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Pagina:La desinenza in A.djvu/16

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forse perchè incaricàvansi di strappare le pianticine novelle per vedere se mèttean bene radice. Rondàvano in avvisaglia, con passo di sùghero, e quando accorgèvansi che qualche scrittore cercava introdurre nei gramaticali confini da essi riputati propri, merce non nominata nelle loro tariffe, lo attorniàvano, assaltàvanlo, arrestàvanlo schiamazzando quali oche.

E: «quella è di legge», «questa è di contrabbando», affannàvansi, que’ gabellieri, a sfilare e palpare ogni parola di un libro, a stemperare, entro i lor stacci, i periodi di un pòvero autore finchè ne colasse una broda completamente sciapa, incolora, inodora. Nè, per essi, serviva la scusa della analogìa, la raccomandazione del buon senso, l’invito della necessità. Permettendo, ad esempio, l’onomatopèico «cricch» perchè si leggèa a pàgina tale, linea tal’altra del lor ricettario, proibivano irremissibilmente il suo stretto parente «cracch», non trovàndosi esso in nessuna parte del mastro del loro sapere. L’òttimo autore, secondo tali notài spacciàntisi per legislatori, non dovèa aver orecchio che pei rumori e pei suoni protocollati, udir quindi eternamente la zampogna e il liuto, non il pianoforte mai. Fuor di Toscana, anzi di Firenze, anzi di Palazzo Riccardi, non era letteraria salute. Poichè Arno non diede l’aqua con cui fu bol-