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Plusvalenze immobiliari: cosa sono, come si calcolano e cosa cambia nel 2024

Quando si acquista un immobile e poi lo si rivende (presumibilmente a un prezzo più alto) si realizza una plusvalenza immobiliare. Su quel guadagno il Fisco vuole la sua parte e dal 2024 si pagherà il 26% anche sulle plusvalenze delle seconde case ristrutturate col superbonus. Ecco come si fanno i calcoli, chi deve pagare l’imposta e come farlo senza rischiare sanzioni.

15 dicembre 2023
Casa e denaro in equilibrio

Cosa s'intende per plusvalenza da vendita di un immobile? E' importante conoscere esattamente cos'è e come si calcola una plusvalenza immobiliare, in vista anche dell'inasprimento della pressione fiscale sulle seconde case ristrutturate col superbonus. Cerchiamo allora di capire quali sono i casi in cui si viene tassati e se ci sono modi per risparmiare. 

Che cos'è una plusvalenza immobiliare

Se si compra una casa a scopo di investimento, per poi rivenderla in un secondo momento si ottiene un guadagno. Questo guadagno, che in termini fiscali si chiama plusvalenza, può derivare dal semplice aumento del valore commerciale dell’immobile negli anni, ad esempio, per una rivalutazione della zona in cui si trova, oppure per interventi di miglioramento che sono stati fatti dal proprietario e che hanno comportato l’aumento del valore dell’immobile stesso. La plusvalenza viene considerata dallo Stato come un reddito diverso, cioè che non deriva da capitale investito o dal lavoro, e come tale viene tassato

Come si calcola

La plusvalenza è data dalla differenza tra quanto una persona ottiene dalla vendita di un immobile e quanto ha speso per l’acquisto (qui una guida completa a tasse e agevolazioni quando si acquista casa). Tuttavia, la tassazione è applicata sulla plusvalenza calcolata al netto delle spese, in pratica, dal risultato della differenza che abbiamo visto, si devono sottrarre:

  • le tasse pagare per l’acquisto della casa;
  • l’onorario del notaio e ogni altra spesa sostenuta in sede di acquisto come quelle per l’intermediazione immobiliare;
  • eventuali spese di manutenzione straordinaria.

Facciamo un esempio

Se si acquista una casa per 150 mila euro, pagando 4 mila euro di notaio e 6 mila di imposte, rivendendola a 180 mila euro, la plusvalenza tassabile sarà di 20 mila euro. Infatti, ai 150 mila si sommano le spese sostenute all’atto d’acquisto che ammontano a 10 mila euro e si sottraggono quindi 160 mila da 180 mila. Se però durante il periodo di possesso sono stati fatti dei lavori di ristrutturazione che ammontano a 15 mila euro complessivi, la plusvalenza da tassare sarà solo di 5 mila euro.

Quali plusvalenze non vengono tassate?

Fortunatamente non sempre la plusvalenza viene tassata infatti, lo Stato riconosce diversi casi di esclusione se l’immobile:

  • è stato comprato o costruito da più di 5 anni;
  • è stato ereditato;
  • per la maggior parte del tempo intercorso tra l’acquisto/costruzione e la vendita è stato utilizzato come abitazione principale dal proprietario o dai suoi familiari come coniuge anche separato, figli, genitori anche adottivi, fratelli/sorelle anche unilaterali, nonni, nipoti dei nonni, generi, nuore, suoceri (al link che segue trovi quali sono i familiari a carico fiscalmente e quali limiti ci sono)

In quest’ultimo caso bisogna quindi calcolare il periodo di possesso e determinare quindi se l’utilizzo come abitazione principale si è protratto per almeno la metà del tempo più un giorno. Inoltre, l’immobile deve essere accatastato nelle categorie catastali dalla A1 alla A9 per la maggior parte del periodo di possesso, quindi, non rileva che la casa sia di lusso ma sono esclusi gli uffici.

In caso di immobile che deriva da una donazione invece, il calcolo dei 5 anni viene fatto a partire dalla data di acquisto o costruzione dell’immobile donato da parte del donante. In pratica, se una zia ricca compra una casa al nipote e gliela regala, questi per non pagare la plusvalenza non deve venderla prima che siano trascorsi 5 anni da quando la zia l’ha acquistata.

Quanto si paga

Per la tassazione della plusvalenza è possibile utilizzare due metodi alternativi tra loro, che possono essere più o meno convenienti a seconda della situazione reddituale personale. Infatti, è possibile utilizzare:

Nel caso in cui l’immobile venduto sia di proprietà di più persone, ognuno potrà scegliere di pagare l’imposta che risulta meno onerosa in base alla propria situazione soggettiva.

Come ridurre l’imposta

La tassazione sostituiva è certa nel suo importo, basta applicare il 26% alla plusvalenza da tassare, l’utilizzo della tassazione ordinaria, invece, merita una valutazione più attenta. Infatti, poiché le aliquote Irpef variano da un minimo del 23% a un massimo del 43%, la percentuale di tassazione finale dipende dalla presenza di eventuali altri redditi.

Ad esempio, se un soggetto che possiede redditi da lavoro per 50 mila euro realizza una plusvalenza di 10 mila euro, l’aliquota che gli verrebbe applicata con la tassazione ordinaria è del 43%, mentre con l’imposta sostitutiva pagherebbe solo il 26%. Di fatto il risparmio con l’imposta sostitutiva sarebbe di 1.700 euro.

Allo stesso modo, se il soggetto guadagna 20 mila euro, l’aliquota Irpef ordinaria che verrebbe applicata è del 23% (dal 2024), quindi risulterebbe più conveniente rispetto alla sostitutiva del 26%, con un risparmio di 300 euro di imposte.

Come pagare la plusvalenza immobiliare

A seconda del regime di tassazione scelto è possibile utilizzare due metodi differenti di pagamento. Infatti, nel caso in cui si opti per la tassazione sostitutiva del 26% il pagamento avviene in sede di rogito notarile, sarà il notaio a fare da sostituto d’imposta e versare le imposte per conto del contribuente.

Se invece si opta per la tassazione ordinaria, bisogna inserirla in dichiarazione dei redditi. In questo caso, infatti, l’importo della plusvalenza viene indicato nella dichiarazione dei redditi annuale, tra i redditi diversi, e viene quindi tassata con le stesse modalità previste per i redditi da lavoro o da pensione e può esser rateizzata. In questo approfondimento trovi tutte le istruzioni su come considerare i redditi da capitale nella dichiarazione dei redditi annuale.

Plusvalenze e superbonus

La manovra di bilancio del 2024 ha previsto un inasprimento della tassazione della plusvalenza qualora l’immobile venduto sia stato ristrutturato utilizzando il superbonus; se vuoi avere un idea di cosa prevede e come funziona il superbonus trovi tutto a questo link. La manovra prevede due interventi che determinano l’aumento delle imposte sulla plusvalenza in caso di vendita di immobile:

  1. allargamento a 10 anni del periodo di riferimento per il calcolo della plusvalenza;
  2. metodi diversi di conteggio delle spese di ristrutturazione ai fini del calcolo della plusvalenza.

In ogni caso però è possibile scegliere alternativamente tra la tassazione ordinaria e quella sostitutiva al 26%. Tutti gli altri tipi di ristrutturazione, dal bonus casa, all’ecobonus o al bonus facciate vengono conteggiati come oneri accessori e ricadono nella tassazione della plusvalenza di cui abbiamo parlato nei paragrafi precedenti.

La plusvalenza si valuta su 10 anni

La nuova norma prevede che per chi vende un immobile che è stato ristrutturato utilizzando il superbonus, la tassazione della plusvalenza è calcolata sui 10 anni precedenti. Di fatto si amplia l’orizzonte temporale durante il quale è possibile tassare la plusvalenza, mantenendo però le stesse cause di esenzione previste dalla normativa (immobili che derivano da una successione, destinazione ad abitazione principale per la maggior parte del tempo).

Il valore della ristrutturazione per la plusvalenza

In tutti i casi in cui l’immobile è stato ristrutturato con il superbonus al 110% e si è optato per la cessione del credito o lo sconto in fattura, le spese di ristrutturazione, ai fini del calcolo della plusvalenza vengono considerate nel seguente modo:

  • per gli interventi realizzati tra i 5 e i 10 anni precedenti la vendita dell’immobile si considera solo il 50% del valore della ristrutturazione. Il prezzo di costruzione o di acquisto però deve essere rivalutato in base alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati;
  • per gli interventi realizzati entro i 5 anni precedenti la vendita non si considera il valore della ristrutturazione.

In pratica, se un immobile, che non rientra nelle cause di esclusione, è stato ristrutturato con il 110% utilizzando la cessione del credito o lo sconto in fattura, viene venduto entro i 10 anni, aumenta la base imponibile su cui calcolare le imposte. Infatti, si presume che la ristrutturazione abbia fatto aumentare notevolmente il valore dell’immobile che quindi si differenzi notevolmente dal costo sostenuto per l’acquisto dello stesso e, non potendo considerare come onere accessorio le spese di ristrutturazione, la plusvalenza che ne deriva è più alta.

Un esempio di plusvalenza e superbonus

Pensiamo a un immobile acquistato per 100 mila euro nel 2018 che nel 2021 è stato ristrutturato con il superbonus al 110% utilizzando cessione del credito con un valore dell’intervento di 80 mila euro. Se viene rivenduto 6 anni dopo, nel 2024 a 200 mila euro, la plusvalenza sarà calcolata come differenza tra il costo di vendita e il costo di acquisto maggiorato del 50% delle spese sostenute, quindi 40 mila euro. Di conseguenza le imposte saranno calcolate su 60 mila euro.

Viceversa, se il superbonus fosse rimasto in capo al proprietario, senza cessione del credito, la plusvalenza verrebbe conteggiata su 20 mila euro, cioè come differenza tra il costo di acquisto, maggiorato del valore della ristrutturazione e il prezzo di vendita.

Da ultimo, se la ristrutturazione fosse stata fatta utilizzando altri tipi di bonus, ma non il superbonus, non ci sarebbe alcuna plusvalenza da tassare perché sono trascorsi più di 5 anni dall’acquisto.