Perché l’africano sì e altri no? Peraltro questi ultimi non chiedono nessun tipo di aiuto, vogliono soltanto essere indipendenti. Mia figlia non può visitare la Transnistria e le nostre origini perché dobbiamo ottenere mille permessi nemmeno fossimo in guerra.
  • La Transnistria è in Europa, è molto prima della Russia, confina con la Romania che fa parte dell’Unione Europea. Questa è la tragedia. Adesso finalmente si inizia a parlare senza termini dispregiativi. Poi sento di dire che il governo laggiù è corrotto, dove non lo è? Parliamoci chiaro, i politici di oggi sono dei pezzi di merda. Il popolo non è cattivo, la cultura esiste.
  • C’è stata una feroce guerra con i moldavi dove, pur perdendola, hanno massacrato due intere città. Intervenne la 14esima armata russa che separò le fazioni e fece il garante di pace e tuttora lo è. Quando nel 1992 la Transnistria è rimasta tagliata fuori da tutto hanno dovuto ricreare un paese da zero. La Sheriff erano tutti rappresentanti di forza (esercito, kgb e militari) e come modello hanno fatto una simbiosi simile a quello cinese, dove c’è un partito che controlla il mercato libero. Era un holding che agiva sugli interessi della Nazione. Quando dicono “ahhh ma questi sono dei mafiosi” è totalmente sbagliato. Questi sono al potere perché all’epoca non c’era nessuna alternativa. Questo era un paese in fiamme e anno dopo anno hanno costruito il loro impero, le strutture, hanno ridato la vita a una situazione drammatica.
  • Il popolo moldavo sono fratelli, ho un sacco di amici, amo i poeti e la letteratura, l’arte. Noi abbiamo molti punti in comune che ci legano e quei pochi che ci hanno visti separati nel 1992 non meritano di esistere.
  • Vorrei solo che un giorno la Transnistria torni a unirsi alla Moldavia, rimanendo un paese con le proprie regole.
  • I moldavi sani di mente capiscono che la Transnistria è un entità legata anche alla loro cultura.
  • [Sulla pandemia di COVID-19 in Italia] Sono di un pensiero abbastanza rispettoso nei confronti del vaccino, nella mia famiglia qualcuno se lo è fatto, però io non sono per l’obbligo. Se una persona non si sente di iniettarsi qualcosa che non è ancora stato sperimentato, ha diritto a non farlo.
  • [Sul Green Pass] Ovviamente totalmente contrario. Non ha niente a che fare con la gestione della malattia. È un modo velato di imporre i limiti dei cittadini sfruttando l’emergenza. Noi sappiamo che anche le persone vaccinate possono ammalarsi e trasmettere il Covid. Hanno diviso la società in due parti e hanno limitato la mia vita da cittadino. Se mi sono vaccinato posso andare alla Scala altrimenti no. Non va bene, anche se ho il Green Pass posso infettare le altre persone. Questo è un dato di fatto, è una vergogna dei politici che stanno giocando su queste cose. Siamo di fronte a un cambiamento del rapporto sociale. È una cazzata.

Intervista di Cosimo Curatola, Mowmag.com, 18 dicembre 2021.

  • Il tatuaggio moderno è commerciale, non c’entra niente con quello che faccio io. Io faccio un rituale sciamanico, il tatuaggio è nato dal fatto che gli uomini primitivi cercavano di inserire sottopelle i residui del fuoco, ovvero la fuliggine, perché credevano che il fuoco conservasse un potere magico. All’epoca il fuoco era il massimo della tecnologia, una rappresentazione divina. La fuliggine si trasformava in inchiostro e veniva messo sottopelle, a volte dove una persona aveva qualche dolore. I tatuaggi erano anche curativi.
  • Io detesto le tattoo convention e tutte queste situazioni in cui il tatuaggio diventa merce. Per me è rituale, religione, un rito ancestrale molto importante. Chi viene a tatuarsi da me viene per questo. E sa che nessun altro può farlo così.
  • La brutalità dei nostri tempi, la pochezza dei nostri tempi, è che l’estetica ha preso il sopravvento sul senso. Tanta gente si ricopre di cose belle esteticamente ma non saprà mai spiegarne il significato.
  • Tanti tatuatori che fanno bianco e nero usano il colore bianco per la gamma dei grigi. Io sono molto rigido su questo, utilizzo solo nero. Quando ho bisogno di diluire ed avere una scala di grigi scelgo l’acqua di rose che è quella più adatta, anche se la verità è che si potrebbe fare con un’acqua qualunque. Basta evitare quella del rubinetto perché può contenere calcare e non va bene durante la guarigione.
  • Io tatuo tutti purché mi raccontino le loro storie. Io tatuo chi è disposto ad aprirsi con me, mi racconti la tua storia e io in base alla storia creo un disegno. Funziona così.
  • Io in realtà non la voglio neanche la tomba. Mi piace sapere che ci sono persone che vengono sepolte sotto un albero, vorrei una roba del genere. Poi magari i nipoti si arrampicheranno sull’albero, ci pisceranno sopra e si ricorderanno del nonno.

2022

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Intervista di Mauretta Capuano sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Ansa.it, 25 febbraio 2022.

  • La colpa è di tutti, degli Stati Uniti d'America, di Biden in primis che è un guerrafondaio, una persona veramente sgradevole, un politico poco lungimirante e provocatorio.
  • Spero che non duri a lungo, ma da come si muove l'esercito russo, hanno già circondato l'Ucraina, i punti nevralgici vengono presi abbastanza in fretta, dovrebbe essere così. Per fortuna non trovano la resistenza perché per la gran parte degli ucraini combattere per questo governo e politicanti non è importante. I militari si arrendono in massa, i civili stanno nelle case e aspettano la fine.
  • Noi dobbiamo liberarci dall'influenza statunitense. L'America deve capire che la sua egemonia è finita. Adesso c'è il dragone cinese, i russi e la vecchia Europa deve essere lasciata in pace.

Intervista di Enrico Chillè sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Teleambiente.it, 4 marzo 2022.

  • L’Occidente ha la colpa di interpretare il mondo con una superiorità ingiustificata, noi occidentali ci crediamo superiori e ci rapportiamo agli altri in modo errato. Poi usiamo i doppi standard: siamo capaci di manifestare vicinanza ai bambini colpiti in un Paese e ignoriamo altri bambini colpiti dalla guerra in un altro Paese, solo perché lì la guerra la facciamo noi o i nostri partner.
  • Quando parliamo di Putin, dobbiamo essere chiari: è un dittatore autoritario che da oltre 20 anni è al potere, è lontano dall’ideale politico occidentale. Per lui, e per chi lo sostiene, un cambio di presidenza ogni quattro anni è un segno di debolezza politica.
  • Voglio ricordare un mio caro amico, intellettuale ucraino: Oles Buzina, grande antropologo e patriota, una persona libera che non era d’accordo con alcuni meccanismi poco democratici che vide dopo il 2014. I neonazisti, vicini a Poroshenko, gli hanno sparato in testa sulla porta di casa. E ci sono battaglioni neonazisti che sono stati integrati nell’esercito ucraino come se niente fosse, hanno ancora le mostrine delle divisioni delle SS.
  • I russi temono l’Occidente, hanno visto cosa ha fatto in Iraq, in Afghanistan, in Siria e nel Nord Africa e sanno che gli Stati Uniti sono il Paese che ha bombardato più Paesi al mondo dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Purtroppo, questa differenza di posizioni viene sfruttata dalla politica, che gioca sui contrasti ideologici e sulla paura.
  • La Russia è uno dei Paesi più corrotti al mondo ed è sotto gli occhi di tutti. Il flusso di denaro dalla Russia ha fatto comodo a lungo all’Occidente, ora le sanzioni hanno stravolto il mercato tra l’Europa e la Russia. La situazione attuale fa comodo soprattutto agli Stati Uniti, che stanno realizzando il loro progetto di mantenere l’egemonia economica e militare in Europa. Per loro la Russia è un pericolo, non è un partner e lo vorrebbero come un vassallo. George Bush Sr. ed Helmut Kohl dettavano la linea a Gorbaciov, loro vorrebbero tornare a quella epoca. Vladimir Putin invece non vuole essere un vassallo e questo a loro non va bene. Anche qui, se pensiamo che gli oligarchi possano rovesciare Putin, sbagliamo la nostra visione: da occidentali, pensiamo erroneamente che la Russia sia un Paese europeo. La simbologia è tutto, l’aquila bicefala rappresenta la natura della Russia, che da un lato guarda all’Occidente e dall’altro guarda all’Asia.
  • Per come la vedo io, l’Italia dovrebbe allontanarsi dalla Nato e sviluppare una autonomia energetica investendo nell’eolico e nel fotovoltaico, per fortuna vento e sole qui non mancano. Poi dovremo anche ripensare la nostra tendenza al consumo sfrenato. Se non compreremo più il gas russo, ci sarà un contraccolpo per Mosca, ma ci sono già Paesi come la Cina che lo stanno facendo al posto nostro.

Intervista di Giacomo Zamboni sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Themillennial.it, 6 marzo 2022.

  • Il conflitto attuale ha il suo inizio dai massacri che l’esercito ucraino con l’aiuto delle milizie nazionalistiche ha compiuto verso le popolazioni filorusse delle regioni del Donbass, territori industriali, dove c’è da sempre una forte identità del movimento operaio. Secondo l’Osce questi eventi hanno provocato tra i 14mila e 16mila morti. La Russia si è sentita isolata e minacciata, nel colpevole silenzio dell’Occidente, fino ad arrivare al tragico momento attuale.
  • In Siberia ancora oggi ci sono persone che vivono senza gas nelle case. È una società più brutale, primitiva, sono quindi molto più influenzabili dalla propaganda. I discorsi di Putin hanno un linguaggio diretto alle persone delle periferie, usa spesso lo slang di strada e il gergo criminale. Sono riferimenti culturali che vengono dall’infanzia vissuta nell’allora Lenigrado in mezzo alla criminalità giovanile. La sua vera forza deriva dalla Russia profonda.
  • Nella comunità russa italiana c'è forte preoccupazione, paura di esser licenziati perché russi, paura per i bambini che vengono discriminati, paura per le proprie attività lavorative perché boicottate. Vi sembra normale che mia figlia tornata a casa da scuola mi chieda preoccupata se è vero che "noi russi siamo cattivi?". Mia figlia non sa neanche chi sia Putin.
  • I miei pensieri sono tutti per i civili che stanno soffrendo per una guerra crudele; se mi chiedi però di fare una valutazione geopolitica non posso non notare che è da qualche anno che il mondo va sempre di più verso oriente, verso la Cina. Gli Stati Uniti non hanno più l’egemonia di un tempo, credo sia poco saggio forzare la mano con la Russia di Putin. Siamo a un cambio totale della politica mondiale, l’Ucraina è purtroppo una moneta di scambio.

Intervista di Matteo Sacchi sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, Ilgiornale.it, 26 marzo 2022.

  • Questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale.
  • [Su Vladimir Putin] Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è Alessandro III. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano
  • Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pernsarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema.
  • [Sugli oligarchi russi] Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come Elon Musk che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi.

Intervista di Federica Sabiu, Lavocedinewyork.com, 28 marzo 2022.

  • [Su Vladimir Putin] In lui c’è stato un cambiamento incline anche verso il male, il potere non ha migliorato quest’uomo, sicuramente lo ha danneggiato dal punto di vista umano.
  • Diciamo che sono diventato in maniera accidentale uno scrittore, anche se non avevo, a dire il vero, l’ambizione di fare questo lavoro.
  • [«Quali autori ti hanno formato maggiormente?»] Sono figlio della letteratura russa, quindi comincerei con Tolstòj, Tolstoyevski, Pasternak ecc. , sono gli autori che per me sono stati illuminanti, quelli che hanno formato il mio modo di pensare, il mio modo di esprimermi, in qualche modo hanno influenzato anche la mia scrittura.
  • A me personalmente non piacciono i premi letterari perché non si può definire un libro meglio dell’altro, tutti i libri sono diversi in quanto sono i prodotti delle idee e delle espressioni di persone differenti e non si può dire che una persona si esprima meglio dell’altra.
  • Sicuramente lo scrittore che mi ha formato come narratore e Nikolaj Gogol, il grande scrittore russo che ha creato il vero romanzo russo, la novella russa.
    Lui per me è stato fondamentale perché ha plasmato la mia espressione umana e letteraria, il suo libro più bello a mio avviso si intitola "le anime morte".
  • Noi in Siberia abbiamo una delle più antiche tradizioni di tatuaggi al mondo dove in poche parole il tatuaggio è un modo codificato di raccontare l’esperienza di vita di una persona, una specie di curriculum che le viene scritto sulla pelle.

Intervista di Paolo Massimo Guerzoni, Ilbullone, 22 aprile 2022.

  • Quando qualcuno ci dice che dobbiamo odiare una persona in base alla sua appartenenza, è solo perché è interessato a sfruttare, manipolare una situazione e poi dopo ci distruggerà.
  • Fin dall’asilo la propaganda ti inculca l’idea che un uomo deve servire la propria patria, e così inizi inconsciamente a identificarti come un difensore del Paese. Esiste anche una festività, il 23 febbraio, in cui questo ruolo viene celebrato. A scuola studiavamo un manuale per imparare le tecniche militari. Allo stesso modo, già in addestramento non credevo a quello che ci raccontavano. Conosco bene l’Islam, mio fratello è musulmano, ma loro strumentalizzavano il racconto, per portarci a odiare, a giustificare la guerra.
  • [Su Gino Strada] Lui era contro la guerra, perché l’ha vissuta. E anche io sono così.
  • Il problema è che ci sono persone che pensano ancora che la guerra risolva le cose. La guerra è una cattiva madre. Ci sono persone che ci guadagnano con la guerra. Ho vissuto 5 conflitti e posso dire che le guerre finiscono tutte con un accordo. Per evitare i massacri usiamo la diplomazia, non le armi!
  • Siamo in guerra ora, ma questo va avanti da anni. Perché non abbiamo iniziato a muoverci prima a livello diplomatico? Perché ci vuole volontà e la capacità di applicare potere su scala internazionale. La tragedia dell’Europa è che non abbiamo politici forti, né indipendenza. Non parlo solo della dipendenza energetica dalla Russia, ma anche culturale, dall’egemonia statunitense. Siamo tra incudine e martello.

2023

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La figuraccia più esplicita rimane quella della "lesbica da combattimento" messa dagli anglosassoni al posto del presidente moldavo, la odiosissima Maia Sandu, colei che governa uno dei più poveri paesi d'Europa avendo la cittadinanza statunitense e possedendo la villa sull'oceano a California, dove si reca ogni fine settimana con uno jet privato per passare il tempo con la sua fidanzata. Questa figura costruita "ad hoc" per portare la Moldova nella guerra contro la Russia, trasformando il paese nel cimitero, seguendo il modello ucraino, non ha permesso al Primo Ministro ungherese Viktor Orban di baciarle la mano durante il vertice di Chisinau.
Insomma, una figura politica senza alcun valore e una persona priva di educazione di base. Uno schifo.[2]

2024

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Intervista di Alfonso Raimo, huffingtonpost.it, 2 maggio 2024.

  • Il mio unico impegno è bloccare ogni tipo di sostegno alla guerra. Non ho altro interessi politici. Non sono mai stato interessato seriamente a nessun tipo di programma politico. Anche se durante la mia vita sono stato avvicinato da tanti partiti. Qualcuno è arrivato a offrirmi anche dei soldi.
  • I miei valori sono di sinistra, ma non come si definisce in Italia la sinistra. Non sono uno che si rispecchia in una ideologia all’interno del sistema italiano. So bene che in Italia qualcuno dice che io sia fascista, perché citano qualche frase decontestualizzata, o qualche mia vecchia posizione. Ma la verità è che io sono il prodotto del sistema sovietico, nel bene e nel male.
  • Secondo me Putin è il crocevia di due spinte epocali: il regime sovietico nella sua fase esaltata e in dissoluzione e l’occidente corrotto e capitalista. Dopo di che Putin ha le sue ragioni.
  • [«La principale ragione addotta da Putin è l’espansione della Nato oltre le zone tradizionali di influenza.»] Ed ha ragione. È la realtà oggettiva di quello che ha vissuto l’ex Urss dopo il suo crollo. Ho incontrato 4 volte Gorbacev e posso testimoniare che era un suo grande cruccio. Lui diceva: “So di essere odiato dai russi e di essere amato dagli occidentali”, perché non era riuscito a garantire che la Nato allungasse le sue mire. Era mortificato, si sentiva responsabile.
  • A dire il vero da parte russa hanno dato segnali di disponibilità a negoziare, siamo noi occidentali che non abbiamo voluto coglierli. [...] Perché noi europei seguiamo la linea guerrafondaia degli oligarchi anglosassoni, filoatlantisti. Sono fanatici della guerra, gente che se ne frega della vita delle altre persone e sostenitori del nazismo.
  • I massacri li ho visti io coi miei occhi. I nazisti ucraini sono sostenuti dall’occidente, anche dai nostri rappresentanti politici, dal Pd, e dalla destra. Non ha importanza il potere politico. Sono sottomessi agli interessi degli oligarchi anglosassoni.
  • [Su Volodymyr Zelens'kyj] Nonostante il fatto che sia di famiglia ebraica, e che il nonno abbia servito nell’esercito sovietico, sostiene il nazismo per soldi, per motivi economici.
  • [Sull'attentato al Crocus City Hall] È stato l’Isis in collaborazione con i nazisti ucraini. [...] Ma la regia è della Cia.
  • È il bello del Pd: sostengono i nazisti in Ucraina, ma danno a me del fascista perché sono andato a Casapound.
  • Boldrini mi ha denunciato. Io la accusai di aver ricevuto a Montecitorio Andri Parubi. E lo rifarei. Quando avevo 12 anni, Andri Parubi entrò nella mia città a Bender in Transnistria, a capo di alcune bande naziste che uccisero tra gli altri mio zio e la mia cuginetta Tatiana. Negli anni successivi Parubi fondò anche un’organizzazione che si chiamava Partito nazionalsocialista ucraino. A Boldrini ho semplicemente detto che è ipocrita inneggiare all’Anpi, al 25 aprile e al primo maggio, se poi ospiti Andri Paurbi. Ma lei invece di rispondere alle mie lettere per chiarirci in un incontro, mi ha denunciato.

Putin – L'ultimo zar

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Incipit

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Sta accadendo per davvero: la guerra è tornata prepotentemente e insopportabilmente vicino a noi. Dentro l'Europa? Appena fuori dall'Europa, sotto il naso di un paese che sogna gli antichi fasti? È proprio questo uno dei motivi del contendere. Stavolta, la guerra, non è più un'idea da salotto. Non una possibilità, o una minaccia velata; è una realtà che entra nelle nostre case, nelle immagini strazianti che arrivano: missili che colpiscono palazzi in cui vivono uomini, donne e bambini. Sparatorie in strada, esplosioni nelle città, abitanti che al suono delle sirene si riversano, come formiche impazzite, nelle cantine, nei rifugi improvvisati, nelle fermate della metropolitana, nei vagoni fermi. Centinaia di morti, non solo tra i soldati, sangue sulle strade, code ai confini con la Polonia per grandi esodi di massa. Professionisti, operai, universitari che corrono ad arruolarsi per difendere il loro paese. File di carri armati, file di molotov pronte, file di trincee fisiche e immaginarie, file di persone davanti ai negozi, file di volontari pronti a dare il sangue per i feriti. Poi il coprifuoco e il silenzio totale. Il silenzio della paura. Il rumore della guerra. La guerra della Russia di Putin contro l'Ucraina di Zelenskij.

Citazioni

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  • Putin è un serpente, è un meditativo, non si fida delle persone, prende le sue decisioni da solo. Prende le informazioni che gli servono da chi gli è attorno. Ma ultimamente, a causa del sistema obsoleto della burocrazia che gli è vicina, l'informazione viene filtrata in modo ambiguo. (p. 6)
  • [Sulla guerra del Donbass] Da otto anni non si affrontano le questioni di fondo della vita delle persone oppresse nel Donbass (circa 14.000 morti), che sono a maggioranza russa. L'Occidente si comporta in maniera ipocrita, mostrando le immagini dei civili morti per l'attacco russo all'Ucraina. Negli anni precedenti, però, è stato miope e inattivo nella guerra nel Donbass. (p. 8)
  • Le mancanze del governo ucraino appaiono evidenti. Dopo l'indipendenza non c'è stato un rinnovamento della classe politica. La nomenklatura ha cambiato semplicemente abito. È passata dal comunismo a uno status di neo-oligarchia che ha approfittato delle ricchezze ucraine senza preoccuparsi del benessere del paese. (p. 9)
  • Con il suo nome, in Russia, è designato uno dei più lunghi e dinamici periodi della storia contemporanea. Putin è santificato da milioni che vedono in lui il messia sceso in Terra con il compito di portare rimedio ai mali del mondo, mentre altri milioni lo detestano e lo temono come se fosse un tizzone d'inferno. Di certo, è stato il primo uomo politico dopo Stalin a meritare, presso il popolo russo, la nomea di "zar". E quando ti chiamano in questo modo nel paese più vasto del mondo, dove l'intera dinastia regnante è stata affogata nel sangue e che per settant'anni è stato poi dominato dalla rigida dottrina comunista bolscevica, questa semplice parola di tre lettere assume una tale dimensione mastodontica, che solo a pensarla viene un capogiro. (p. 15)
  • In quasi tutti i suoi discorsi pubblici, parlando ai russi con quella sua aria familiare, con quel suo lessico intriso del gergo di strada che arriva dritto al cuore di ogni cittadino, Putin espone infaticabilmente la propria visione della democrazia; oppure, da abile oratore, dipinge per i propri interlocutori magnifiche visioni di quella forma di democrazia alla quale, secondo lui, si ispira la Russia moderna nel proprio percorso storico. Ciò che conta per Putin è chiamarla sempre e comunque "democrazia": che poi nei fatti si tratti di una sua versione piuttosto autoritaria... be', non è detto che questo dispiaccia ai suoi cittadini. (p. 19)
  • Ovviamente, nell'URSS non esistevano ufficialmente i ceti sociali, perché il comunismo non ne riconosceva soltanto uno: il proletariato. Ma nella realtà quotidiana le cose andavano diversamente: qualcuno stava meglio degli altri, i più ricchi cercavano la compagnia dei propri simili, frequentavano i locali più cari e raffinati, si potevano permettere anche una certa apertura culturale, mentre i lavoratori semplici, quelli che sgobbavano nelle fabbriche per uno stipendio medio, vivevano nel loro mondo. Nonostante l'ideologia, insomma, anche durante il periodo sovietico il reddito era uno dei criteri che definivano la posizione dell'individuo nella società. Tuttavia, se non altro, lo stato cercava di organizzare la vita dei cittadini in modo da evitare la formazione di ghetti, perciò era normale che nello stesso stabile abitassero il direttore della fabbrica e i suoi lavoratori. (pp. 21-22)
  • Putin non è una persona finita per caso ai vertici della politica, non è un miracolo da Eltzin, da Berezovskij o da altri oligarchi. È arrivato alla sua posizione facendosi strada con i denti, i pugni e i gomiti, passando sulle teste e calpestando senza pietà gli avversari sconfitti, rispettando negli altri la forza e la lealtà, disprezzando la debolezza e il tradimento, come può fare solo chi ha imparato egregiamente gli insegnamenti che offre la strada. (p. 46)
  • Ma se le discipline di lotta tradizionali, e specialmente le arti marziali provenienti dall'Oriente, si fondano su una solida integrazione tra l'aspetto comportamentale, la filosofia, l'etica e la morale, il sambo sotto questi aspetti era decisamente carente e non poteva nemmeno rifarsi a qualche nobile tradizione, a radici affondate in qualche cultura millenaria e che rimandassero a correnti religiose, artistiche, letterarie o filosofiche. Si trattava di uno sport bello e molto efficace, certo, ma gli mancava quell'elemento ancestrale e romantico che tanta presa ha sui giovani e sui loro animi sensibili e affamati di scoperte. Diciamo che praticando il sambo i ragazzi potevano acquisire una preparazione atletica e un orientamento che risultavano preziosi a chi poi (o contemporaneamente) si dedicava a un'arte più ricercata come appunto il judo. (p. 54)
  • Bisogna sapere che all'epoca di Eltzin, uomo debole fisicamente quanto moralmente, per ottenere una concessione di vendita di una fabbrica statale, o il permesso di aprire una nuova miniera sul territorio nazionale o di svendere sottobanco le centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio, metalli preziosi e altre ricchezze accumulate dall'URSS nel corso di decenni, era sufficiente presentarsi armati di racchetta da tennis a uno dei suoi appuntamenti sportivi e lasciarsi sconfiggere da quel lento e scoordinato individuo che per qualche motivo credeva di essere un tennista talentuoso. Tra gli oligarchi circolava la battuta secondo cui, per avere successo negli affari in Russia, la cosa più difficile era perdere a tennis con "l'alcolizzato", come era soprannominato (da tutto il paese!) il presidente. (p. 55)
  • Mentre circa il settanta per cento delle abitazioni era carente di acqua potabile, i sovietici si concentravano sulla conquista dello spazio e inviavano la più grande nave rompighiaccio al mondo a propulsione nucleare a esplorare l'Artico. Nella zona degli Urali e in quella dell'immensa Siberia non esistevano strade decenti, ma enormi quantità di denaro pubblico venivano spese in ricerche e tecnologiche finalizzate allo sbarco sulla Luna. Il novantacinque per cento del budget del paese era destinato all'industria bellica, tecnologie nucleari comprese. Tutte le grandi opere, a cominciare dalle grandi autostrade che tra enormi difficoltà verso la metà degli anni Settanta collegarono decentemente le regioni di quell'enorme territorio, per finire con le centrali idroelettriche, termoelettriche e nucleari, furono realizzate in larga misura grazie all'impiego di forza lavoro gratuita: quella dei militari, degli studenti volontari e dei detenuti nelle strutture di rieducazione. (pp. 59-60)
  • [Sulla dissoluzione dell'Unione Sovietica] Improvvisamente la componente ideologica era svanita, come se non fosse mai esistita, e le masse si trovarono non solo senza leader capaci di indicare una strada e garantire i più basilari diritti sociali, ma anche, e d'improvviso, senza l'intero sistema che per tutti aveva rappresentato l'unico modello di vita possibile. La corsa al modello occidentale, interpretato, copiato e applicato con frenesia senza comprenderne la complessità, come se si trattasse semplicemente di cambiare il colore alle pareti di casa, creò i presupposti per una crisi tale da far pesare le sue conseguenze negative ancora oggi, a distanza di trent'anni. Il senso d'idiozia che scosse il paese socialista si racchiude benissimo nella metafora che circolava tra le masse, una sorta di perfetto slogan del suicidio collettivo in atto: «L'acqua della fontanella sovietica è gratuita e di tutti, però la Coca-Cola ha lo zucchero e le bollicine». (pp. 91-92)
  • [Sul putsch di agosto] In quei giorni, le emittenti televisive e radiofoniche smisero di dare notizie. Tutti i canali trasmettevano solo programmi culturali: in tv mandavano in loop il balletto, in radio si ascoltavano opere e musica classica. «Ha vinto Chaikovskij!» scherzava la gente... (p. 103)
  • [Sulla guerra di Transnistria] La guerra civile nella mia Transnistria, nel 1992, fu il primo conflitto armato su scala militare, il cui obiettivo era una vera e propria pulizia etnica ai danni dei russi, di chi culturalmente apparteneva al mondo russo e di tutti coloro che erano rimasti fedeli alle idee del mondo sovietico. Anch'io vidi montare quell'odio. I miei ricordi d'infanzia sono quelli di una scuola (e di una comunità) multietnica; noi bambini non avremmo mai chiesto a un nostro compagno: «Di che razza sei?». Non ci passava proprio per la mente. Anzi: avere amici di altre etnie, tanto più se di altre religioni, era un valore aggiunto, perché alle tue feste comandate si aggiungevano le loro, e quindi c'erano più occasioni per fare baldoria. Per i ragazzi era divertente. Poi cominciarono i pregiudizi antirussi e in Moldavia prese piede un partito nazionalista, ben sovvenzionato dall'Occidente. Volevano entrare nella NATO, pensavano che con l'aiuto degli Stati Uniti il paese sarebbe diventato una specie di paradiso fiscale: fantasie del genere. Ma soprattutto tanti moldavi, giustamente stanchi della vita condotta negli ultimi anni sotto il regime sovietico, davano la colpa delle loro miserie ai russi. Successe la stessa cosa in diverse piccole repubbliche e regioni etniche (Cecenia, Kazakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Ossezia, Armenia...): l'odio nei confronti del "sistema" si trasformò in nazionalismo, sfogo naturale per coloro che così potevano dare una spiegazione al disastro che stavano attraversando. (pp. 121-122)
  • [Sul disastro di Černobyl'] Il popolo sovietico per generazioni ha sgobbato disperatamente, vivendo la sua misera vita escluso dal resto del mondo, mentre il Comitato centrale destinava quote enormi del bilancio alle spese militari. La retorica comunista spiegava ai cittadini che dovevano stringere i denti, lavorare sodo e resistere nelle difficoltà perché avevamo bisogno di costruire sistemi sofisticati per difenderci dai missili statunitensi ed evitare l'apocalisse nucleare sul nostro territorio, ma alla fine l'apocalisse l'ha causata un gruppo di imbecilli altolocati. (p. 124)
  • Eltzin era arrivato al potere sull'onda dell'euforia che accompagnava il crollo dell'URSS, e i cittadini si attendevano da lui il benessere e la miracolosa trasformazione della società in qualcosa di simile al modello occidentale. Ma il brusco crollo dell'economia aveva spazzato via quella classe media sovietica che nonostante tutto conduceva una vita relativamente agiata, e trasformato la maggior parte dei cittadini in miserabili, esposti alle minacce del nuovo mondo, privi delle sicurezze sociali alle quali l'URSS li aveva abituati, indifesi di fronte alle speculazioni delle nuove élite politiche ed economiche che razziavano il paese. Il contrasto tra la miseria delle masse e l'osceno arricchimento degli oligarchi che si comportavano come feudatari medievali, abbassò drasticamente la popolarità del presidente Eltzin, dei suoi programmi politici e del suo concetto di democrazia. Il popolo voleva un cambiamento, e in varie parti del paese pericolose tendenze estremiste mandavano segnali preoccupanti. (pp. 134-135)
  • [Sulla seconda guerra cecena] A differenza della prima guerra cecena di pochi anni precedente, poco popolare e spesso duramente criticata dai russi, il secondo conflitto godette di un grande consenso. La lotta contro il terrorismo fu, lo si può dire con certezza, il primo progetto a livello nazionale a dare a Putin un'incredibile popolarità, trasformandolo in un idolo di fronte alla schiacciante maggioranza degli elettori. (p. 141)
  • Putin non era un grande riformatore, non lo è mai stato. Sfruttò con abilità quel che nel paese era già stato fatto prima di lui, creando però una nuova (e, dal punto di vista politico, curiosa e contraddittoria) simbiosi tra il capitalismo, l'economia liberale d'ispirazione occidentale, e l'impronta autoritaria dello "stato forte". I mali del paese, dunque, migrarono semplicemente nel nuovo secolo: in primis l'oligarchia con le sue ovvie conseguenze quali la corruzione, il cinismo delle élite finanziarie che distruggevano la morale (e il morale del popolo), l'assenza di libertà primarie come quella di parola, schiacciata sotto il peso dei mass media soggiogati alle regole del mercato. Certo, non si può incolpare Putin per non aver cambiato il sistema: sarebbe come pretendere che una persona cambi lo sgabello sul quale sta in piedi, con le mani legate e la corda al collo. Putin, per quanto autoritario e forte possa apparire, è pur sempre legato a un certo tipo di economia che non potrà mai rivoluzionare, perché ciò metterebbe in difficoltà lui e il potere che rappresenta. (p. 161)
  • Un'altra grave mancanza è che Putin non ha mai davvero provato a risolvere il problema della corruzione. Durante il primo periodo della sua presidenza era ovvio che le priorità fossero diverse: bisognava sconfiggere il terrorismo in Cecenia, impostare il lavoro del governo per realizzare i programmi di politica interna ed estera, affrontare i problemi ereditati dal precedente governo, che in meno di dieci anni aveva sepolto il paese. Però, con il passare degli anni, mentre i problemi interni venivano risolti e sembrava che nulla più impedisse al presidente di iniziare un programma di lotta contro i politici e gli amministratori corrotti, Putin aveva sempre qualcosa di più importante da fare. Forse le ragioni di questa "distrazione" sono nascoste nel suo passato, o forse il presidente teme di svegliare un vespaio pericoloso persino per lui. (p. 164)
  • La corruzione, indubbiamente, sarà tra i fattori principali con cui gli storici futuri descriveranno il periodo del "putinismo". I nostri discendenti ci ricorderanno come una società soggiogata da una lobby di oligarchi e governata da politici in simbiosi con la finanza corrotta. La cosa più preoccupante è che ormai tutto ciò viene percepito come normale. (p. 166)
  • La prima guerra cecena fu una dura prova, e la dimostrazione che la macchina bellica del grande paese non era in grado di risolvere nemmeno una situazione locale. Una struttura ingombrante, mal organizzata, con enormi problemi logistici e corrotta fino al midollo: così si presentava l'esercito russo in quei primi anni Novanta. (p. 168)
  • La Chiesa ortodossa russa ha una lunga storia di rapporti con lo stato repressivo sovietico, tanto che i rappresentanti di altre Chiese ortodosse la considerano una deviazione infamante. (p. 172)
  • Il patriarca Kirill, persona di grande cultura, con la spiritualità cristiana ha poco a che fare, tant'è vero che nel giro di pochi anni dalla nomina cominciò a comportarsi pubblicamente come uno degli oligarchi della cerchia del presidente, spesso mostrando con piacere ai giornalisti i suoi lussuosi orologi e lasciandosi fotografare mentre scorrazza in mare sulla sua barca di lusso. Comunque, i rapporti tra lui e Putin negli ultimi anni sono peggiorati, in parte perché appunto Kirill non si comporta come un "papa russo" e in parte perché i suoi appetiti sono aumentati eccessivamente, e le sue continue richieste di ogni genere al governo hanno talmente infastidito i "piani alti" che persino uno dei più fidati uomini di Putin, Dmitrij Medvedev, quando era ancora premier, proibì ai propri collaboratori di rispondere alle sue telefonate. (p. 173)
  • L'unica cosa importante che le élite al governo in Russia sembrano non capire è che non si può proporre per due decenni lo stesso identico programma solo perché questo, vent'anni fa, era popolare. Sembra che il tempo non scorra, all'interno delle prestigiose mura del Cremlino: le persone che lavorano in quel luogo sembrano non cambiare, non evolvere, non accorgersi che il pasese che governano (così come il resto del mondo) è mutato radicalmente. Le masse sono stanche dei rendiconti in stile nordcoreano che arrivano dalle faraoniche riunioni del partito Russia Unita, non ne possono più dei notiziari impostati sulla linea editoriale "lui, sempre lui". La gente non riesce a capire perché di nuovo, come durante gli anni dell'URSS, si debba vivere sotto la costante pressione ideologica che insegna che il resto del mondo è nemico, che tutti ci odiano perché siamo il paese più ricco e più bello al mondo – stranamente, però, pur esportando gas a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo ancora il settanta per cento delle case e delle infrastrutture in Siberia (patria di quel gas) che si scaldono con la legna. (p. 179)
  • Amata da tutto il paese, negli ultimi anni Tereshkova si è avvicinata al partito di Putin, Russia Unita, con il quale è stata eletta a deputato. In realtà, la sua attività è pari a zero: è solo una delle figure storiche dell'URSS "acquistate" dal potere per essere impiegate nella propaganda. Prima del suo discorso alla Duma, l'unica volta in cui l'ex cosmonauta si era esposta pubblicamente fu all'inaugurazione di un ponte nei pressi della città di Yaroslavl', peraltro crollato miseramente dopo pochi mesi. (p. 183)
  • Il fatto è che, a differenza degli oppositori del passato, come Boris Nemtzov, che aveva tutte le doti del politico, Aleksey Navalny è invece un uomo lontano dalla politica seriamente strutturata e non è in grado di rappresentare un modello alternativo al governo in carica. È senz'altro un bravo comunicatore, che abilmente sfrutta la rete e denuncia coraggiosamente alcuni scandalosi casi di corruzione all'interno dell'apparato governativo. A volte riesce a stuzzicare qualche pezzo grosso, suscitandone l'ira, ma il suo lessico politico è costruito in gran parte su concetti fondamentalmente populisti, riduttivi dal punto di vista intellettuale, limitati soprattutto per quello che riguarda le implicazioni relative agli aspetti amministrativi. La sua visione è poi totalmente carente di linee guida nella politica estera, nemmeno un accenno. E la politica estera, per un paese come la Russia, specialmente nell'attuale situazione geopoilitica, è di importanza vitale, per non dire assoluta. (p. 195)

Explicit

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Siamo entrati nel nuovo secolo ancora troppo giovani, ma già con un enorme bagaglio di esperienze alle spalle. L'inizio della presidenza di Vladimir Putin per molti di noi ha coinciso con il momento in cui dovevamo decidere cosa fare della nostra vita. La sua figura e la sua retorica politica per molti di noi rappresentavano l'unico reale modello di comportamento politico, l'unica speranza per un futuro migliore. Negli anni abbiamo imparato a rispettarlo, abbiamo cercato di capirlo e soprattutto abbiamo creduto ciecamente nella sua visione del futuro, nella sua voglia di migliorare la vita della nostra patria.
Però. Però sono passati vent'anni, oggi siamo quarantenni, abbiamo famiglie, viviamo le nostre quotidianità spesso banali, a volte complicate, e la linea politica di Putin rimane sempre la stessa, immutabile, disperatamente stagnante mentre il mondo attorno cambia drasticamente, ogni giorno sempre di più.
E a volte, quando guardo i notiziari della tv russa, mentre la conduttrice con voce angelica racconta dell'ennesimo missile nucleare che abbiamo costruito, ancora una volta più potente e più distruttivo di quelli degli altri paesi, ennesima dimostrazione della nostra supremazia, i miei occhi leggono il testo del messaggio che scorre nella striscia in basso sullo schermo: dice che un bambino in qualche regione sperduta della nostra grande patria sta morendo di una terribile malattia che la nostra medicina non è in grado di affrontare, quindi viene richiesto un aiuto, un sms, per portare quel bambino negli Stati Uniti, oppure in Germania, dove potrà essere curato. E allora sento qualcosa rompersi dentro di me, come se in quel momento, e ogni volta, prendessi coscienza di appartenere a una generazione di persone usate, derise e tradite dai rappresentanti del potere che governa la loro patria.

Citazioni su Nicolai Lilin

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  • Di errori Nicolai Lilin ne ha collezionato parecchi. Nel 2014 aveva pubblicato un lungo articolo che partiva dalla fotografia di una bandiera ucraina con a fianco una bandiera nazista. In breve tempo si scoprì che quell'immagine era un frame di un film. Sempre nel 2014 lo scrittore era convinto di avere trovato una confessione eccezionale: un pilota ucraino avrebbe dichiarato di avere sparato sul Boeing della Malaysia Airlines abbattuto sull'Ucraina. Solo che la fonte di Lilin era un articolo di un giornale satirico. Nelle ultime settimane Lilin ha scritto molto anche sulla vedova dell'oppositore di Putin, Navalny, lasciando intendere una vedovanza "allegra" sulla linea della propaganda di Putin. (Giulio Cavalli)
  • Gli scrittori russi contemporanei sono periferici rispetto all'interesse del lettore occidentale. A dire il vero, è la Russia a essere percepita come una noiosa periferia, anche se molto estesa. Emblematico è il fenomeno dello scrittore Nikolaj Lilin, le cui opere sono accolte trionfalmente in Occidente. Ma la Cecenia e le galere siberiane che racconta mi ricordano le avventure del barone di Münchhausen, capace di mirabolanti frottole: ma tutti, o quasi tutti, gli credono. [...] Ma siamo impazziti? La Russia sarà pure un Paese selvaggio, ma da noi è impossibile immaginare il romanzo di uno scrittore contemporaneo tedesco che racconti di come, nei boschi presso Berlino, si nasconda un reparto di ex SS, che insieme ai figli e ai nipoti, sulle note di Wagner e battendo il tamburo, rapinano i treni in transito. Ed è altrettanto impossibile immaginare che i lettori russi ci caschino e gli editori scrivano in copertina: «Ecco i figli del lupo della steppa, è più forte del Faust di Goethe». Oppure proviamo a immaginare che in Russia arrivi uno scrittore francese di 22 anni e cominci a raccontare di essere stato tiratore scelto in Algeria o guastatore in Iraq, dove è riuscito a catturare uno dei figli di Saddam, e adesso scrive un libro in cui i commandos francesi mangiano rane e compiono prodezze straordinarie. E che gli pubblichino le sue storie dicendo «Finalmente un autore degno di Dumas e di Saint-Exupéry». (Zachar Prilepin)
  • Lilin [...] non è solo uno scrittore. Nicolai Lilin, infatti, è candidato alle Europee 2024 nella lista Pace Terra Dignità di Michele Santoro. Forse questo è il danno più grave: prestare il fianco con falsità a chi da tempo si sforza di tratteggiare come macchiettistici coloro che credono nella pace come obiettivo politico. Così Lilin alla fine riesce a essere il migliore alleato di coloro che Santoro vorrebbe (politicamente) combattere. (Giulio Cavalli)
  • Il romanzo [Educazione siberiana] sembra I ragazzi della via Pal in versione splatter, con i coltelli al posto delle fionde e gli sbudellamenti all'ordine del giorno.
  • Se Nico avesse commesso tutto quello che racconta [in Educazione siberiana], sarebbe un soggetto ad alta pericolosità sociale, invece oggi è un cittadino italiano, vive a Cuneo ed esercita l'inquietante professione di tatuatore. Ma guai a dubitare della sua parola.
  • Venendo al dunque, cioè alle critiche che gli abbiamo sommessamente rivolto, il tatuatore siberiano (che però è cresciuto a tremila chilometri dalla Siberia) si è reso conto che la sua credibilità di delinquente rischiava d'indebolirsi e ha assunto quello che nelle intenzioni forse voleva essere un atteggiamento da criminale incallito, ma che è sembrato più lo scatto di nervi di un teppistello colto sul fatto.
  • Ho chiesto a Nikolai Lilin-Veržbickij che cosa pensa dei commenti dei suoi ex amici [su Educazione siberiana]. Lui ritiene che siano invidiosi: "Si sentono offesi e inferiori. Io sono riuscito ad andarmene e a ottenere qualcosa, e loro no." Però chiacchierando con me – a differenza che nelle interviste ai giornalisti occidentali – ha sottolineato ripetutamente che il suo libro non è un'autobiografia e che a collocarla come tale sono i suoi editori occidentali. Mentre lui non c'entra niente.
  • L'autore insiste che il libro [Caduta libera] è basato sulla sua esperienza personale di combattente in Cecenia. Nell'intervista a Ogonëk ha detto di aver partecipato alla seconda guerra cecena, ma si è rifiutato di dare dettagli. E le fonti del Ministero della Difesa affermano che in Cecenia non c'è mai stato un soldato di nome Lilin o Veržbickij.
  • Se si uniscono i dati [di Educazione siberiana], delle sue interviste sulla stampa occidentali e dei suoi interventi alle fiere librarie, prima dei 23 anni l'autore ha fatto in tempo a: finire due volte in carcere in Transnistria ed essere processato in Russia, militare per tre anni come cecchino in Cecenia e un altro paio d'anni in Israele, Iraq e Afghanistan. A 24 anni ha fatto il pescatore su una nave in Irlanda, poi si è trasferito in Italia, dove si è sposato, ha aperto un salone di tatuaggi, ha scritto un bestseller e per poco non è diventato vittima di un attentato con motivazioni politiche.
  • Bendery è una città piccola, 80 mila abitanti dove tutti si conoscono. Conoscono anche Nicolai (anche se all'epoca portava un altro cognome), si ricordano i suoi genitori e il nonno Boris, «grande persona, ha lavorato fino all'ultimo», dice un coetaneo dello scrittore. Si frequentavano quando erano ventenni, è stato anche a casa sua: «Non c'erano icone, né armi, nessun oggetto "siberiano". Lui era uno curioso, leggeva molto». Nulla di criminale? «Mai sentito che fosse stato in galera, anzi si diceva che a un certo punto si fosse arruolato nella polizia».
  • Diciamo che l'infanzia che lui racconta, in un contesto di povertà ed emarginazione, è anche credibile. Così come è probabile che conducesse allo sbocco naturale della prigione. Anche una certa realtà di bande giovanili è possibile. È la parte sulla mafia che non convince. [...] Rappresentanti della mafia russa ne ho conosciuti. Chi è un killer non va certo a raccontarlo in giro.
  • Secondo Lilin, gli Urca sarebbero una minoranza etnica «discendente degli antichi Efei» che viveva di caccia e rapina e che dalla Siberia venne deportata in Transnistria negli anni '30, quando era parte della Romania (sarebbe stata annessa all'Urss nel 1940, nella spartizione dell'Europa tra Stalin e Hitler). Così i comunisti avrebbero popolato «l'impero romeno», come lo chiama lo scrittore, di criminali russi sconfiggendo le cosche locali. «Assurdo», ride Pavel Polian, storico russo che da 25 anni studia le deportazioni di comunismo e nazismo: «Si deportava in Siberia, ma non dalla Siberia, meno che mai in Moldova. E gli Efei non sono mai esistiti».
  • Secondo Lilin l'esistenza stessa degli Urca era un segreto del regime. Una comunità quasi estinta, che aveva lasciato un segno profondo, vincendo da sola la guerra del 1992, quando la Moldova in preda a bollenti spiriti postsovietici ha invaso la provincia separatista. In Educazione siberiana si narra del trionfo dei «siberiani», riusciti a far esplodere uno dei due cinema di Bendery pieno di militari. Marian Bozhesku, ricercatore ucraino autore di Transnistria 1989-1992, lo studio più esaustivo sul conflitto, dice di non averne mai sentito parlare. «Per noi il ricordo della guerra è ancora vivissimo, abbiamo combattuto disperatamente, dire che sono stati i criminali a vincerla è ridicolo», s'indigna Denis Poronok, che ha la stessa età di Lilin, 31 anni, e contesta la «versione di Nicolai»: «Il cinema esploso è una fiaba, e nel '92 a Bendery c'erano quattro sale, non due».

Bibliografia

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Altri progetti

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  1. a b Citato in Nicolai Lilin a CasaPound, ariannaeditrice.it, 11 settembre 2009.
  2. Da Telegram, 5 giugno 2023.