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Riforma del catasto: nessun aumento delle tasse

La mappatura degli immobili prevista dalla riforma del catasto non porterà a un aumento delle tassea garanzia di ciò è stata eliminata l’indicazione del valore patrimoniale a fiando della rendita catastale, come inizialmente previsto. Ecco cosa prevede la riforma del catasto, perché si è resa necessaria e quali effetti avrà fra 4 anni sulle tasche degli italiani che hanno una casa.

06 maggio 2022
Riforma del catasto

Lo scorso ottobre il Governo ha approvato il disegno di legge delega fiscale, che contiene i principi con i quali nei prossimi anni dovranno essere emanate norme ad hoc per rivedere vari ambiti della tassazione italiana. Ad esempio, una parte importante della delega fiscale punta a rivedere il sistema di tassazione delle persone fisiche: ne abbiamo visto un primo step importante con la modifica delle aliquote irpef e delle detrazioni sui redditi da lavoro o da pensione.

In questi giorni, il Governo si sta confrontando con le varie forze politiche per rivedere il sistema del catasto italiano. Vediamo quali sono i criteri che il legislatore deve utilizzare per riformarlo e se effettivamente per il cittadino ci sia il rischio di pagare più tasse.

Il catasto italiano: fermo al 1939

Partiamo da una data certa, gli effetti della riforma decorrono dal 2026, mentre entro il 2023 deve esser emanato il decreto che stabilirà le nuove regole.

Un’altra data certa è il 1939, anno a cui risale l’attuale sistema di valutazione catastale. Nel secolo scorso sono state riviste più volte le norme in materia, fino ad arrivare alla classificazione attuale dei fabbricati in base a un decreto del 1993. Da quell’anno i tentativi di revisione sono stati tantissimi, sono state emanate altre deleghe per la riforma catastale ma nulla è mai successo. Questo immobilismo ha portato a dover rivalutare del 5% tutte le rendite catastali ogni volta che dobbiamo applicare un’imposta, che sia l’Irpef o l’Imu ma soprattutto ha comportato che dal 2005 i Comuni sono intervenuti in ordine sparso con una revisione parziale del classamento degli immobili presenti nel loro territorio.

Questo significa, per esempio, che 17 Comuni, tra cui Milano, Roma, Ferrara, Bari e Lecce, hanno chiesto all’Agenzia delle entrate di rivedere le rendite catastali, di fatto in base al valore di mercato in zone particolari del Comune: il risultato è stato un incremento delle rendite catastali di oltre 183 milioni di euro complessivi nei 17 Comuni.

Le discriminazioni fiscali sono ovunque in materia catastale: basti pensare che alcuni immobili siti in centri storici mai toccati dalle revisioni catastali, versano un Imu nettamente inferiore rispetto a innumerevoli appartamenti in periferia ristrutturati, classificati come immobili di pregio o quasi. La stessa normativa sulla classificazione degli immobili di lusso ormai prevede solo un riferimento alla classe catastale, mentre sono stati aboliti i criteri in vigore dal 1969 che valutavano le caratteristiche tecniche, le strutture accessorie e le finiture presenti in ogni immobile.  

Riforma del catasto: niente aumenti prima del 2026

In questo quadro variegato e per certi versi discriminatorio, si è ormai resa necessaria una riforma del sistema. Pertanto, il Governo ha stabilito che debba esser rivisto il sistema di rilevazione catastale degli immobili prevedendo nuovi strumenti che possono essere usati dai Comuni e dall’Agenzia delle entrate per facilitarne il corretto classamento.

In pratica, a partire da quando verrà emanato il decreto di riforma del catasto e fino alla fine del 2025 non cambierà nulla, ma le informazioni attualmente presenti in catasto dovranno esser via via integrate attribuendo all’unità immobiliare  una rendita attualizzata, rilevata anche in base ai valori di mercato, che potrà esser adeguata periodicamente.

Queste nuove informazioni però non dovranno essere usate per la determinazione della base imponibile dei tributi né per finalità fiscali. In pratica, le nuove risultanze del catasto non andranno a incidere sulle tasse che paghiamo.

Perché allora rivedere il catasto? Perché nel rapporto delle statistiche catastali del 2020, realizzato dall’Agenzia delle entrate, si evidenzia che dai rilievi fatti con fotoidentificazione mancano all’appello più di un milione di immobili che, appunto, non risultano censiti.

La delega per la riforma fiscale ha stabilito che i criteri e i principi direttivi da utilizzare dovranno prevedere strumenti da mettere a disposizione dei Comuni e dell'Agenzia delle entrate per facilitare e accelerare l'individuazione e il corretto classamento:

  • degli immobili attualmente non censiti, che hanno una dimensione diversa da quella dichiarata, la loro reale destinazione d'uso, la categoria catastale attribuita;
  • dei terreni edificabili accatastati come agricoli
  • degli immobili abusivi.

Inoltre, viene prevista l’adozione di modelli organizzativi che facilitino la condivisione dei dati e dei documenti, in via telematica, tra l'Agenzia delle entrate e gli altri enti.

Per le unità immobiliari riconosciute di interesse storico o artistico sono, inoltre, da introdurre adeguate riduzioni del valore patrimoniale medio ordinario considerati i più  gravosi oneri di manutenzione e conservazione. Tutto ciò non dovrà essere considerato per la determinazione della base imponibile dei tributi derivanti dalle risultanze catastali né, comunque, per finalità fiscali.