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Consigli

Come prevenire il tumore del colon retto: abitudini sane e screening

È il secondo tipo di tumore più diagnosticato in Italia ed anche uno dei più letali. Ma da che cosa è causato il tumore al colon-retto? E che cosa aiuta a prevenirlo? Sul banco degli imputati obesità, alcol e fumo, ma anche uno stile di vita troppo sedentario. Ecco quali sono le abitudini che ci aiutano invece a starne alla larga.

 

09 marzo 2023
tumore colon

Quanto è diffuso

Se è il tumore della mammella quello più frequentemente diagnosticato nella popolazione italiana, al secondo posto viene il tumore al colon-retto, che è al secondo posto anche come tumore che più frequentemente causa la morte (al primo posto c’è il tumore al polmone, aggressivo e difficile da diagnosticare precocemente, anche se diventerebbe una malattia rara se tutti smettessero di fumare). Le probabilità di contrarre un tumore al colon-retto nel corso della vita sono una su 13 per gli uomini e una su 21 nelle donne: sono quindi un bel po’ di più le persone che non conosceranno questa malattia di quelle che la incontreranno.

Ma c’è dell’altro: per abbassare il rischio di contrarre questo tumore si può fare molto. Si stima infatti che più della metà dei tumori al colon-retto siano dovuti a uno stile di vita scorretto: modificando abitudini e alimentazione, il rischio si può ridurre significativamente. Inoltre, per questo tumore è molto efficace anche la diagnosi precoce: con gli opportuni screening si può infatti agire quando una neoformazione è ancora in stadio pretumorale, ovvero quando è una formazione benigna, detta “polipo”, che si può scoprire e rimuovere molto prima che si trasformi in tumore, sconfiggendolo così con grandi probabilità di successo (vedi il paragrafo “Screening: come batterlo sul tempo”).

Alimentazione e cancro del colon retto: cereali integrali, latticini, fibra

L’alimentazione è uno dei fattori più importanti per diminuire, o viceversa aumentare, il rischio di incorrere in un tumore al colon-retto. Alcuni cibi hanno dimostrato di avere un effetto preventivo: ci sono prove forti che il rischio di tumore al colon-retto diminuisca quanto maggiore è il consumo di cereali integrali, fibra, latticini e calcio. Con un livello minore di certezza ci sono prove limitate, ma suggestive, dell’effetto protettivo del pesce e di avere buoni livelli di Vitamina D nel sangue (vedi il riquadro “La fonte più importante è la luce del sole”). Prove della stessa forza sono quelle esistenti per l’aumento di rischio legato a un consumo basso di frutta e verdura. Il calcio risulta correlato con una diminuzione del rischio, anche se con meccanismi ancora non del tutto chiari, e il suo alto contenuto nei latticini sembrerebbe spiegare anche l’effetto protettivo di questi ultimi: altri alimenti con alto contenuto di calcio sono i legumi, la frutta secca, le verdure a foglie verdi, il sesamo e altri semi. Per questi cibi sarebbe più corretto considerare non tanto l’effetto dei singoli alimenti o gruppi di alimenti, ma il modello alimentare nel suo insieme, per le possibili sinergie. Per esempio un recentissimo studio canadese dimostra che il rischio per tutti i tumori aumenta di quasi il doppio quando a un basso consumo di frutta, verdura, cereali integrali e fibra si associa un alto consumo di carni rosse. Ed eccoci così arrivati a chi può aumentare il rischio. Sul banco degli imputati c’è un sospetto, anzi due: la carne rossa e la carne lavorata (ovvero tutti i salumi e le conserve di carne).

Sulla carne lavorata, ormai, c’è poco da discutere: è dal 2015 che l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) ha classificato le carni lavorate fra i “carcinogeni per l’uomo”, inserendole nel gruppo 1, il che significa che ci sono prove sufficienti per stabilire con certezza che una dieta ricca di carni lavorate aumenta il rischio di questo tumore. Questo significa che dobbiamo rinunciare del tutto a prosciutto, salame, mortadella? Benché non sia facile dare una risposta di questo tipo a una platea di lettori italiani, dobbiamo rispondere che certamente, dal punto di vista della salute sarebbe bene ridurli il più possibile. Consideriamoli una golosità, da permetterci saltuariamente, sostituendoli magari con pesce o formaggio fresco.

L’altro sospetto sul banco degli imputati è la carne rossa (manzo, maiale, agnello/montone, cavallo, capra...),ma sul suo capo pendono meno prove: secondo la Iarc una dieta ricca di carne rossa è probabilmente capace di aumentare il rischio di contrarre questo tumore, ma il fatto non è ancora completamente accertato. Nel dubbio, vale la pena consumarla non troppo di frequente, diciamo al massimo due tre volte alla settimana, sostituendola eventualmente con carne bianca (pollo e altri volatili), pesce, uova, formaggio, legumi. Una scelta che sempre più persone abbracciano anche per motivi ambientali: la produzione di carne rossa, a parità di nutrienti, è infatti quella che ha il peggior effetto ambientale rispetto a tutti gli altri cibi, anche dal punto di vista delle emissioni di CO2. 

Come si può immaginare, visti gli enormi interessi in gioco (ma anche le tradizioni gastronomiche cui non è facile rinunciare), le conclusioni della Iarc sono state messe in discussione e contestate da più parti.  Benché sia vero che non è mai facile collegare direttamente il consumo di uno o dell’altro alimento a un aumento o a una riduzione del rischio di tumori, in questo caso le prove sembrano piuttosto salde e attendibili. Anche l’autorevole World Cancer Research Fund, ente sempre aggiornato e indipendente, definisce “forti e convincenti” le prove a carico delle carni lavorate e “probabile” il legame con il consumo di carni rosse. Invece, ad oggi non ci sono prove conclusive né a favore né contro molti altri cibi, fra cui patate, pollame, legumi, aglio (che sembrava molto promettente in alcuni studi qualche anno fa), caffè, tè, folati, vitamina A, vitamina B6, vitamina E, selenio, carotene.

Attività fisica: un passo cruciale

L’effetto preventivo del movimento è sicuro

Gli effetti benefici dell’attività fisica nella prevenzione del cancro al colon-retto sono stati accertati da molti studi. Le persone attive hanno un rischio di sviluppare questo tipo di tumore inferiore fino al 25 per cento rispetto alle persone sedentarie. I benefici massimi si ottengono con 30-60 minuti di attività fisica intensa al giorno, ma anche un impegno minore apporterà benefìci in proporzione. I 30 minuti quotidiani di camminata di buon passo consigliati dall’Oms sono il livello minimo a partire da cui si registra un beneficio significativo nel rischio di sviluppare un tumore al colon.

No alle ore davanti alla televisione 

La vita sedentaria e in particolare le ore trascorse davanti alla televisione aumentano il rischio di questo tumore, in particolare sotto i 50 anni, fascia d’età in cui l’incidenza sta aumentando più che negli anziani (tra i quali è più frequente in assoluto, ma sta invece diminuendo), probabilmente per un aumento della sedentarietà nei giovani. Anche i lavori sedentari, dove si sta molto seduti, aumentano il rischio: dieci anni o più di lavoro sedentario quasi lo raddoppiano.

Muoversi fa bene anche a chi è in cura

Molto recentemente è stato dimostrato che l’attività fisica è utile perfino in pazienti con tumore del colon-retto in stadio avanzato, perché l’attività fisica moderata (come ad esempio camminare per 30 minuti al giorno) riesce a far sopportare meglio gli effetti della chemioterapia e rallenta la progressione della malattia.

La fonte più importante è la luce del sole

Come accade per diversi altri disturbi, anche per quanto riguarda il tumore al colon-retto si è messa in evidenza una relazione tra maggior incidenza di questo tumore e basso livello di vitamina D nel sangue, soprattutto nelle donne. Tuttavia, benché il ricorso agli integratori a base di questa vitamina sia molto diffuso, non c’è ancora accordo né su quale sia il livello di concentrazione nel sangue di vitamina D da ritenersi ottimale né su quale sia quello a cui può rendersi utile e quindi consigliabile una supplementazione. Inoltre, non è chiaro se il basso livello di vitamina D nel sangue sia un effetto o una causa della malattia.

Primo consiglio: stare il giusto all’aria aperta 

La vitamina D è fabbricata nella nostra pelle grazie all’esposizione ai raggi ultravioletti, ovvero al sole. Il primo sistema per fare sì che il nostro organismo ne abbia una quantità sufficiente è passare ogni giorno un po’ di tempo all’aria aperta. D’estate basta esporre quotidianamente braccia, gambe e scollatura per 10-15 minuti (evitando le ore di picco dei raggi), d’inverno servono una trentina di minuti, meglio se verso mezzogiorno.

Assumere un integratore?

La decisione di assumere un integratore di vitamina D va presa insieme al medico. La vitamina è importante per il nostro organismo per diversi motivi, soprattutto per la salute delle ossa. Gli alimenti che ne sono più ricchi sono il fegato di merluzzo e i pesci grassi, come il salmone e il pesce azzurro (sarde, sgombri, alici).

No alla stipsi

La stitichezza è da tempo ipotizzata come una possibile causa o concausa del tumore al colon-retto. Per migliorare la regolarità intestinale, rendendola meno frequente, è utile una alimentazione ricca di fibra (frutta, verdura, cereali integrali), accompagnata da una buona idratazione: indicativamente, si consiglia di bere un paio di litri d’acqua al giorno o meglio ancora di bere quanto si desidera facendo molta attenzione a non trascurare lo stimolo della sete. Ciò avverrebbe perché, quando il transito intestinale è lento e c’è quindi prolungato ristagno di feci nell’intestino, può esserci un’aumentata produzione di sostanze cancerogene provenienti da una maggiore fermentazione (un esempio sono le nitrosamine). Questa ipotesi è stata rafforzata da alcuni studi che hanno evidenziato l’esistenza di una relazione fra stitichezza cronica e maggior frequenza di cancro del colon-retto.

Interessante notare che l’uso di lassativi (molto frequente in chi ha una stipsi cronica) non diminuisce il rischio. Da sottolineare infine che la stipsi è un fattore di rischio certo per altri disturbi dell’apparato digerente, come la diverticolosi e le emorroidi, che oltre a dare fastidio possono rendere più difficile la diagnosi di tumore del colon-retto.

Obesità, alcol, fumo

L’eccesso di peso è un fattore di rischio, soprattutto la vera e propria obesità (indice di massa corporea superiore a 30). Lo stesso vale per il diabete.
Inoltre, sappiamo che il legame tra alcol e salute è molto stretto. Anche il consumo di due o più unità alcoliche al giorno (una unità alcolica è rappresentata da un bicchiere di vino da 125 ml o una lattina di birra da 330 ml o un bicchierino da 40 ml di superalcolico) è un fattore di rischio con prove forti.

Infine, come per molti (forse tutti) i tumori, il fumo è considerato un sicuro fattore di rischio: fumare due pacchetti di sigarette al giorno aumenta del 40% il rischio di ammalarsi e quasi raddoppia il rischio di morte. Ma il rischio cresce anche con meno sigarette, e probabilmente aumenta in particolare nelle donne (e in Italia le fumatrici sono in aumento, purtroppo).

Farmaci protettivi? Sconsigliati

Benché sia emerso da alcuni studi che l’aspirina ha un effetto protettivo contro il tumore al colon-retto, in misura proporzionale alla quantità e durata dell’assunzione, non è tuttavia consigliato assumerla solo a scopo preventivo, per gli effetti indesiderati legati soprattutto al rischio di emorragie. Anche la Terapia ormonale sostitutiva ha un certo effetto protettivo, ma anche in questo caso è sconsigliata per l’aumento di rischio di tumore alla mammella, ictus e tromboembolismo venoso.

Screening: come batterlo sul tempo

Per intercettare un possibile tumore al colon-retto, c’è da tempo uno screening efficace: un esame periodico del sangue nelle feci, a partire dai 50 anni. Se si riscontra sangue, si procede con una colonscopia. Parlane con il tuo medico, se sei nella fascia di età interessata. In caso di familiarità per il tumore, cioè casi in famiglia, possono essere consigliati percorsi differenti. Meno frequentemente lo screening consiste in una rettosigmoidoscopia, ovvero un esame ottico dell’ultimo tratto dell’intestino, effettuata una volta a 58-60 anni.

Come funziona la colonscopia?

Prevede l’inserimento nell’addome, attraverso l’ano, di un sottile cavo con una fibra ottica. Richiede svuotamento e pulizia dell’intestino e non è priva di effetti indesiderati, ma molto raramente gravi.

Rimuovere il problema

La colonscopia permette di identificare adenomi benigni (“polipi”). Nel tempo, alcuni di questi potrebbero trasformarsi in tumori maligni. Nel corso della colonscopia il polipo viene rimosso, eliminando il problema.

Scopri che cos'è e cosa prevede la legge sull'oblio oncologico.