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Pfas, cosa sono e quanto sono pericolosi per la nostra salute e ambiente

I PFAS sono composti chimici contenenti fluoro che, a partire dagli anni cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa. Ma negli ultimi anni è cresciuta la consapevolezza sulla loro pericolosità per l'ambiente e la salute umana. Ecco perché.

  • articolo di
  • Rudi Bressa
04 febbraio 2024
  • articolo di
  • Rudi Bressa
Scritta Pfas e molecole

Dagli utensili da cucina agli indumenti impermeabili, dai rivestimenti per pentole ai prodotti antiaderenti, i PFAS hanno fatto irruzione nella nostra vita quotidiana in modo pervasivo. Ce l'hanno cambiata, in alcuni casi migliorandola. Questi composti infatti sono apprezzati per le loro proprietà idrofobiche e oleorepellenti, che li rendono ideali per molte applicazioni pratiche. Tuttavia, è proprio questa stessa stabilità chimica che sta generando crescenti preoccupazioni in quanto i PFAS possono persistere nell'ambiente per periodi estremamente lunghi senza degradarsi e nascondono potenziali effetti nocivi sulla salute umana, che li ha resi dei veri e propri "inquinanti eterni" (chiamati in inglese forever chemicals).

Cosa sono gli PFAS, un po' di chimica

I PFAS, o perfluoroalchilici, sono una classe di composti chimici organici caratterizzati dalla presenza di legami carbonio-fluoro. La struttura di base è costituita da una catena di atomi di carbonio, completamente o parzialmente sostituita con atomi di fluoro. La struttura dei PFAS può variare notevolmente a seconda delle specifiche sostanze chimiche, tuttavia condividono la caratteristica fondamentale di avere almeno un atomo di idrogeno sostituito da un atomo di fluoro. Questa sostituzione conferisce appunto proprietà uniche, come la resistenza agli oli, ai grassi e all'acqua. Alcuni dei PFAS più noti includono l'acido perfluorooctanoico (PFOA), acido perfluorooctanesolfonico (PFOS), e molti altri con variazioni nella catena del carbonio. La classe dei PFAS (Per- e Poli-fluoroalchilici) è estremamente ampia e comprende un gran numero di composti. La ricerca e la scoperta di nuovi PFAS è tuttora in corso, quindi il numero esatto di composti noti può variare con il tempo. Nel 2022, erano stati identificati migliaia di PFAS diversi: secondo il National institute of Environmental health sciences americano che prende i dati dall'Agenzia americana per la protezione dell'ambiente (EPA) sarebbero più di 15mila. Mentre secondo quanto riporta l'Agenzia per l'ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), sarebbero circa 4.800 i composti identificati dall'OCSE. Quel che sappiamo è che si trovano in decine di migliaia di oggetti di uso comune, che sono onnipresenti, certamente utili ma dagli impatti ambientali e sulla salute ancora parzialmente ancora da scoprire.

Le caratteristiche principali dei PFAS

  • I PFAS sono ampiamente utilizzati in numerose applicazioni industriali e di consumo a causa delle loro eccezionali proprietà di resistenza a temperature estreme, agli agenti chimici e alla combustione. Trovano impiego in rivestimenti antiaderenti, prodotti impermeabili, schiume antincendio, lubrificanti industriali e materiali utilizzati in elettronica e produzione tessile.
  • Una delle caratteristiche più distintive di questi composti è la loro persistenza nell'ambiente. A differenza di molti altri composti organici, i PFAS non subiscono facilmente processi di biodegradabilità, rendendoli resistenti alla decomposizione da parte di organismi viventi o di processi chimici naturali. Da una parte sono quindi composti estremamente utili per gli scopi per cui sono stati pensati e sintetizzati, dall'altra sappiamo che la loro persistenza contribuisce alla loro presenza a lungo termine nell'ambiente.

Il dilemma dei “Forever Chemicals”

Il termine "Forever Chemicals" è stato coniato per descrivere la resistenza di questi composti alla degradazione ambientale. I PFAS infatti possono persistere per decenni, se non per secoli, senza subire alterazioni significative, ma questa caratteristica unica li rende una minaccia ambientale a lungo termine, con effetti che si prolungano ben oltre il nostro tempo presente. Per questo motivo vengono comunemente inseriti in una lista che comprende i cosiddetti “inquinanti emergenti”, ovvero tutte quelle sostanze chimiche o materiali presenti nell'ambiente che, a causa di una crescente consapevolezza scientifica, vengono riconosciuti come potenziali minacce per la salute umana e gli ecosistemi, ma che solo recentemente, hanno iniziato a essere monitorati e regolamentati a livello ambientale.

Quali sono gli inquinanti emergenti

  • PFAS (Per- e Poli-fluoroalchilici): come menzionato precedentemente, queste sostanze sono state classificate come inquinanti emergenti a causa della loro persistenza nell'ambiente e dei potenziali effetti negativi sulla salute umana.
  • Sostanza farmacologicamente attive: nei farmaci e nei prodotti farmaceutici ci sono sostanze e residui che entrano nell'ambiente attraverso gli scarichi delle fognature possono essere considerati inquinanti emergenti. Anche se i livelli possono essere bassi, la loro presenza in acqua potrebbe avere effetti a lungo termine sugli ecosistemi acquatici.
  • Nanoparticelle: sono nanomateriali provenienti da processi industriali o prodotti di consumo possono essere considerati inquinanti emergenti, poiché le loro dimensioni ridotte e le proprietà uniche possono comportare effetti ambientali non ancora completamente compresi.
  • Prodotti chimici per la cura personale: in questo caso si tratta di sostanze chimiche presenti in prodotti cosmetici, detergenti personali e prodotti per la cura domestica possono diventare inquinanti emergenti quando la loro presenza nell'ambiente e gli effetti a lungo termine diventano oggetto di preoccupazione.

Questa “durata” ha però conseguenze significative: diversi studi hanno dimostrato che i PFAS possono accumularsi nell'ambiente, penetrare negli organismi viventi e persino trasmettersi attraverso le generazioni, sollevando tra gli esperti numerose preoccupazioni sulla catena alimentare e sulla possibile esposizione umana a lungo termine, innescando dibattiti etici e scientifici sulla gestione responsabile di tali sostanze.

PFAS nell'acqua, nel cibo, nei prodotti di consumo

La presenza di PFAS è stata rilevata in diverse fonti, aggiungendo un ulteriore strato di complessità a questo problema. È noto infatti che in alcune aree d'Italia, per esempio nel vicentino (come riportato da Arpa Veneto), le acque potabili sono state contaminate da queste sostanze, portando a preoccupazioni sulla sicurezza dell'approvvigionamento idrico per intere comunità. Secondo una recente ricerca condotta da Greenpeace Italia, da tempo attenta alla tematica, anche in Lombardia è stata registrata la presenza di PFAS in quasi il 20 per cento delle analisi condotte dalle autorità sanitarie a partire dal 2018. Secondo quanto riporta l'associazione in cima alla classifica di Greenpeace dei comuni più contaminati si troverebbe la provincia di Lodi; a seguire le province di Bergamo e Como, mentre l’area milanese si attesta a metà classifica.

La ricerca di Altroconsumo sulle acque potabili

Anche Altroconsumo ha condotto una ricerca sugli inquinanti emergenti, effettuando delle analisi specifiche dell'acqua erogata dalle fontanelle di 35 città diverse sparse sul territorio nazionale. In questo caso il risultato è stato diverso: l’acqua pubblica delle fontanelle ha mostrato caratteristiche paragonabili a quelle delle acque in bottiglia, mentre sono state rinvenute tracce di microplastiche e, cosa più importante, nessuna traccia di PFAS o legionella.

Molti altri studi hanno anche evidenziato la presenza di PFAS negli alimenti, sollevando interrogativi sulla nostra dieta quotidiana e sull'esposizione attraverso il cibo. Sappiamo infatti che queste sostanze sono state rinvenute nei pesci e nei frutti di mare, nel latte e nei prodotti lattiero-caseari, nelle uova e nella carne, inclusa quella proveniente da animali terrestri come polli, bovini e suini. In questo caso gli animali possono accumulare gli inquinanti attraverso il consumo di mangimi contaminati o l'assunzione di acqua contaminata. Non solo, i PFAS sono stati rinvenuti in alcuni alimenti processati e confezionati, a causa del contatto con materiali contenenti queste sostanze durante la produzione e l'imballaggio. Inoltre, i PFAS sono stati individuati in prodotti di consumo comuni, come la carta da forno (che in passato abbiamo testato), i tessuti impermeabili o le stoviglie monouso (come analizzato anche da Altroconsumo) e articoli per la cura personale.

La ricerca di Altroconsumo sulla carta igienica

Nel 2023 diversi articoli di giornale hanno fatto circolare la notizia della presenza di questi inquinanti sulla carta igienica, partendo da una ricerca condotta negli Stati Uniti. Per saperne di più nel nostro test comparativo, abbiamo analizzato la presenza di PFAS in 15 rotoli di carta igienica provenienti da Spagna e Italia, tra cui i prodotti hanno ottenuto i titoli di Migliore del Test, Miglior acquisto e Miglior Scelta Verde nei test Altroconsumo: buona notizia, non sono state rinvenute tracce di queste molecole, almeno per quelle regolamentate dal regolamento europeo sulle sostanze chimiche REACH.

I rischi connessi all'utilizzo delle padelle antiaderenti

Come spiegato in una recente guida pubblicata da Altroconsumo sulle padelle antiaderenti, quelle più recenti non comportano rischi per la salute. Fino a qualche anno fa infatti le padelle erano ricoperte con l'acido perfluoroottanoico (PFOA) e alcuni suoi derivati. Il PFOA è stato tradizionalmente utilizzato nella produzione di teflon, appunto uno dei rivestimenti antiaderenti più diffusi. Dal 2015 però il PFOA non può più essere usato nei processi di produzione, soprattutto per evitare i danni all’ambiente. Inoltre c'è da considerare che a luglio del 2020, dopo le valutazioni scientifiche effettuate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), sono entrate in vigore restrizioni alla fabbricazione e all’immissione sul mercato dei PFOA, dei suoi sali e dei composti correlati. Restano comunque valide semplici raccomandazioni per l'uso di queste pentole in cucina, come non scaldare mai il tegame vuoto, di mantenere il locale ben areato quando si cucina (che dovrebbe valere come regola generale) e buttare le pentole se il rivestimento è particolarmente rovinato.

I rischi per la salute umana

Esiste una vasta letteratura scientifica che mirano ad approfondire la nostra comprensione degli effetti dei PFAS sulla salute umana. Gli studi epidemiologici suggeriscono che l'esposizione prolungata potrebbe essere associata a diversi rischi per la salute, tra cui disturbi endocrini, immunologici e oncologici. Le preoccupazioni maggiori riguardano quelle comunità che possono essere esposte a fonti di contaminazione significative, ad esempio attraverso le forniture idriche contaminate. La ricerca, come per le microplastiche, è ancora in corso e sarà necessario attendere per comprendere appieno l'entità di tali rischi e definire i livelli di esposizione considerati sicuri.

Quel che sappiamo è che sono numerosi gli studi che hanno indagato gli effetti sulla salute umana dei PFAS. Solo per citare quelli condotti in casa nostra, e in particolare in Veneto, possiamo notare come i ricercatori abbiano trovato legami tra un aumento di rischio cardiovascolare e ormonale nei soggetti esposti a questa contaminazione. In uno studio padovano condotto su campioni trattati in vitro provenienti da 78 soggetti con diversi livelli di esposizione nei 21 comuni dell’area rossa a massima esposizione da Pfas, sì è evidenziato un incremento di alcune patologie e condizioni cardiovascolari (diabete mellito, cardiopatie ischemiche, ictus, ipertensione). Non solo, ma lo stesso gruppo di ricerca aveva già pubblicato nel 2018 due studi che mostravano come i PFAS fossero in grado di alterare gli equilibri ormonali sia nei maschi – riducendone la fertilità – sia nelle femmine, modificando il ciclo mestruale.

Le normative europee per ridurre il rischio

Data la crescente consapevolezza dei rischi associati ai PFAS, le agenzie regolatorie stanno intensificando gli sforzi per regolamentare l'uso e la dispersione di queste sostanze. Il Regolamento REACH dell'Ue, la Strategia europea sui PFAS e altre iniziative mirano a limitarne l'uso e mitigarne i loro impatti ambientali. A febbraio 2023 cinque paesi europei - Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia - hanno presentato all'ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) una proposta per regolamentare le oltre 10mila sostanze chimiche con l'obiettivo di ridurre le emissioni di PFAS nell'ambiente e rendere prodotti e processi più sicuri per le persone. A dicembre 2023 l'ECHA ha reso noto che l'agenzia stava discutendo un piano congiunto su come valutare al meglio la proposta. Inoltre, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) si era già pronunciata sui PFAS nel 2020, stabilendo una dose settimanale tollerabile di 4,4 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo per quattro sostanze particolarmente importanti. Certamente gli interessi e le problematiche non mancano: molte di queste sostanze sono ancora oggi fondamentali per l'industria chimica, anche nel settore delle tecnologie green. D'altro canto un gruppo di ricercatori tedeschi avevano pubblicato una revisione in cui si giustificava la completa eliminazione dei PFAS e lo sviluppo di alternative prive di fluoro, riassumendo sia i rischi immediati che le potenziali eredità dell’uso continuato di queste sostanze.

La direttiva acque potabili

Infine la recente revisione della direttiva acque potabili (Direttiva UE 2020/2184 che qui trovate in pdf), che stabilisce i requisiti minimi che le acque potabili devono rispettare e le attività di monitoraggio che devono essere effettuate dai gestori idropotabili, dalle autorità ambientali e sanitarie. Il testo in particolare ha introdotto un limite di 0,5 µg/l per tutti i PFAS nelle acque destinate al consumo umano. In Italia la direttiva è stata recepita con D.Lgs 18 del 23 Febbraio 2023, che prevede quindi il controllo della concentrazione di PFAS nelle acque potabili da parte di tutti gli acquedotti. 

In conclusione, i PFAS rappresentano una sfida complessa che richiede un approccio integrato tra scienza, regolamentazione e consapevolezza pubblica. La comprensione della loro persistenza e delle implicazioni sulla salute umana richiederà un impegno continuo nella ricerca e nella definizione di politiche rigorose per ridurre il loro impatto. Solo attraverso tali sforzi potremo sperare di gestire responsabilmente questa categoria di sostanze chimiche e preservare la salute delle generazioni future.