Server Error
Speciali

Cure mirate per uomini e donne

L’immunologa Antonella Viola ci spiega perché è necessario che le cure abbiano una declinazione al femminile e una al maschile: «Non siamo uguali. E in medicina, oltre al sesso, conta il genere». 

05 settembre 2022
Medicina di genere

Anni di lotte femministe sembrano impallidire di fronte al titolo dell’ultimo libro della scienziata Antonella Viola, Il sesso è (quasi) tutto (Feltrinelli, 2022). Ma anche Simone de Beauvoir, che ha consacrato la vita alla causa della parità tra i sessi, sorriderebbe compiaciuta se nell’aldilà potesse sfogliare questo interessante testo di divulgazione scientifica. Sì, perché ciò che pochi sospettano è che in medicina la parità tra uomini e donne si raggiunge con la discriminazione. E quanto più la discriminazione è scientifica, meglio è. Un apparente paradosso, dove però la parola discriminazione sta per attenzione alle differenze biologiche legate al sesso, e non solo. Ne abbiamo parlato con l’autrice del saggio.

Il sesso è così importante in medicina?

«Ho scelto un titolo volutamente provocatorio, affinché il messaggio ne uscisse rafforzato. Uomo e donna sono biologicamente e fisiologicamente molto diversi. Se la società ha artificiosamente creato differenze che non hanno ragion d’essere, e che spesso sono ingiuste, la scienza ha invece ignorato differenze che avrebbero permesso di curare meglio tutte le persone, ma soprattutto le donne. Il corpo delle donne è stato studiato poco e curato peggio, perché per molto tempo la medicina è stata fatta da maschi bianchi per maschi bianchi. Le donne sono state escluse dalle sperimentazioni sia per una sorta di paternalismo, dato che bisognava preservare un corpo portatore di una possibile vita, sia per semplificarsi il compito, visto che il ciclo mestruale e le gravidanze costituiscono ulteriori variabili di cui tener conto. E gli esperimenti tendono a ridurre le variabilità per avere risultati più facilmente interpretabili».

Che cosa ha comportato questa ingiusta esclusione?

«Ha fatto sì che alla donna fossero somministrati farmaci che su di lei non erano mai stati sperimentati, quindi senza sapere se avrebbero funzionato e senza avere la certezza che non avrebbero avuto effetti tossici importanti. Non è un caso che siano proprio le donne a soffrire più spesso di effetti collaterali severi. Molti farmaci sono stati ritirati dal commercio perché avevano un profilo di tossicità alto nelle donne. Il metabolismo dei farmaci è diverso negli uomini e nelle donne. Il corpo femminile, ad esempio, ha più massa grassa, meno massa muscolare e una minore quantità di acqua».

In che modo questi elementi influiscono sulle terapie?

«Nel caso dei farmaci lipofili, cioè che si sciolgono nei grassi, la dose disegnata sul corpo dell’uomo potrebbe risultare insufficiente nella donna, e quindi non garantire la medesima efficacia. Mentre nel caso dei farmaci idrofili, che si sciolgono in ambiente acquoso, la stessa dose dell’uomo potrebbe essere eccessiva e quindi tossica nella donna. Anche l’eliminazione dei farmaci è diversa tra uomini e donne. Questo perché la filtrazione renale nelle donne giovani è ridotta rispetto ai coetanei di sesso maschile. Solo dopo i 70 anni si registrano valori simili tra i due sessi».

Perché spesso si chiamano in causa gli ormoni?

«Ormoni e genetica giocano un ruolo importante nel meccanismo di azione dei medicinali. Tra i molti esempi che potrei fare c’è quello che riguarda i farmaci antidolorifici oppioidi. Diversi studi mostrano che alle donne bisogna somministrarne una dose più alta del 30% rispetto agli uomini per ottenere lo stesso effetto contro il dolore. Questo perché gli estrogeni intervengono nel modulare l’azione degli oppioidi. Una minore risposta agli antidolorifici potrebbe dipendere anche dal sistema immunitario. Nonostante questo, le donne che soffrono di dolore cronico vengono spesso trattate con dosi più basse di antidolorifici».

Oggi negli studi clinici le donne sono rappresentate?

«Solo dopo il 1993, su richiesta della Food and Drug Administration (l’ente americano che si occupa della sperimentazione e dell’approvazione dei farmaci, ndr), gli studi clinici hanno cominciato a includere le donne. Ma il problema non è solo dare loro rappresentanza – e farlo in misura equivalente agli uomini sin dalle prime fasi della ricerca –, ma includere specifiche analisi di genere. Questo significa gestire separatamente le analisi di efficacia e sicurezza per i due sessi. Basti dire che solo il 4% delle sperimentazioni cliniche di vaccini e terapie contro il Covid-19 ha incluso un piano per analizzare le variabili sesso o genere. Poi non dobbiamo stupirci che il 71% delle reazioni avverse ai vaccini sia stato riportato da donne. Una mancanza ancora più grave, dato che sappiamo che le risposte immunitarie alle infezioni sono molto diverse tra uomini e donne».

Perché parliamo di medicina di genere e non di medicina sesso-specifica?

«Perché è vero che le differenze biologiche tra i sessi hanno un peso determinante sotto tutti i profili – incidenza delle malattie, sintomi, decorso e risposta alle terapie –, ma il sesso non è tutto: è quasi tutto, come dice il titolo del libro. Infatti, su questi stessi elementi incidono variabili socio-economiche, psicologiche, culturali, politiche, ambientali e persino religiose. Cioè fattori che rientrano nel “genere”, un concetto che racchiude tutto ciò che non è biologico».

Ci fa qualche esempio?

«Le donne fanno molto meno sport degli uomini. E questa non è ovviamente una differenza biologica, bensì una differenza legata allo stereotipo che vuole le ragazze meno portate per lo sport. Ciò ha ricadute sulla salute della popolazione femminile, che presenta infatti una maggiore predisposizione all’obesità, all’osteoporosi e alle malattie cardiocircolatorie. Un altro esempio, stavolta legato alla religione, riguarda la carenza cronica di vitamina D nelle donne che vivono nei Paesi islamici: a causa del burqa, la loro pelle non è mai esposta al sole. Diversi studi mostrano come questo tipo di carenza nelle donne si associ a una maggiore incidenza di malattie autoimmuni. Si pensi poi alla depressione, che è sottostimata negli uomini perché un uomo che sta male non ammette di avere la depressione. Non va a chiedere aiuto al medico o allo psicologo, perché questo cozza con il concetto di mascolinità e con lo stereotipo secondo cui l’uomo è forte e la depressione è una patologia tipicamente femminile. Se però andiamo a vedere il numero di suicidi, le persone che si tolgono la vita sono quasi tutti uomini».

Eppure il modello che ci viene presentato è quello di una medicina personalizzata e di precisione.

«Dirò di più. Dopo la medicina delle due P, personalizzata e di precisione, si è passati alla medicina delle 4 P: personalizzata, preventiva, predittiva e partecipativa. Si usano slogan per convincerci che tutto sta cambiando, ma i progressi riguardano solo alcuni settori, come quello oncologico. Stupisce quindi che l’ambizione alla cura personalizzata non sia partita dal passo più ovvio: la distinzione sulla base del sesso».

A proposito, quando le cure basate sul genere troveranno applicazione pratica?

«I bravi medici fanno già medicina di genere. Certo, la grande sfida sarà poi quella della formazione di tutta la classe medica su questi temi. Ma ciò che adesso è più urgente è cambiare il modo di fare i grandi studi clinici e di produrre terapie».

C’è il rischio che la medicina di genere diventi uno strumento di marketing?

«Già oggi abbiamo farmaci con una confezione rosa e una azzurra, che però contengono lo stesso principio attivo nella medesima quantità. Così non si rende un buon servizio alla medicina di genere. È chiaro che lì dove si riuscirà a definire un dosaggio diverso per i due sessi, in modo da garantire la massima efficacia e la minore tossicità di un farmaco per entrambi, è più logico che sia il medico a fare da filtro, indicando la dose da assumere, e non il packaging diverso, per non creare inutili doppioni».

Uso di farmaci

Le donne sono le maggiori consumatrici di farmaci. Rispetto agli uomini ne usano il 20- 30% in più. Da cosa dipende? Da tanti fattori. Le donne vivono più a lungo, ma si ammalano maggiormente: gli anni guadagnati sono spesso contrassegnati da disabilità. Sono più esposte agli stati dolorosi (emicrania, dolori muscolari e scheletrici) e attraversano condizioni che tendono sempre più spesso a essere medicalizzate (mestruazioni, gravidanza e menopausa).

Più soggetta agli effetti collaterali

Quindi il maggiore consumo di farmaci non può essere ascritto solo al fatto che le donne dedichino maggiore attenzione alla salute e siano meglio disposte verso le cure. Anche a parità di consumo di medicinali la donna sarebbe penalizzata rispetto all’uomo, perché il suo corpo è più soggetto agli effetti collaterali dei farmaci ed è più lento a smaltirli (detossificazione).

L’asma bronchiale

Gli sviluppi della medicina di genere nelle malattie respiratorie sono molto promettenti, perché nei due sessi le differenze riguardanti il polmone e le vie aeree si presentano già in fase embrionale. Le bambine hanno polmoni più piccoli ma meglio sviluppati rispetto ai bambini di pari altezza e peso. Inoltre, le vie aeree delle bambine hanno un’ampiezza maggiore. Questi vantaggi respiratori durano fino al periodo puberale, poi la situazione si inverte a favore dei maschi. Dai quarant’anni in poi, però, sono le donne a poter vantare un invecchiamento polmonare più lento rispetto agli uomini.

La diffusione cambia con l’età

Analogamente, si è osservato che l’asma bronchiale in età pediatrica è maggiore nei maschi, mentre durante la pubertà colpisce di più le ragazze. Si presume che le modificazioni ormonali giochino un ruolo importante. Le ricerche ci diranno di più

Tumori

Nei tumori comuni ai due sessi si è osservato che il genere gioca un ruolo fondamentale ed è fonte di notevoli differenze nell’insorgenza della malattia, nella sua progressione e nella risposta alle terapie. Nonostante ciò, le donne non sono ancora adeguatamente rappresentate nelle sperimentazioni cliniche relative ai tumori non specifici di un sesso.

Il cancro al colon più fatale per le donne

Per esempio, a parità di fattori di rischio, le donne sviluppano più frequentemente il tumore del polmone. Il cancro alla tiroide è più frequente nella donna, ma ha un esito peggiore nell’uomo. Il cancro al colon nell’uomo riguarda perlopiù il colon discendente, mentre nella donna di più quello ascendente. In questo secondo caso l’esame del sangue occulto nelle feci risulta positivo più tardi, quando il tumore è peggiorato. Un ritardo che causa una maggiore mortalità nella donna.

Demenze

Se il Parkinson è più frequente tra gli uomini, l’Alzheimer colpisce in misura largamente maggiore le donne. Negli Stati Uniti sono di sesso femminile i due terzi dei malati di Alzheimer. In passato si pensava che dipendesse dalla maggiore aspettativa di vita delle donne. Successive e più specifiche analisi dei dati hanno dimostrato che non è così. Ma non c’è solo la maggiore incidenza, anche la progressione della malattia è più veloce nelle donne che negli uomini.

Ormoni e attività intellettiva

Si è osservato che gli estrogeni svolgono un’azione protettiva contro l’Alzheimer, per cui dopo la menopausa, quando questi ormoni calano, il rischio aumenta. Incide anche lo stile di vita intellettivo: le persone con bassi livelli di scolarità e con lavori poco qualificati sono più esposte. E purtroppo le anziane di oggi hanno avuto in gioventù meno possibilità di studiare e di affermarsi.

Depressione

I dati dicono che la depressione è la prima causa di disabilità nella popolazione femminile e che le donne depresse sono quasi il doppio degli uomini. Ma se si osserva il numero di suicidi, questi riguardano per il 79% gli uomini. Numeri così stridenti dipendono dal fatto che la depressione maschile è sottostimata. Per motivi socio-culturali, l’uomo tende a mascherare il disagio psichico e a ricorrere tardi all’aiuto di un medico o dei servizi di salute mentale.

Nell’uomo sintomi diversi

La diagnosi di depressione è più difficile nell’uomo perché i sintomi della depressione maschile non sono codificati nelle linee guida attuali. Se le donne riportano più di frequente sintomi somatici (stanchezza, disturbi dell’appetito e del sonno), negli uomini prevalgono l’apatia, l’isolamento sociale, la riduzione della comunicazione verbale e i disturbi della memoria

Malattie autoimmuni

L’uomo contrae con più facilità infezioni batteriche e virali rispetto alla donna, la quale può contare su un sistema immunitario più efficiente. Da questo dipende anche il fatto che le donne, quando ricevono un vaccino, sviluppano più anticorpi rispetto agli uomini. Nella donna difese immunitarie più potenti però si rivelano un’arma a doppio taglio poiché favoriscono lo sviluppo di malattie autoimmuni, in particolare in età fertile.

Otto pazienti su dieci sono donne

Su dieci pazienti che soffrono di malattie autoimmuni, otto sono di sesso femminile. Benché esistano malattie autoimmuni con una maggiore incidenza negli uomini (diabete di tipo 1, miocardite e spondilite anchilosante), la maggior parte vede invece una netta prevalenza nelle donne: ipotiroidismo, ipertiroidismo, sclerosi sistemica, epatite autoimmune, artrite reumatoide, sclerosi multipla.

Infarto del miocardio

A lungo sottostimate nelle donne, le malattie cardiovascolari provocano il 43% delle morti femminili, contro il 33% di quelle maschili. L’infarto del miocardio, prima causa di morte della donna, può presentarsi con sintomi diversi da quelli riscontrati nell’uomo. In quest’ultimo si manifesta con un senso di oppressione e un dolore al centro del petto, che si irradia al braccio sinistro, al destro o a entrambe le braccia. Nella donna questi sintomi si presentano solo una volta su tre.

Nella donna sintomi atipici

Nella maggior parte dei casi la donna nel corso di un infarto è colta da affanno, mancanza di respiro, nausea, vomito, mal di pancia, dolore alla schiena (o nessun dolore). Non immaginando che si tratti del cuore, cerca aiuto tardi. E al pronto soccorso è sottoposta a gastroscopia invece che a elettrocardiogramma. Tutto questo ritarda la giusta diagnosi e aumenta il rischio di morte. 

Osteoporosi

Poiché otto volte su dieci colpisce le donne (a causa soprattutto della carenza di estrogeni dopo la menopausa), l’osteoporosi nella popolazione maschile è poco studiata. Anche i farmaci sono stati creati tenendo conto delle caratteristiche biologiche delle persone di sesso femminile.

Negli uomini bisogna studiarla di più

Medicina di genere però non significa medicina delle donne. Il principio dell’equità delle cure vale anche per gli uomini in relazione alle malattie che nel loro caso sono trascurate perché riguardano prevalentemente il sesso femminile. In Italia 800mila uomini soffrono di osteoporosi. Nell’uomo insorge con circa dieci anni di ritardo rispetto alla donna. In entrambi i sessi la frequenza di fratture aumenta con l’età. Nelle situazioni più gravi, a seguito di una frattura, il tasso di mortalità risulta però molto più alto nell’uomo che nella donna